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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 17 Numero 177 aprile 2002



La rinascita del nuovo mondo

Marla Prather



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Andy Warhol, Chairman Mao (1975), New York, courtesy Whitney Museum of American Art

Roy Lichtenstein, Still Life with Cristal Bowl (1973), New York, courtesy Whitney Museum

Jasper Johns, Three Flags (1958, New York, courtesy Whitney Museum of American Art

Un tributo a New York, dal dopoguerra centro propulsore di alcuni dei fenomeni piu' significativi dell'arte americana,
culla di un vero e proprio Rinascimento: con questo intento celebrativo e' stata organizzata dal Whitney Museum la mostra in corso a Palazzo Reale a Milano.

Il Whitney Museum of American Art di New York è un museo del XX secolo che sta entrando nel XXI secolo e la sua storia riguarda esclusivamente l'arte americana. Niente arte decorativa, niente arte europea, niente arte cinese, niente arte africana, quindi la sua, cioè la nostra visione è molto concentrata sulla storia dell'arte moderna e contemporanea degli Stati Uniti. Questo significa che a volte, nella nostra posizione di curatori, avvertiamo che molto resta escluso dalla nostra missione; così, insieme al direttore Maxwell L. Anderson e al Consiglio dei fiduciari, cerchiamo modi sempre diversi per internazionalizzare la collezione permanente del Whitney ma anche le nostre esposizioni e i nostri programmi didattici. Si tratta infatti di un nuovo orientamento atto a rendere il Whitney Museum non solo un luogo espositivo nazionale ma un fenomeno più ampio, conosciuto e apprezzato a livello internazionale.
New York Renaissance, la mostra in corso a Palazzo reale a Milano, è soprattutto un tributo a New York ed è per questo che nella mostra abbiamo cercato di individuare, scegliendo opere di livello molto elevato, quegli artisti che sono stati o sono ancora legati alla città di New York. Non sono stati inclusi alcuni artisti puramente californiani proprio perché non è possibile considerarli parte del Rinascimento di New York. Ma questa esposizione nasce anche perché il Whitney Museum ha obiettivi più ambiziosi, inserire l'arte americana in un contesto più internazionale per esplorare i rapporti con l'arte di altri paesi. È per questo motivo che abbiamo aderito con entusiasmo all'invito di organizzare una grande mostra a Palazzo reale di Milano. Il Whitney Museum non lo ha mai fatto e non credo che molti altri musei d'arte americani abbiano mai inviato in Europa un numero così considerevole di opere della loro collezione. Così speriamo che si tratti di un segnale forte, inviato non solo all'Italia ma a tutta l'Europa, che permetta di comprendere che la collezione Whitney non è sono una realtà museale che resta confinata negli Stati Uniti.
In un primo momento avevamo pensato a una mostra dedicata alle opere del periodo del dopoguerra. Pensavamo a un'esposizione che presentasse opere di artisti famosi anche in Italia soprattutto degli anni Cinquanta e Sessanta. Poi ci siamo resi conto che l'arte americana ha espresso una grande vitalità a partire dalla seconda guerra mondiale ma che tale vitalità continua ancora oggi. Per rappresentare la collezione Whitney è pertanto difficile limitarsi agli anni Cinquanta e Sessanta, mentre risulta davvero utile estendere l'arco temporale fino ai giorni nostri. Così, invece di proporre una mera presentazione dei capolavori e dei nomi più famosi di quei due decenni, l'esposizione è stata ampliata, conservando molti dei capolavori del dopoguerra ma comprendendo anche alcune delle nostre opere contemporanee più valide e interessanti.
Insieme a Lawrence R. Rinder, curatore della sezione arte contemporanea del Whitney Museum, abbiamo pensato e costruito il percorso di questa importante mostra per raccontare l'arte americana, la cultura e la società di New York ma anche la storia del Whitney Museum of American Art.

