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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 17 Numero 178 maggio 2002



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Fernand Khnopff, Labbra rosse (1897); collezione privata

Gustav Klimt, Giuditta I (1901), Vienna, Österreichische Galerie Belvedere

Fernand Khnopff, Labbra rosse (1897); collezione privata

Da un'analisi di un tema ricorrente nella pittura simbolista europea tra fine Ottocento e inizio Novecento - la figura della "femme fatale", pericolosa e sensuale - emerge il ruolo di tramite avuto da Khnopff tra il mondo femminile rappresentato da Rossetti e quello di Klimt.


L'ambiente artistico della "fin de siècle" ottocentesca è contrassegnato dal fantasma della "femme fatale", uno dei temi più peculiari e seducenti della poetica artistica decadente. Esso è la trasposizione artistica di un'ossessione che proprio in quel periodo iniziava a dominare la mente del maschio: le sue consolidate certezze di superiorità iniziavano infatti a sgretolarsi di fronte all'incipiente richiesta di emancipazione femminile. Gli artisti anticiparono e vissero drammaticamente quella nascente guerra tra i sessi, restituendo la loro immagine minacciosa della "donna nuova".
Pioniere nella rappresentazione della "femme fatale" fu il pittore e poeta inglese Dante Gabriel Rossetti. Alcune sue opere precedono quelle relative allo stesso soggetto di Gustave Moreau, considerato l'iniziatore della poetica simbolista e dell'interpretazione dell'essere muliebre come "femme fatale". Di fatto quella che può essere giudicata l'opera che inaugura la fase della produzione di Rossetti contraddistinta dai ritratti di donna sensuale, ossia Bocca baciata (1859), precede di gran lunga L'apparizione (1876) di Moreau, ritenuta la prima effige di donna crudele. Questa venne eseguita soltanto poco prima della realizzazione ultima e più compiuta della "femme fatale" rossettiana: Astarte siriaca (1877). Insomma, il momento che per Moreau sarebbe stato l'inizio di un lungo percorso fu per Rossetti la meta del suo personale e doloroso inseguimento dell'inafferrabile essere femminile. Astarte siriaca non solo segnò un momento decisivo per la formulazione e le successive rielaborazioni dell'immagine della donna come "femme fatale", ma rappresentò anche un modello imprescindibile per Fernand Khnopff. Se ci scostiamo dalle teorie più diffuse circa i modelli dell'opera khnopffiana(1), possiamo ritenere che il fare artistico di Rossetti e soprattutto il suo modo di interpretare la donna influirono più profondamente sulla poetica del belga rispetto al lavoro dell'altro artista inglese considerato suo vero ispiratore: Edward Burne-Jones. Si può pensare inoltre che Khnopff abbia trasferito tale ascendenza rossettiana nell'opera di Gustav Klimt. È allora possibile da un lato svelare la stretta parentela che lega le donne fatali di questi tre esponenti del simbolismo europeo, dall'altro rendere giustizia alla palese, quanto poco indagata, impressione che l'opera di Khnopff fece sull'arte dell'austriaco.

