Steve McQueen, still from Once upon a Time, 2002. Marian Goodman Gallery
Steve McQueen, still from Once upon a Time, 2002. Marian Goodman Gallery
Steve McQueen, Once Upon a Time, 2002. Sequence of 116 slide base color images streamed through a PC hard drive and rear projected onto a screen with an integrated soundtrack; 70 min
Steve McQueen, Once Upon a Time, Sequence of 116 35mm slides, digitally transferred, sound, 70 minutes
Di Letizia Caudullo
"Once Upon a Time" è il titolo del lavoro che Steve McQueen, noto anche come regista cinematografico, ha presentato alla 55 Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.
McQueen si è fatto conoscere a livello internazionale quando nel maggio 2008 il suo Hunger (drammatica cronaca dello sciopero della fame di un militante dell’IRA) è stato premiato con la Caméra d’or per la miglior opera prima al festival di Cannes.
Nel 2011 è al Festival di Venezia con il discusso e amato Shame (storia della solitudine di un uomo che soffre di sex addiction), Coppa Volpi a Michaell Fassbender per la migliore interpretazione maschile.
Già ospite della Biennale Arte nel 2007 e nel 2009, con Once Upon a Time, McQueen presenta 116 immagini, fatte fluire attraverso il disco rigido di un pc, tratte dal Golden Record di Carl Sagan, il disco lanciato nel 1977 dalla Nasa, concepito come strumento di comunicazione con possibili civiltà aliene.
Sono immagini del pianeta, degli essere umani che la popolano, della natura, diagrammi e misurazioni, che avrebbero dovuto rappresentare vari aspetti della vita sulla terra. Il disco di Sagan oltre alle immagini conteneva registrazioni di saluti in varie lingue, musiche e suoni vari.
McQueen invece, abbina alle immagini le registrazioni effettuate sul campo dal linguista William J. Samarin, sul fenomeno della “glossolania”, termine con cui si definiscono i linguaggi inventati o incomprensibili, spesso parlati da persone in stato di trance.
Assistiamo allo scorrere lentissimo delle immagini che si dissolvono l’una nell’altra, creando nel loro lento mescolarsi altre suggestioni meno comprensibili ma più affascinanti:
l'immagine del pianeta si dissolve lentamente con quella del feto di un bambino, diventando terra madre, pancia che accoglie il nascituro, il quale si dissolve in immagini di altre donne dai diversi costumi etnici e così via.
Queste immagini unite ai suoni “inventati” portano lo spettatore in uno stato di trance dove la comprensione diventa intuizione, fruizione emotiva.
"Once Upon a Time" è un lavoro del 2002 ma è così coerente con “Il palazzo enciclopedico”, il tema proposto dal giovane curatore della Biennale Massimiliano Gioni, che sembra quasi fatto ad hoc.
Il Palazzo enciclopedico era il progetto che l’artista autodidatta Marino Auriti depositava nel 1955, presso l’ufficio brevetti statunitense, immaginando un museo che avrebbe ospitato tutto il sapere dell’umanità. L’impresa rimase ovviamente incompiuta.
Temi ricorrenti della mostra sono dunque la natura, l’indagine scientifica, la sua catalogazione ma anche l’impossibilità di racchiudere tutta la conoscenza in un unico tempo e luogo; e poi il libro altro elemento ricorrente della mostra.
Quello di "Once Upon a Time" è un libro digitale, che si sfoglia lentamente. Ciascuno spettatore ha il tempo di soffermarsi sul dettaglio da cui è attratto.
Proporre delle immagini in lento movimento è una scelta estetica che ritroveremo in molte scene dei suoi due film. Lunghi piani sequenza dove poter soffermare l’attenzione non solo sui dettagli dell’immagine e del racconto ma anche sul nostro proprio sentire, sul fluire delle nostre emozioni.
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http://www.undo.net/it/my/55biennalevenezia/221/606
LETIZIA CAUDULLO (Catania 1968), si è laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul montaggio cinematografico, all'Università La Sapienza di Roma, dove vive e lavora.
Diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia in montaggio ed edizione nel 1996, da allora si occupa prevalentemente di editing audiovisivo.
Tra i film di cui ha firmato il montaggio: "Terramatta" di Costanza Quatriglio (69° Mostra del cinema di Venezia, Nastro d’Argento 2013 come miglior documentario); "L'estate di Bruno Cortona" di Gloria De Antoni (Torino Film Festival 2012) "Poeti" di Toni D'angelo (66° Mostra del cinema di Venezia); "Il nostro Rwanda" di Cristina Comencini; "Gulu" di Luca Zingaretti (60° Mostra del cinema di Venezia) "Paz" di Renato De Maria.