LA VISIONE DI GERTRUDE

La storia del Whitney è complessa. Nel senso che all'inizio si è trattato di un'istituzione familiare basata sulla visione di una donna (e questo non è un caso anomalo tra i musei di New York), una donna eccezionale proveniente da una famiglia straordinaria: Gertrude Vanderbilt Whitney. Gertrude, nata in una delle più ricche e importanti famiglie d'America, nonostante il proprio ceto e status sociale si dedicò con estremo interesse al sostegno degli artisti americani suoi contemporanei; anche lei era infatti un'artista, tanto da far diventare questa sua attività lo scopo centrale della sua vita. Fino a realizzare un museo.
Il Whitney Museum ha poi attraversato una fase di transizione piuttosto lenta, da struttura familiare a istituzione pubblica, con un Consiglio di fiduciari dotato di specifiche modalità operative. Questo passaggio ha influenzato lo sviluppo della collezione. Tra le opere conservate nel museo, infatti, il primo nucleo della collezione permanente è costituito da lavori della prima metà del secolo, opere delle scuole dominanti negli anni Venti e Trenta legate per lo più alla tradizione europea, donazioni provenienti direttamente dalla famiglia Whitney oppure dalle raccolte di altri collezionisti con gusti molto simili a quelli della fondatrice. In seguito, come istituzione, il museo ha attraversato tutte le difficoltà scaturite dal suo ampliamento e dalla sua trasformazione; nel Consiglio dei fiduciari sono entrati membri non appartenenti alla famiglia e con il tempo anche le politiche per l'acquisto delle opere sono state modificate.
Nell'immediato dopoguerra, improvvisamente l'America - con il proprio centro a New York - diventa il luogo principale della scena artistica internazionale; personalità come Willem de Kooning e Jackson Pollock reagiscono al realismo e all'arte che vedevano provenire dall'altra parte dell'Atlantico, collocandosi contemporaneamente in una posizione di contrasto e di ribellione e, nello stesso tempo, di voluta ricerca di una specie di identità americana. Mentre avveniva questa esplosione del mondo artistico, il Whitney avrebbe dovuto essere presente per riconoscere quel materiale straordinario, ma non sempre è stato così. Guardando indietro nei vari decenni del Novecento, se solo fossimo stati presenti e attenti in quel particolare momento, intorno al 1948 o al 1956 avremmo potuto acquistare per un migliaio di dollari quadri che ora raggiungono quotazioni altissime, oppure essere nello studio di Claes Oldenburg, quando vendeva le proprie installazioni per pochi dollari... Adesso, tornare indietro per integrare il percorso è estremamente difficile. Attraverso i vari cambiamenti intervenuti nel Consiglio dei fiduciari (sia collezionisti sia persone che hanno guidato il gusto dell'istituzione), siamo comunque riusciti a comporre alcuni gruppi di opere importanti, e ritengo che questa caratteristica si ritrovi anche nella mostra di Milano.
In New York Renaissance si può inoltre individuare quelle che sono state le intenzioni di Gertrude Vanderbilt. Fin dalle origini il Whitney infatti aveva come scopo quello di porsi sempre al servizio degli artisti; ricercare l'innovazione e riconoscere la novità doveva costituire una parte fondamentale della nostra missione. Tra le opere esposte in questa mostra prendiamo, per esempio, il dipinto Number 27. 1950, di Jackson Pollock. Il dipinto può anche essere stato realizzato nel 1950, ma l'importanza di Pollock e la sua influenza nei confronti dell'arte contemporanea non si esaurirà mai. Nella mostra abbiamo deciso di esporre, per esempio, una delle prime opere di Robert Rauschenberg, uno dei principali artisti degli anni Cinquanta, ma abbiamo esposto anche una delle sue ultime opere. Oppure troviamo una delle prime creazioni di Alex Katz - il principale artista di New York - e anche due bellissime opere recenti.

