L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 18 Numero 187 marzo 2003



Suggestioni dal passato

Andreas Bluhm



ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Il nuovo ritmo del Novecento
Elisa Guzzo Vaccarino
n. 217 Dicembre 2005

Il tema della discordia
Paul Lang
n. 216 novembre 2005

Tradizione e Innovazione
Anna Maria Ruta
n. 214 settembre 2005

Grande mela anni Ottanta
Gianni Mercurio
n. 215 ottobre 2005

Con gli occhi di Alice
Marina Pugliese
n. 213 luglio/agosto 2005

Realta' intensificata
William Feaver
n. 212 giugno 2005


Vincent van Gogh, Autoritratto al cavalletto (inizi 1888), Amsterdam, Van Gogh Museum

Vincent van Gogh, Il seminatore al tramonto (1888), Amsterdam, Van Gogh Museum

Vincent van Gogh, Japonaiserie: ponte sotto la pioggia (1887) (da Hiroshige), Amsterdam, Van Gogh Museum

Nel centocinquantesimo anniversario dalla nascita di Van Gogh, si e' aperta ad Amsterdam la prima di una serie di mostre celebrative sul maestro olandese, un'indagine sulle opere del passato a cui egli, colto e consapevole, guardo' per trarne ispirazione. Ce ne parla qui il curatore.

Una delle leggende più diffuse sulla figura di Vincent van Gogh è quella del suo genio solitario. Apparentemente indifferente all'arte dei suoi predecessori e dei suoi contemporanei, il pittore avrebbe creato le proprie opere facendole scaturire direttamente dall'inconscio ed esprimendovi in maniera molto personale i tormenti dell'anima. Osservando i capolavori composti durante il soggiorno ad Arles, questa affermazione non appare del tutto infondata: i colori sono infatti inconfondibili, le composizioni audaci e le regole prospettiche disattese. Un pittore come lui, si potrebbe pensare, è riuscito a creare tele come quelle solo perché ignaro - del tutto o in parte - dell'arte e della sua storia.
Invece, non solo si tratta di una congettura ingenua e superficiale, ma si può a buon diritto ritenere vero il suo esatto contrario. Van Gogh dipingeva come dipingeva nella piena consapevolezza di ciò che lo aveva preceduto e di ciò che accadeva intorno a lui. Si potrebbe addirittura arrivare a supporre che, proprio in virtù della sua profonda conoscenza delle regole, egli fosse in grado di infrangerle. I fatti parlano chiaro: il pittore olandese fu circondato dall'arte in ogni fase della sua vita. Vincent aveva tre zii che facevano i mercanti d'arte, ragion per cui il mercato artistico e i suoi prodotti erano un argomento di conversazione molto ricorrente in famiglia. A dire il vero, la famiglia Van Gogh prevedeva per i suoi discendenti di sesso maschile soltanto due prospettive professionali: quella del mercante d'arte o del pastore. Uno dei suoi due fratelli, Theo, fu anche gallerista, e da giovane Vincent stesso lavorò a lungo nel settore. All'Aja e a Parigi fu impiegato presso le filiali di quella che allora era considerata la più importante società del ramo, la Goupil & Co. La ditta non solo vendeva in tutta Europa l'arte accademica da Salon, allora di gran moda e oggi ritenuta di maniera, ma gestiva anche un florido commercio di riproduzioni di antichi e nuovi maestri. Chi lavorava alla Goupil, quindi, era totalmente immerso nel mondo dell'arte e aveva modo di venire a contatto con numerosissimi dipinti.

