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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 18 Numero 19 Aprile 2003



''Enfant terrible'' di inizio secolo

Barbara Paltenghi



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Egon Schiele, Nudo maschile seduto (Autoritratto) (1910), Vienna, Leopold Museum

Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi (1912), Vienna, Leopold Museum

Egon Schiele, Ritratto di Arthur Roessler(1910), Vienna, Museen der Stadt

Cresciuto nella Vienna di inizio Novecento, tra la Secessione di Gustav Klimt e suggestioni espressioniste, Egon Schiele, morto giovanissimo alla fine della prima guerra mondiale, raccoglie tutte le inquietudini di un mondo in trasformazione. Una mostra a Lugano ne ripercorre la vita e la carriera.

Egon Schiele ha ventotto anni quando il 31 ottobre 1918 soccombe all’influenza spagnola, ennesima vittima di quell’epidemia che, sul finire del primo conflitto mondiale, andava tragicamente diffondendosi in gran parte d’Europa. Qualche mese prima era finalmente riuscito ad avvicinarsi tangibilmente alla realizzazione del suo sogno di ragazzo, il riconoscimento pubblico e ufficiale che la quarantanovesima esposizione della Secessione viennese gli aveva procurato concedendogli l’onore della sala principale e la stima di pubblico e critica venuti ad ammirare le sue opere. Una soddisfazione che non poté nemmeno condividere con il suo amico e mentore d’un tempo Gustav Klimt, morto lo stesso anno lasciando vacante sulla scena artistica viennese quel ruolo di protagonista assoluto che il giovane Schiele ambiva, un giorno, poter sostenere.
Credere che una vita brevissima, e un’ancor più breve carriera artistica, siano fattori necessari alla nascita di un “mito” e a una più rapida ascesa nell’albo dei “facilmente identificabili” dell’epoca moderna, è ancora oggi opinione comune. La storia di Schiele sembra però sfidare questo preconcetto: molto tempo ha dovuto attendere prima di poter essere inserito a pieno titolo nell’albo dei grandi maestri del Novecento: anni di dimenticanza e oscuramento prima di poter essere accettato e poi finalmente riscoperto quale straordinario, e implacabile, investigatore degli istinti e delle fragilità dell’uomo, e dunque in questo senso perfetto interprete delle atmosfere e della realtà storica della Vienna “fin de siècle”.
Il percorso formativo di Schiele si svolge infatti interamente nella Vienna d’inizio Novecento, capitale indiscussa del mondo culturale dell’impero austroungarico, sede delle principali scuole, musei, sale espositive e gallerie nonché centro di produzione, istruzione e diffusione dell’arte contemporanea, dove giunge giovanissimo nel 1906 per frequentare l’Accademia di arti figurative. È, la sua, una scelta che si colloca nel solco della tradizione, ma che si dimostra ben presto estranea alle necessità di un giovane che già allora rivelava un profondo attaccamento ai propri ideali. Nel 1909 Schiele decide così di abbandonare la scuola, stanco del rigore della didattica che vi imperava e della chiusura conservatrice degli insegnanti davanti a quanto di nuovo stava accadendo, e ansioso di intraprendere un percorso più libero e indipendente.

Tra jugendstil e secessione

Le sue opere di quel periodo rivelano infatti influenze e stimoli ben identificabili: accanto al permanere di una certa sinuosità Jugendstil, la svolta in senso antiaccademico si connota come un allontanamento dal naturalismo degli esordi per adeguarsi agli esempi di Toulouse-Lautrec, Munch, Minne, Toorop e Van Gogh che Schiele ha l’occasione di ammirare grazie alle preziose e numerose esposizioni d’arte moderna internazionale organizzate dagli esponenti della Secessione.
Ma è soprattutto il principale fautore di quest’ultima storica “rivolta” contro il potere culturale ufficiale, Gustav Klimt, il più importante modello del giovane Schiele. E non è difficile immaginare quanto fosse forte l’attrazione verso un uomo che incarnava alla perfezione l’ideale dell’artista affermato e di successo: nonostante la ribellione al potere costituito e la conseguente fondazione della Secessione, Klimt e i suoi seguaci non solo non persero i contatti con le autorità ma ricevettero sedi e strutture per portare avanti il linguaggio modernista attraverso mezzi concreti per la sua diffusione. Il “personaggio-Klimt”, dall’atelier sontuoso e pieno di modelle, dall’agenda ricca di prestigiose commissioni e clienti importanti dell’alta società, non poteva non esercitare sui giovani che allora si affacciavano sulla scena una profonda impressione. E fino al 1910 circa anche l’arte di Schiele ne risente sensibilmente: nella tecnica, nella composizione, nelle scelte iconografiche, nell’importanza conferita al dato decorativo. Sono gli anni della “sua” ribellione – sfociata nella fondazione del Neukunstgruppe (Gruppo della nuova arte) – e dell’idea “romantica” di appartenenza a una generazione che necessariamente doveva superare il “vecchio” e rivolgersi al presente.
In Schiele la presa di coscienza è graduale ma culmina, nel 1910, con un nuovo distacco e una nuova partenza: quella verso l’autonomia stilistica, fatta di sensazioni private espresse senza reticenze, direttamente e liberamente su una tela (o, molto più spesso, sulla carta in disegni di straordinaria efficacia), dando espressione alle proprie naturali pulsioni di giovane uomo. Nascono così le opere che oggi s’identificano agli occhi dei più con la sua produzione, lavori che mettono a nudo, realmente e in forma allegorica, l’essere umano; corpi, scheletri ricoperti di sola pelle come anime senza protezione, quasi disarticolati nelle loro distorsioni, in pose innaturali e colti in uno spazio senza sfondo, in una visione bidimensionale. Il dato erotico che inizia a trasparire in questo periodo, e che sarà per tutta l’opera di Schiele segno distintivo ed emblema di riconoscimento, altro non è che la trasposizione di un senso vitale profondamente innato, lontano dai repressi moralismi borghesi così come da una mera volontà di trasgressione, indubbiamente figlio degli studi che Sigmund Freud proprio a Vienna aveva dato, qualche anno prima, alle stampe. Un erotismo lontano dalla goliardia, dal divertimento, dalla “passione”; un desiderio ristretto come dentro a un “bozzolo”, un piacere da non condividere e spesso rivolto solo a se stesso. Protagonista e modello prediletto è infatti spesso lo stesso artista, che trasforma il suo corpo in una presenza insistente, sdoppiata talvolta alla ricerca di un alter ego, talvolta in stretta connessione con la morte. Il risultato è ambiguo, ambivalente, lontano dall’essere univocamente interpretabile: i corpi di Schiele siamo noi, o meglio, ciò che resta di noi.