ARIA DI FAMIGLIA

Un elemento inconfondibile dell'arte del pittore preraffaellita è la curiosa somiglianza riscontrabile tra tutti i volti femminili che egli ritrae. Rossetti sembra voler seguire una sorta di tipo ideale dal quale non riesce a scostarsi, e che quindi assume la valenza di archetipo. Ricorrono soprattutto gli occhi - grandi, irrimediabilmente languidi - e la bocca carnosa che pare assomigliare a quella dell'artista stesso. In virtù di tale somiglianza è chiaro che il pittore cerca di proiettare se stesso nel quadro, che diviene uno specchio in cui trasferire le proprie recondite fantasie, le proprie ossessioni.
Tale procedimento è riscontrabile nell'opera di Khnopff: anch'egli riporta i propri tratti fisiognomici, o quelli della sorella Marguerite, sui volti delle sue donne, le quali appaiono invariabilmente uguali a se stesse, ripetute all'infinito, sempre con lo stesso sguardo tagliente, le labbra sottili e il mento pronunciato.
Oltre all'iterazione dei tratti, Khnopff mutua il nuovo modo rossettiano di intendere il ritratto femminile che diventa veicolo per raccontare parte di sé, dei propri timori nei confronti della donna. Non a caso, alla domanda rivoltagli circa la possibilità per lui di poter sposare una delle donne che rappresentava, egli rispose fermamente: "Non ci penso nemmeno.So fin troppo bene quel che hanno in testa"(2). Il fatto che Khnopff ammetta di conoscere ciò che esse pensano, significa che egli non raffigura questo tipo femminile per una sorta di sentire comune che in quel momento pervadeva i "milieux" culturali, ma per una profonda ricerca in se stesso e nella psicologia delle donne.
Il rapporto di Rossetti e Khnopff nei confronti del soggetto femminile è ambiguo, fatto di attrazione, ma anche di ripulsa e terrore: gli sguardi delle loro donne sono infatti contraddistinti da un'espressione di sensualità e frigidità insieme. E' pur vero che gli occhi delle donne khnopffiane presentano la vacuità pesante degli sguardi femminili di Burne-Jones, ma il pittore belga li rende più inquietanti, ossessionanti, mostrando così il suo debito nei confronti di Rossetti.
Un altro aspetto di vicinanza tra la poetica di Rossetti e quella di Khnopff è il modo peculiare di trattare il contenuto dei miti che concernevano le vicende di queste donne crudeli. Khnopff, come l'inglese, non intende il fatto mitologico come una narrazione da restituire in tutte le sue particolarità sul piano pittorico; egli cerca sempre di far confluire gli elementi salienti della storia in un'unica immagine: così essa assume più la valenza di icona che quella di narrazione. Khnopff non si sofferma mai sui dettagli del racconto, così l'immagine serve solo a restituire, sul piano figurativo, l'idea sottesa al mito: diventa epifania, icona dall'effetto perentorio. Il mondo di Burne-Jones appare meno drammaticamente vissuto in prima persona. Il suo è un immaginario ricco di storie mitologiche riprodotte col compiacimento derivante da una dettagliata narrazione dei particolari del racconto originario. Burne-Jones ama fornire informazioni sullo svolgimento dei fatti, contestualizzando l'episodio dal punto di vista ambientale o facendo interagire i protagonisti.

DA KHNOPFF A KLIMT

Notevole pare dunque l'affinità poetica e stilistica tra l'arte di Rossetti e quella del belga, ma l'aspetto più curioso e meno riconosciuto è il valore fondamentale che l'esperienza artistica di Khnopff ebbe sul panorama artistico europeo tra la fine del XIX secolo e i primi anni del successivo. Infatti, grazie alla fama internazionale della sua opera, il modello rossettiano di "femme fatale" venne esportato nel resto dell'Europa simbolista, e in particolar modo influenzò l'arte di Klimt. Già dal 1895 opere di Khnopff iniziavano a vedersi a Vienna, alla XXIII Jahres-Ausstellung tenutasi nella Kunstlerhaus. Nel 1898 il pittore partecipò alla prima mostra della Secessione viennese, organizzata proprio da Klimt, dove furono esposte ben venti sue opere; egli venne anche insignito del titolo di membro del gruppo secessionista in qualità di corrispondente straniero. Inoltre, venne salutato dalla critica come il più emblematico rappresentante dell'arte simbolista europea.
La prova più efficace del ruolo di "liaison" che il belga ebbe nell'instaurare la curiosa parentela tra le proprie donne cattive, quelle del maestro inglese e dell'epigono viennese rimane il confronto fra tre dei ritratti muliebri più emblematici di questi artisti: Astarte siriaca (1877) di Rossetti, il frontespizio Avec Joséphine Péladan. Ishtar (1888) di Khnopff e Giuditta I (1901) di Klimt.
L'accento fortemente sensuale con cui Astarte viene dipinta è uno degli elementi che più avrebbero influenzato Khnopff e quindi Klimt. La donna fissa lo spettatore con uno sguardo ammaliatore, allo stesso tempo vuoto ma anche terribilmente ipnotico. L'elemento tuttavia più eclatante è il fatto che con quest'opera Rossetti sia stato il primo a rielaborare in modo squisitamente moderno il mito di Astarte/Ishtar(3). Egli la interpreta come una donna fatale, ma questo carattere rimane ancora latente, la pericolosità resta sul piano della possibilità, dell'eventualità. Astarte sembra in procinto di offrirsi all'uomo che vuole sedurre. L'atto deve ancora compiersi(4). La donna è ancora solo "potenzialmente" fatale.
L'opera di Khnopff, realizzata un decennio più tardi, da un lato fa proprie la forte sensualità e l'icasticità rossettiane, dall'altro denuncia lo stato a cui è pervenuta l'ossessione per la donna: ella ora è fatale perché mostra il potere acquisito nei confronti dell'uomo. La scena rappresentata è il momento in cui Ishtar, per ritornare al mondo dei vivi e garantire la fecondità, sacrifica e uccide il suo sposo Tammuz. Il pittore belga decide di restituire l'efferatezza dell'atto compiuto dalla dea attraverso uno dei miti più efficaci: quello della vagina dentata; in effetti la testa emaciata e urlante del maschio sembra essere divorata dall'organo genitale della divinità mesopotamica. Questa non è più la donna che seduce e lascia solo intuire tutta la sua pericolosità: ella stessa uccide, crudelmente, per vendetta, per una cieca legge di natura, perché è femmina.
Con Klimt si giunge all'epilogo. E' il 1901. Giuditta ha già ucciso, la tragedia è compiuta; l'uomo è definitivamente sconfitto dalla donna. La società è cambiata: ora il processo di emancipazione femminile è un fenomeno esperibile nella realtà. La presa di coscienza è ancora più lucida e rassegnata.