APPASSIONATO D'ARTE

L'interesse di Vincent per l'arte, già manifestatosi in gioventù con la collezione di illustrazioni tratte da riviste, all'interno di questo ambiente si rafforzò. L'unico problema era che molte delle tele che vedeva alla Goupil e che doveva vendere ai clienti non incontravano i suoi gusti. La maggior parte di esse gli appariva probabilmente banale o semplicemente artefatta. Si sospetta che il giovane Vincent non mancasse di esternare tali convinzioni. Il suo temperamento, che abbiamo conosciuto attraverso l'epistolario, non gli consentiva di vendere arte poco genuina a clienti sprovveduti. Pur con tutto il rispetto nei confronti della sua famiglia, dopo un po' di tempo la direzione della galleria gli dette il benservito.
Le lettere, che rappresentano la nostra fonte più importante per comprendere il pensiero del pittore, sono anche la principale testimonianza della sua profonda conoscenza della storia dell'arte.
Nei documenti giunti fino a noi vengono menzionate non meno di 1.100 opere. Da alcuni anni un progetto di ricerca all'interno del Van Gogh Museum sta esaminando l'epistolario del pittore al fine di identificare tutte le opere citate. Ovviamente questo non è sempre possibile, ma pone ottime basi per la mostra La scelta di Vincent: il "musée imaginaire" di Van Gogh che il museo olandese ha dedicato all'artista in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita. L'esposizione, realizzata con il contributo di Rabobank, presenta oltre duecento dipinti, disegni e stampe, che sono stati osservati, descritti e apprezzati da Van Gogh.
In quali luoghi Vincent ammirava l'arte e quali stili prediligeva? È più facile rispondere alla prima domanda. Van Gogh vagliava quello che offriva il mercato ed era un appassionato acquirente di riviste illustrate, soprattutto inglesi. Ritagliava centinaia di illustrazioni e le incollava in albi. Inoltre, quando gli era possibile, frequentava i musei. Ad Amsterdam conosceva praticamente a memoria la collezione del Rijksmuseum. A distanza di anni dalle sue visite, era ancora in grado di descrivere in dettaglio ogni singola opera. A Londra visitò la National Gallery e il South Kensington Museum (oggi Victoria & Albert Museum). Ad Anversa si recò ripetutamente nel Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, mentre a Parigi era solito intrattenersi al Louvre per giornate intere. Conobbe i maestri dell'arte moderna al Musée du Luxembourg e in occasione di alcune mostre. Durante il suo soggiorno parigino negli anni dal 1886 al 1888 ne visitò probabilmente almeno una ventina, tra cui l'ultima esposizione ufficiale degli impressionisti. È inverosimile che si sia lasciato sfuggire qualche occasione. A Parigi approfittò naturalmente della vicinanza del fratello Theo, il quale non solo dirigeva una filiale della Goupil, ma teneva anche fruttuosi contatti con gli impressionisti e con i loro successori. Theo cercò di ampliare l'antiquato repertorio della galleria Goupil, che nel frattempo aveva assunto il nome di Boussod & Valadon, con opere di Monet, Degas, Pissarro e perfino Gauguin. Pur non vedendo di buon occhio la novità, i direttori consentirono a Theo l'esperimento; magari, chissà, avrebbe aperto nuove prospettive di guadagno. Vincent combatté attivamente insieme al fratello questa battaglia per il moderno. Ma quando, sfinito dalla vita di città, decise di trasferirsi in Provenza, pur tornando a godere della vita rurale e della riconquistata libertà artistica, rimpianse il fervore culturale parigino e le numerose visite a musei, gallerie e mostre. Solo una volta, durante una breve visita di Gauguin alla fine del 1888, si recò a Montpellier per vedere la collezione di Alfred Bruyas, oggi custodita al Musée Fabre. Lì ebbe finalmente modo di osservare di persona gli originali di alcuni dei suoi maestri prediletti.
A parte questo, Van Gogh si dedicò volentieri allo studio di riviste, recensioni, cataloghi illustrati, riproduzioni e monografie di artisti. Queste pubblicazioni affascinarono il pittore durante tutta la sua vita, suscitandone l'entusiasmo pur nelle alterne circostanze personali. Le profonde conoscenze letterarie di Vincent andavano di pari passo con il suo interesse per l'arte e la storia dell'arte. Non esiste lettera in cui egli non citi un quadro, un pittore o una monografia. Van Gogh quindi non solo era ben radicato nella tradizione, ma aveva una cultura di gran lunga superiore a quella dei suoi contemporanei, a cui venivano del resto attribuite solide basi culturali. Una differenza consiste forse nel fatto che la maggior parte dei suoi colleghi non era autodidatta e, nel corso di una lunga formazione, era stata costretta a studiare e copiare le opere degli antichi maestri. Van Gogh invece aveva dovuto costruire da solo il proprio sapere, riuscendo a compensare ampiamente le lacune sul piano tecnico con le sue conoscenze teoriche.

