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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 18 Numero 186 febbraio 2003



Oltre il museo

Anna Marzia Positano

Nuovi musei: il MART di Rovereto



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Tony Cragg, Pacific (1999), Rovereto, Museo di arte moderna e contemporanea

La cupola del nuovo Museo d'arte moderna e contemporanea di Rovereto, progettato da Mario Botta, vista da uno dei 'tagli

La cupola del nuovo Mart, di Mario Botta

Rovereto si arricchisce di una nuova struttura polifunzionale progettata da Mario Botta: insieme museo, auditorium, biblioteca, luogo espositivo e molto altro ancora.

Il 15 dicembre 2002 lo scarno panorama dell'architettura italiana contemporanea si è arricchito di una nuova opera dell'architetto ticinese Mario Botta: la sede a Rovereto del Mart, nato nel 1987 dalla fusione in un unico ente di due soggetti operanti in Trentino, la sezione Arte contemporanea del Museo provinciale d'arte di Trento e della Galleria museo Fortunato Depero di Rovereto.
Negli stessi anni in cui architetti come Frank O. Gehry, lo studio Morphosis, Zaha Hadid progettano i loro musei e auditorium morfologicamente destrutturati e un po' autoreferenziali che ribadiscono l'idea gratificante di architettura come evento, Mario Botta prosegue il suo coerente percorso architettonico offrendoci un nuovo saggio del suo linguaggio tenacemente "umanistico". Così come nell'arte contemporanea si coniuga ogni soluzione estetica e tecnica in una dinamica dialettica di tangenze, contrapposizioni o compresenze, in architettura convivono la perdita del "baricentro" della struttura convenzionale con la persistenza della forma architettonica tradizionale, la tecnologia avanzata dei materiali con la conservazione e lo studio delle metodologie costruttive del passato.
"Non chiamatelo museo", ammoniscono committenti e dirigenti della nuova importante struttura espositiva: cittadella della cultura, piuttosto, con l'ambizione di proiettarsi ben al di là dei confini regionali - certamente esigui per un tale impegno economico e progettuale e in ogni caso con una certa insistenza sull'"autonomia culturale" - per attirarvi le forze culturali limitrofe, dalla Lombardia al Veneto, all'Emilia, all'Alto Adige, ai paesi di lingua tedesca più a nord.
In effetti si tratta di molto più che un museo: i suoi quattro piani includono un auditorium, una biblioteca predisposta fino a un milione di volumi, l'Archivio del Novecento, una sezione didattica, una videoteca, oltre, naturalmente, alle sale destinate alla collezione permanente e alle esposizioni temporanee.