UN ESPLICITO EROTISMO

L'analogia fra Klimt, Rossetti e Khnopff è evidente: in maniera tipicamente simbolista i tre utilizzavano la pittura per esprimere il loro tormentato rapporto con la donna, figura chiave della loro produzione. Tuttavia nei dipinti di Klimt c'è una sensualità che non è più quella minacciosa di Rossetti, né quella glaciale e ossessiva di Khnopff; è piuttosto una sensualità vissuta con disinvoltura: non c'è più l'urgenza di paludare il lato brutale degli istinti femminili, anzi, essi vengono talmente esplicitati da sottomettere definitivamente il sesso maschile. L'uomo è spettatore inerme e stordito di fronte a tanta carica erotica.
La prova più incisiva dell'influsso delle istanze poetiche di Khnopff in Klimt si trova in alcuni accorgimenti di tipo formale, evidenti nel confronto tra Giuditta I, Ishtar e Vivien. Idillio del re (1896) di Khnopff(5). Il debito del belga nei confronti di Rossetti è qui soprattutto la frontalità invadente delle due figure femminili che, come Astarte, rivolgono il loro corpo e il loro sguardo allo spettatore in maniera decisamente provocatoria. Ciò palesa il fascino dell'Astarte: scegliendo di rappresentarle così il belga afferma il carattere più inquietante e dispotico delle due donne. Tale particolare viene ripreso anche da Klimt: nel raffigurare una figura biblica che già godeva di un vastissimo repertorio iconografico egli decide di effigiarla proprio nella posa suggeritagli da Khnopff e Rossetti, cogliendone così l'aspetto più icastico e perentorio.
Khnopff trasferisce sugli occhi di Vivien l'espressione languida, ma allo stesso tempo decisa e invadente dell'Astarte rossettiana. La maga infatti fissa lo spettatore con uno sguardo che pare astuto, sicuro della sua potente carica erotica. La donna sa ciò che vuole e sa di poterlo ottenere con la sensualità. Il pittore viennese recupera tale sguardo, ma lo arma di una voluttà più spinta rispetto a quella di Rossetti e Khnopff. Gli occhi di Giuditta sono offuscati dal piacere, dall'estasi. La donna di Klimt ha già raggiunto il suo scopo e ora sembra assaporare la vittoria. Il carattere più apertamente lascivo dell'eroina klimtiana emerge per l'uso che il pittore fa di due espedienti mutuati dal belga: il capo reclinato e la bocca socchiusa che lascia intravedere i denti. Per il primo elemento, Klimt deve esser stato colpito dal volto dell'Ishtar khnopffiana(6): esso infatti è fortemente reclinato, in una posa che ostenta la voluttà nell'abbandonarsi all'atto osceno(7). La bocca socchiusa e i denti scoperti sono tuttavia gli elementi più efficaci della rappresentazione klimtiana della "femme fatale". In questo senso è chiaro il debito del pittore viennese nei confronti di due opere di Khnopff: Vivien e Labbra rosse (1897)(8), due lavori interessanti nella produzione del belga perché rappresentano per la prima volta una donna "tipicamente" khnopffiana nei tratti del viso, nel particolare del mento pronunciato, ma con la bocca stranamente non sigillata. L'artista belga decise di raffigurarla socchiusa per sottolinearne il carattere palesemente sensuale, vorace, quindi castrante. Così Klimt, che vide entrambe le opere, potrebbe esser stato attratto dal significato sessualmente connotato del particolare della bocca socchiusa e dei denti scoperti. La sua Giuditta, infatti, eredita ed esaspera i tratti più apertamente erotici delle donne khnopffiane.
Le sottili differenze emerse dal confronto tra queste "sorelle" dipendono dal fatto che esse appartengono a tre epoche differenti (1877, 1888, 1901) e quindi rappresentano tre diversi momenti del processo di emancipazione femminile che gli artisti in questione si trovarono a vivere e a interpretare; ciononostante si è al cospetto di ritratti di signore che rivelano i loro profondi legami di sangue. Significativo in questo senso è l'evidente contributo di Khnopff, che si rivela anello di congiunzione imprescindibile tra due generazioni di donne "cattive" e figura centrale per la diffusione in tutta Europa della poetica simbolista in generale e di quella rossettiana in particolare.