LA SCELTA DELLA CONSOLAZIONE

Che tipo di arte prediligeva? In realtà questa seconda domanda è un po' più complessa. A un primo sguardo Van Gogh sembra non aver avuto particolari preferenze stilistiche. Il pittore, radicale propugnatore della modernità, ammise talvolta nel proprio pantheon perfino qualche artista reazionario. Essendosi esercitato per anni nell'osservazione delle illustrazioni inglesi degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta dell'Ottocento, Vincent aveva sviluppato un occhio attento, capace di distinguere nettamente tra uno sterile accademismo e un moderato realismo. Riproduzioni come quelle da Hubert von Herkomer o da Samuel Luke Fildes suscitarono in lui un acceso entusiasmo; fatto tanto più sorprendente se si pensa al suo modo diametralmente opposto di fare arte. "Ho acquistato a buon prezzo alcune bellissime incisioni su legno tratte da The Graphic, parte delle quali prese direttamente dalla matrice e non dal cliché. Proprio quello che desideravo da anni. [...] Vi sono cose splendide, per esempio I senzatetto di Fildes (povera gente in attesa davanti a un ricovero notturno), due grandi Herkomer. [...] Proprio quello che volevo" (Lettera a Theo, 7/8 gennaio 1882).
La "povera gente", questa è la chiave dell'entusiasmo di Van Gogh. Il "musée imaginaire" lascia subito intendere la predilezione del pittore per il tema, a scapito delle modalità di esecuzione. Ciò che lo interessava di più non erano lo stile, la mano o il colore, bensì il pensiero e il messaggio. Per Van Gogh l'arte doveva superare il concetto dell'"art pour l'art", doveva coinvolgere, nella sua espressione migliore addirittura consolare l'osservatore. "Consolazione" è la parola più ricorrente nei suoi giudizi positivi.
Nonostante gli enormi progressi in campo artistico dei soggiorni di Parigi e di Arles, Van Gogh continuò a rimanere fedele a quel principio, che del resto applicava consciamente anche nelle proprie opere. Allo stesso modo in cui il sentimentalismo dei poveri contadini e degli scioperanti di Herkomer e di Millet non doveva essere foriero di messaggi politici ma mirare all'anima e portare all'immedesimazione dell'osservatore, così anche Van Gogh sperava di ottenere un simile effetto con le proprie tele. Era alla ricerca di un linguaggio figurativo che traducesse le innovazioni degli antichi maestri e delle passate generazioni di pittori.
Sotto questo aspetto la molteplicità di stili nel "musée imaginaire" di Vincent non è poi così arbitraria. Quando a Londra Van Gogh vide l'ultimo Autoritratto di Rembrandt, lo osservò come un esempio da cui trarre diretta ispirazione: in questa tela un suo conterraneo era riuscito a ritrarre in maniera incredibilmente penetrante il proprio volto. Si trattava di qualcosa di più di uno studio, di una documentazione dei segni del tempo sul viso di un vecchio; con l'Autoritratto Rembrandt poneva degli interrogativi a se stesso e all'osservatore, innalzando i lineamenti di un uomo a lineamenti di un'intera umanità. È l'arte che esalta questa testimonianza del trascorrere del tempo, affrancandola da ogni individualità e temporalità, e quindi consolando. Per raggiungere questo scopo non è necessario che Rembrandt o l'opera stessa siano affascinanti. L'onestà e la lealtà con le quali l'autore si rivela a colui che lo osserva, questi sono i valori che il giovane Van Gogh ammirava: "E poi c'è anche del Rembrandt nel Vangelo o del Vangelo in Rembrandt, come meglio ti piaccia, la sostanza è la stessa, purché si capisca la cosa da buon intenditore [...]" (lettera a Theo, luglio 1880). Quando anni dopo lo stesso Van Gogh guarderà nello specchio cercando di fissare il proprio viso sulla tela, lo farà sempre nello spirito di Rembrandt.