I VOLTI DEL CONTEMPORANEO

E' veramente complesso definire ciò che è "contemporaneo". Attenzione all'arte contemporanea non significa solo includere in un'esposizione artisti nuovi e giovani che creano opere d'arte innovative e stimolanti, oppure opere mai viste prima (un aspetto celebrato dal Whitney ogni due anni con una Biennale che costituisce la principale manifestazione di arte contemporanea nel nostro paese e sicuramente uno dei principali eventi del mondo, la nostra versione della Biennale di Venezia); un'istituzione museale come il Whitney deve continuare a sostenere gli artisti che fanno parte della collezione e che fortunatamente sono ancora tra noi, come Jasper Johns, e Robert Rauschenberg. Come curatrice della sezione dell'arte postbellica, uno dei miei obiettivi è stato quello di cercare di evidenziare come queste persone siano ancora vive e stiano lavorando e che, da un certo punto di vista, facciano sempre arte contemporanea, pur avendo sessanta, settanta o ottant'anni anni. Agnes Martin lavora ancora, ed è nata nel 1912, lo stesso anno di Jackson Pollock; credo che il suo lavoro sia ancora interessante e significativo.
Tutti questi artisti coesistono e, pur appartenendo a generazioni diverse, la loro presenza sulla scena contemporanea resta di grande impatto. Sono perciò convinta che presentando una panoramica completa della collezione del Whitney (ovviamente all'interno di un'esposizione molto selettiva, considerando i limiti spaziali) sia possibile rappresentare alcuni dei momenti centrali della seconda metà del Novecento, il momento più importante della storia dell'arte americana. Il fatto di giungere fino al 2000 probabilmente porta a presentare al pubblico italiano anche artisti meno conosciuti di Jasper Johns o Franz Kline o Robert Rauschenberg, ma esiste comunque una certa continuità.
Nella costruzione del percorso espositivo abbiamo inoltre voluto cercare ed esprimere anche un rapporto diretto con l'Italia - quindi con qualcosa di "italoamericano" - e di certo non è stato facile trovarlo. Nella mostra c'è una meravigliosa scultura di Mark di Suvero che, pur essendo nato in Cina, è di origini italiane.
In mostra sono presenti anche molti artisti poco conosciuti dal grande pubblico, come Leon Golub, Peter Halley o Gary Simmons ma, come all'interno del Whitney Museum, la nostra missione è quella di rappresentare e far conoscere l'arte americana in maniera più ampia possibile, senza limitarci a mostrare i lavori noti a livello internazionale - che si tratti di Georgia O'Keeffe o di Edward Hopper. Un'opera di Edward Hopper, un artista che fa parte della lunga tradizione del realismo americano, è stata inserita, così come un'opera di Alexander Calder, vissuto in Europa oltre che in America e che ha esposto molto presto in Italia (Festival di Spoleto nel 1962). La mostra vuole così raggiungere un buon equilibrio tra immagini facilmente riconoscibili - il dripping di Jackson Pollock, i mobiles di Alexander Calder, le grandi immagini pop di Andy Warhol e Roy Lichtenstein, che gli europei identificano come contributi specificamente americani all'arte del dopoguerra, e la presenza di artisti un po' meno conosciuti.
È presente un importante nucleo di opere dell'Action Painting, che da un certo punto di vista rappresenta il dopoguerra del Whitney. Ma allo stesso tempo siamo riusciti a realizzare una presentazione particolarmente significativa della Pop Art, mostrando il senso della diversità di quel periodo con le sculture, i dipinti di grandi e piccole dimensioni, gli oli e le serigrafie, opere di Lichtenstein, Warhol e James Rosenquist.
Così, per rappresentare i movimenti che si sono delineati nei decenni successivi, non mancano opere di Haring, Basquiat e Schnabel che hanno caratterizzato i tumultuosi anni Ottanta, lavori di artisti degli anni Novanta, come Tony Oursler, presente in molte mostre anche in Europa, fino ad alcune opere realizzate nel 2000.

LA MOSTRA

Una celebrazione della capacità di New York di rinnovarsi continuamente e di stimolare inattese trasformazioni, New York Renaissance in corso a Palazzo reale (piazza Duomo; telefono 0254916, per prenotazioni 026597728; http://www.electaweb.it, orario 9.30-20, giovedì, venerdì e sabato 9.30-23, chiuso lunedì) fino al 15 settembre, presenta opere dalla collezione del Whitney Museum dal dopoguerra a oggi esclusivamente di artisti che hanno operato a New York. Il catalogo, accompagnato da un testo introduttivo del direttore del Whitney Museum Maxwell L. Anderson e di Alice Pratt Brown, una dei curatori, è edito da Electa.