IL LUOGO
Il primo tema affrontato da Botta, con la collaborazione dell'architetto roveretano Giulio Andreolli, è stato quello dell'integrazione del museo tanto nel tessuto urbano della Rovereto settecentesca quanto in quello culturale, che coniuga l'attualità con una tradizione locale di stampo veneziano-asburgico.
L'area è quella di corso Bettini, nato sulle tracce dell'antica via Claudia, che collega Rovereto con Trento e che in epoca settecentesca ha assunto un'importante connotazione con l'edificazione di notevoli edifici le cui facciate hanno disegnato uno scenario di sobrio decoro. La caratteristica dell'assetto urbano della Rovereto settecentesca - costituito dall'asse viario delimitato dalla spina degli edifici dietro cui si allineavano le corti, gli orti e la campagna - è andata quasi del tutto perduta, ma è in gran parte salva proprio in corso Bettini. E qui si inserisce la più vistosa particolarità del Mart: quella di essere nascosto alla vista dal fronte stradale. L'area del museo è infatti arretrata alle spalle di due sobri edifici settecenteschi: il palazzo Alberti e il palazzo dell'Annona (o del Grano), ed è nello spazio tra di essi che si apre l'accesso al museo.
La soluzione di Botta è geniale: nessun fronte museale, nessuna facciata che si faccia carico di una funzione simbolica, ma una grande piazza rotonda (una corte centrale) che, "risucchiando" il visitatore nel suo enclave luminoso, è in realtà fulcro dell'intero progetto, snodo di tutti gli accessi, luogo totalmente significante e funzionale allo stesso tempo.
Nei progetti realizzati per istituzioni pubbliche Botta mantiene l'atteggiamento progettuale presente negli edifici di scala più modesta (come nelle sue molte case d'abitazione): quello cioè di trarre indicazioni dal contesto, al punto da farne dipendere in alcuni casi lo stesso impianto tipologico. Lo stesso vale per i materiali impiegati, sempre in sintonia con le tradizioni costruttive locali. Vale ricordare qui la cappella di Santa Maria degli Angeli sulla cima del monte Tamaro in Svizzera (decorata all'interno da Enzo Cucchi) interamente costruita in pietra.
Anche a Rovereto Botta ha elaborato una stretta connessione tra contesto urbano e ambiente naturale. Il lato opposto all'ingresso del Mart è in contatto con la zona collinare limitrofa, il cui verde entra in dialogo con le vetrate della copertura e con quelle del secondo piano, intervenendo nell'articolazione cromatica dell'area centrale. Ancora una volta, quindi, Botta inserisce l'elemento artificiale dell'architettura come punto di contrapposizione ma anche di cerniera con l'ambiente circostante. L'effetto si ripete nell'area esterna nord, adibita a verde (ospita tra l'altro opere di Henry Moore), che non si lega direttamente all'area urbana limitrofa, ma ne è separata da un muro che ripete l'assetto preesistente.
Il progetto ha voluto rispettare la scala urbana circostante organizzando in forma prevalentemente ipogea le varie funzioni intorno all'atrio centrale, atrio che tra l'altro ripete l'idea del vicino palazzo Fedrigotti. Il modulo del progetto è stato calcolato come frazione della maggiore dimensione del palazzo del Grano, col quale il nuovo edificio si pone in relazione. Tutte le diverse funzioni all'interno del polo museale sono armonizzate sulla base di questa misura modulare, così da creare quella che Botta definisce "una profonda tensione simbolico-monumentale".
Il grande volume quasi perfettamente quadrangolare dell'edificio si presenta nella sua unità soltanto a una visione aerea, e a essa offre la perfetta tessitura dei centottanta lucernari geometricamente allineati, che producono un'illuminazione zenitale riflessa tre volte, orientabile e graduabile in base alle necessità espositive. Altrettanto compatte appaiono le pareti esterne in pietra gialla di Vicenza, quasi per nulla ferite dall'apertura di finestre.
È interessante a questo punto confrontare questo disegno architettonico con quello di poco anteriore del Museo d'arte moderna di San Francisco, inaugurato nel 1995. Anche lì si tratta di un rigoroso volume che offre pochissime fratture sul perimetro esterno e anch'esso dotato di un atrio centrale circolare. Ma il fatto di essere sul fronte stradale e di doversi quindi "presentare" con una propria netta fisionomia ha indotto Botta a creare uno slittamento in verticale dei volumi, con un marcato effetto a gradoni e con il volume cilindrico dell'atrio che si eleva al di sopra della facciata con un arditissimo taglio diagonale. Nel Mart questi stessi elementi primari (certamente imputabili al rapporto di Botta con uno dei maestri dell'architettura del Novecento, Louis Kahn) rinunciano allo sviluppo verticale per una pacata soluzione orizzontale, armonizzata agli edifici circostanti.

LA STRUTTURA
Il punto di forza del progetto, come si è detto, è la "piazza" d'ingresso. Qui la dedizione di Botta alla forma architettonica pura e alla sua storia rende un esplicito omaggio al Pantheon romano. È un Pantheon decisamente ribassato, dato che al rapporto uno a uno tra il diametro e l'altezza del modello (m 43,30) il Mart contrappone un diametro di quaranta metri contro i ventitre di altezza. Ma l'analogia è senz'altro garantita dalla bellissima cupola in vetro e struttura metallica bianca, dalla volta ribassata, con un occhio centrale di nove metri di diametro che si rispecchia nell'impluvio di una fontana circolare centrale, priva di giochi d'acqua, con un gradonato perimetrale e un fondo nero che cattura luci e colori che penetrano dall'"occhio". La circolarità della cupola si interrompe arditamente sopra il corridoio d'accesso alla piazza per sottolinearne l'apertura creando una tesa asimmetria, garantendo comunque all'interno della piazza un microclima caldo, nel cui equilibrio interviene anche il foro centrale.
Il rivestimento della piazza, come quello esterno, è formato da lastre in pietra gialla di Vicenza, tutte sostituibili individualmente grazie a un sistema di slittamento sulle corsie in acciaio inox retrostanti e tutte tagliate secondo un'ellisse che segue la circolarità della piazza. La pavimentazione è in travertino.
Gli accessi a tutte le funzioni dislocate al piano terra sono indipendenti, disponendosi circolarmente lungo l'arco della piazza: si tratta delle funzioni di primo approccio al pubblico, compresi auditorium e ristorante. Al primo livello, che corrisponde a quello del parco esterno, si collocano la galleria per le esposizioni temporanee, la sezione didattica, la biblioteca, l'amministrazione, la direzione e un laboratorio di restauro. A questa quota, all'interno della facciata, un percorso con vista sulla piazza collega i vari settori, fungendo anche da eventuale percorso di sicurezza. Il secondo e ultimo livello ospita la galleria per le collezioni d'arte permanenti, che gode dell'illuminazione naturale proveniente dai lucernari e delle grandi finestre a taglio verticale di un "matroneo" affacciato sempre sulla piazza, che scavalca la frattura dell'ingresso con una passerella vetrata, mentre al primo livello interrato si trovano l'Archivio del Novecento con il Centro internazionale studi del futurismo, la Biblioteca e i servizi tecnici.