I MAESTRI DEL PASSATO

Non solo Rembrandt, ma anche molti altri maestri olandesi permisero a Van Gogh di ritenersi inserito in una vera tradizione pittorica anche durante il soggiorno francese. Perfino in Provenza portò impresse nella retina le immagini delle distese pianeggianti dell'Olanda: in omaggio alla patria, non solo dipinse ponti sospesi su canali, ma anche paesaggi riconducibili a modelli fiamminghi del Seicento.
In questo senso Il raccolto del periodo arlesiano o il Campo di grano sotto un cielo tempestoso di Auvers con le loro ampie vedute dall'alto sono paragonabili ai dipinti di Philips Koninck e Jacob van Ruisdael. In questi casi, i margini dell'immagine non sono nettamente definiti, per cui si crea l'illusione dell'infinito. Naturalmente la modalità pittorica e la rappresentazione del cielo nuvoloso sono diverse, e vale la pena confrontarle: laddove gli antichi maestri descrivono con dovizia di particolari, Van Gogh accenna soltanto. Ciò che conta per lui è l'essenza, il contenuto del messaggio pittorico. Così come Koninck e Van Ruisdael hanno sempre voluto comunicare con i loro paesaggi un senso di pace, dignità e rettitudine, anche Van Gogh non si limita a dipingere il momento della raccolta o un campo sotto un cielo tempestoso, ma attraverso di essi vuole rappresentare il lavoro, l'onestà e una natura plasmata dall'uomo.
Non di rado Van Gogh attinse direttamente dai suoi modelli, tra i quali rimase fedele soprattutto a Jean-François Millet. Basandosi spesso solo su minuscole e sbiadite riproduzioni, Vincent dipinse un'intera collezione di Millet. Ora applicava alla composizione dei Tosatori il proprio cromatismo, ora ambientava il Seminatore in un paesaggio giapponese. Questi esercizi possono essere considerati molto di più di semplici copie, sono tentativi di appropriarsi di Millet, delle sue composizioni e dello spirito che le animava. Sono al tempo stesso omaggi e sviluppi dei modelli. Essi riflettono l'immenso rispetto di Van Gogh per i maestri del passato, ed esprimono i suoi sforzi per arrivare a un linguaggio figurativo proprio e inconfondibile: "E anche quando sento il valore, l'originalità e la superiorità di Delacroix, di Millet per esempio, allora mi faccio forte e dico: sì, sono qualcosa, anch'io posso qualcosa" (lettera a Theo, 10 settembre 1889).
Oltre a Rembrandt, Millet e Delacroix, una delle fonti di ispirazione più importanti per Van Gogh fu l'arte giapponese. Già nel 1886, ad Anversa, iniziò a collezionare xilografie fino a possederne quasi cinquecento esemplari. Oggi queste stampe sono conservate nel Van Gogh Museum. Alcune di esse hanno gli angoli sciupati dalle puntine da disegno. Sappiamo infatti che il pittore le teneva appese nel proprio studio. Occasionalmente si cimentò anche in copie dirette, senza tuttavia limitarsi, anche in questo caso, a imitare pedissequamente l'originale.
I maestri giapponesi sono stati un modello per molti artisti moderni perché, per quanto ignari dei dettami accademici occidentali, della prospettiva e delle armonizzazioni cromatiche, hanno comunque creato magnifiche opere d'arte. Van Gogh decorò la cornice dipinta dell'Improvviso acquazzone sul ponte di Ohashi di Hiroshige con grafemi giapponesi, che riprese, in maniera più o meno accurata, da altre fonti. Cercava così di identificarsi perfino nel modo di lavorare giapponese.
La mostra La scelta di Vincent: il "musée imaginaire" of Van Gogh riunisce modelli più o meno conosciuti del famoso pittore. In vita sua, Van Gogh non avrebbe mai concepito l'esistenza di un museo che si fosse dato pena di raccogliere simili opere da tutto il mondo. L'avrebbe ritenuta un'audacia, a maggior ragione visto che questo "musée imaginaire" contempla anche alcune delle sue opere. Ai visitatori odierni è possibile comparare il risultato alla fonte d'ispirazione; non si tratta tanto - come è già stato detto - di analizzare le concordanze formali o le citazioni dirette, quanto piuttosto di valutare l'efficacia e il messaggio dei dipinti. Un simile museo immaginario permette di entrare in contatto con Van Gogh e con le sue tele in maniera nuova e forse più profonda. Circondato dai suoi ispiratori, abbiamo modo di conoscere sia la tradizione in cui si viene a collocare la sua opera, sia la forza innovativa con la quale ha dato nuovo impulso a questa tradizione.
Il "musée imaginaire" sarà allestito nella nuova ala espositiva del Van Gogh Museum. Per l'occasione l'interno dell'edificio, costruito nel 1999 da Kisho Kurokawa, viene trasformato da un architetto, Thierry W. Despont, che coronerà così uno dei suoi sogni. L'artista francese, attivo a New York, ha già diretto i lavori di restauro per la Statua della Libertà e ideato l'interno del J. Paul Getty Museum di Los Angeles. Per il Van Gogh Museum ha progettato un'architettura espositiva che fa da degna cornice al calibro del maestro e alla particolarità dell'occasione.


In mostra

L'Olanda celebra i centocinquanta anni dalla nascita di Van Gogh con tre mostre monografiche: la prima, dal titolo La scelta di Vincent, si tiene al Van Gogh Museum di Amsterdam (Paulus Potterstraat 7, 0031 205705291, www.vangoghmuseum.nl) dal 14 febbraio al 15 giugno, e riunisce opere del grande maestro a confronto con circa duecento opere di artisti da lui ammirati e dai quali la sua pittura trasse ispirazione, da Rembrandt a Millet, da Toulouse-Lautrec a Seurat, da Delacroix a Gauguin. Il catalogo è edito da Mercator Fonds; in italiano è pubblicato da Five Continents Editions.
La seconda, che ha luogo nel Kröller-Müller Museum di Otterlo (Houtkamweg 6, 0031 318591241, www.kmm.nl ) dal 14 febbraio al 12 ottobre, ha per titolo Vincent e Hélene e tenta di indagare i perché della grande passione di Hélene Kröller-Müller, fondatrice del museo, per le opere di Van Gogh e di rendere ragione delle scelte che operò nell'acquisto dei lavori del maestro olandese. La terza, dal titolo Gogh Modern, allestita anch'essa al Van Gogh Museum di Amsterdam e aperta al pubblico dal 27 giugno al 12 ottobre, ha per tema il rapporto fra Van Gogh e l'arte contemporanea, ed espone opere dei maggiori artisti del dopoguerra, con l'ntenzione di evidenziare l'influenza di Van Gogh sulla pittura del secondo Novecento.