Note:

(1) M. T. Benedetti, Khnopff e Burne-Jones, in "Storia dell'Arte", n. 43, 1981, pp. 263-270.
(2) F. Khnopff in J. Howe, The symbolist art of Fernand Khnopff, Ann Arbor 1982, p. 139.
(3) Astarte siriaca rappresenta l'anticipo inglese nella riscoperta dell'archetipo di Venere. Rossetti precedette di circa vent'anni l'interesse dei pittori decadenti nei confronti di Ishtar, dea assiro-babilonese dell'amore e della guerra, che proprio lui decise di raffigurare come "femme fatale" originaria, dando prova di una profonda conoscenza dei suoi attributi e del fatto che Astarte altro non fosse che la trasposizione siriaca della più antica Inanna/Ishtar. E' probabile che Khnopff fosse venuto a contatto con la più "antica" versione di Ishtar perché l'opera di Rossetti venne esposta a Londra dopo la morte dell'artista nella retrospettiva a lui dedicata e che si tenne nel 1883 alla Royal Academy. E' verosimile che Khnopff, allora a Parigi, possa aver visto delle riproduzioni dell'Astarte siriaca, tenuto conto dell'attività frenetica delle riviste d'arte francesi, fonte, in quegli anni, di immagini e recensioni che davano testimonianza dell'attività artistica d'oltremanica ed europea in generale. Inoltre dal 1886 Khnopff aveva iniziato a esporre in Inghilterra: ciò fa ipotizzare che avesse già visto l'opera in questione.
(4) Ritengo che la scena dipinta da Rossetti nell'opera del 1877 rappresenti l'attimo precedente il rito ierogamico: ad Astarte/Ishtar era dato il compito di decidere, ad avvenuto accoppiamento, le sorti del suo amante. Per questo motivo la dea potrebbe essere stata vista come archetipo eccellente per il fantasma della donna castrante.
(5) Questa è un'opera realizzata da Khnopff in gessoduro, tecnica che egli recuperò dall'ambiente artistico inglese e che utilizzò molto negli ultimi anni dell'Ottocento. Il soggetto si riferisce all'opera di Tennyson Idylls of the King e in particolare al componimento Merlin and Vivien. Il gessoduro partecipò alla prima mostra della Secessione viennese nel 1898. Cfr. R. Delevoy, Fernand Khnopff. Catalogue de l'oeuvre, Bruxelles 1979 (I ed. 1962), p. 299.
(6) Anche il frontispizio di Khnopff partecipò nel 1898 alla prima mostra della Secessione e in quell'occasione di certo Klimt lo notò. Cfr. ivi, p. 241.
(7) Il volto ritratto col mento alzato era un elemento già presente nell'opera del precursore Rossetti che, in Beata Beatrix (1863 circa), aveva rappresentato la donna in preda all'estasi col volto reclinato e gli occhi chiusi.
(8) Anche questo disegno faceva parte delle venti opere di Khnopff esposte alla prima mostra della Secessione. Cfr. R. Delevoy, Fernand Khnopff, cit., p. 304.