UNA VOCAZIONE POLIFUNZIONALE
Il punto di forza del museo è, più intrinsecamente, la sua duttilità a interpretare e assecondare il significato delle collezioni e la loro identità culturale, oltre a sottolineare la diversità e la pluralità delle diverse funzioni che vi hanno spazio.
Da un lato, quindi, osserviamo nelle sale espositive un "abbassamento dei toni", con strutture neutre e massimamente flessibili: pilastri rotondi, pareti slittanti in cartongesso e acciaio, pavimenti in acero sbiancato. Dall'altro, ma sempre con la discrezione e l'accurata scelta di materiali e colori che caratterizzano il lavoro di Botta, una dinamica di zone funzionali, dall'auditorium alle sezioni didattiche e sperimentali, ai magazzini, al gioco cromatico bianco/nero della vasta zona aperta dedicata alla biblioteca (collegata con due "cannocchiali" alla vecchia biblioteca situata nel vicino palazzo del Grano), dotata di una capacità di ben un milione di volumi e di un'ampia presa di luce che proviene da un pozzo luminoso con copertura a vetrate, aperto al piano terra.
Ora il museo attende una verifica delle sue ambizioni: sarà capace di lanciarsi oltre i confini regionali e proporsi, come anche le sue potenzialità consentirebbero, come polo culturale nazionale?

I CAPOLAVORI DEL MART
Il progetto del Mart di porsi come "museo officina" articolato su tre livelli (conservazione, ricerca e didattica) e orientato verso l'individuazione e l'approfondimento dei linguaggi artistici contemporanei nasce dalla natura delle sue collezioni e dalla dinamica che è alla base del loro accrescimento. La collezione permanente è costituita da settemila opere tra dipinti, disegni, incisioni e sculture che disegnano un percorso dentro l'arte del Novecento lungo alcune grandi linee. Nucleo costitutivo sono le tremila opere che Fortunato Depero, roveretano d'adozione, donò alla città. Intorno a esse si dispongono i lavori di altri esponenti futuristi come Balla, Prampolini, Thayaht, Dottori, Marinetti, Fillia e Crali. Il Novecento italiano è rappresentato da opere della collezione Giovanardi, data in deposito al museo nel 1997, con capolavori di Licini, Sironi, Campigli, Carrà, De Pisis. Accanto a loro altri protagonisti del secolo come De Chirico, Savinio, Casorati, Severini, Mafai; astratti come Melotti, Fontana e Burri. Molte di queste opere, di cui alcune mai esposte al pubblico, trovano ora spazio nel nuovo museo che le ha disposte secondo due livelli espositivi: l'uno dedicato alle opere chiave della collezione, l'altro all'approfondimento di particolari aree collezionistiche del museo, che includono architettura, scenografia e design. La ricerca contemporanea è osservata in modo particolare e "istituzionale" attraverso singole acquisizioni e depositi di note collezioni. Tra queste particolare rilievo è dato a una sezione della collezione Panza di Biumo, che ha concesso al Mart opere di artisti americani attivi tra gli anni Ottanta e Novanta.
L'apertura del Mart ha suggerito alla sua direttrice Gabriella Belli una mostra inaugurale che, prendendo spunto dal patrimonio del Museo, lo metta in rapporto con la situazione dell'arte internazionale del Novecento. Le stanze dell'arte. Figure e immagini del XX secolo si avvale di un centinaio di capolavori prestati da musei di tutto il mondo che, attraverso un diretto confronto, tessono quella trama di affinità, contrapposizioni e rimandi che è stata la linfa della ricerca delle avanguardie artistiche del secolo scorso.
Il prologo alla mostra si fonda su opere di Giovanni Segantini, che nel Trentino svolse la maggior parte delle sue ricerche, e di quel precursore della scultura contemporanea che fu Medardo Rosso.

Il Mart di Rovereto si trova in corso Bettini 43; telefono 0464-438887; infoline 800 397760; orario 10-18, mercoledì e venerdì 10-22.30, chiuso il lunedì; www.mart.trento.it