Ritratti e paesaggi

Accanto a ritratti fedeli di amici e conoscenti – opere realizzate su commissione e che gli garantivano quelle entrate che i “suoi” lavori non gli assicuravano – Schiele coltiva e sviluppa un messaggio di grande coerenza dove anche il tema del paesaggio trova piena rappresentazione quale metafora ideale della solitudine. Sia nelle vedute ispirate alla campagna, dove alberi secchi e isolati incarnano perfettamente lo status dell’uomo moderno, sia in quelle urbane (celebre la serie delle Città morte, realizzata durante un soggiorno a Krumau, villaggio d’origine della madre) l’impianto compositivo si adegua alla visione dell’artista e mostra una struttura pura, lineare, quasi geometrica nella sua precisione, lontana dalle immagini luminose di una natura bucolica. Se talora si ravviva cromaticamente con dettagli rivelatori della presenza umana (la biancheria stesa ad asciugare, per esempio), non ne mostra mai, però, la figura, proprio perché ne è già, in se stessa, l’incarnazione e l’emblema.
La precarietà dell’esistenza sembra essere il tema-fulcro attorno al quale ruota l’opera di Egon Schiele il quale, nonostante l’anagrafica giovane età, dimostra una maturità di pensiero incredibilmente sensibile. Ma dal punto di vista emotivo molti l’hanno definito “immaturo” senza per questo sminuire la portata del suo messaggio, come se il suo sguardo sul mondo, il suo puro e incontaminato sguardo sulle cose, lo avesse in un certo qual modo aiutato nel cogliere le paure e, soprattutto, la crisi di un sistema che la prima guerra mondiale avrebbe portato a estreme conseguenze, sancendo proprio dell’impero asburgico il crollo definitivo. E viene spontaneo chiedersi: essere austriaco, essere “viennese”, essere testimone di una situazione sociale tra decadenza e modernismo, quanto ha influito nelle percezioni di un giovane artista così attento a quanto lo circondava?
L’abbandono della modella e compagna Wally Neuzil e il matrimonio con Edith Harms, appartenente alla buona borghesia, sembrano essere allo scoppio della guerra il tentativo da parte di Schiele di “mettere ordine”, almeno nella vita privata. L’esperienza bellica e quella del matrimonio modificano e attenuano il suo disagio, affinando nel contempo le sue conoscenze dell’animo e della psiche dell’uomo: le forme si fanno più plastiche, le linee si ammorbidiscono, i temi si ampliano ad allegorie universali. Si affaccia un nuovo, e quasi “classico” realismo, specchio di un’armonia e di un’indubbia nuova serenità che accompagnano l’artista verso i primi, grandi successi.
La scomparsa della moglie, in attesa del primo figlio, vittima della stessa epidemia che qualche giorno più tardi avrebbe mortalmente colpito lo stesso artista, sancisce, nell’ottobre del 1918, la fine del sogno.
È autunno, la stagione prediletta così tante volte ritratta; e «la delicata, gentile malinconia di cui la natura sembra permeata in autunno […] colma il cuore di tristezza e ci ricorda che siamo soltanto pellegrini su questa terra» (Egon Schiele).

La mostra

Protagonista della stagione espositiva 2003 promossa dal Museo d’arte moderna della città di Lugano è Egon Schiele (1890-1918). Della carriera del grande maestro austriaco la mostra luganese (riva Caccia 5; telefono 0041 918007214, www.mdam.ch; orario 9-19, chiuso lunedì), aperta dal 16 marzo al 29 giugno 2003, intende ripercorrere i principali capitoli, nell’intento di fornire una panoramica completa della sua produzione attraverso una quarantina di dipinti e altrettanti disegni, acquerelli e gouache. L’allestimento, con un percorso cronologico e sale a tema, contribuisce a mettere in evidenza l’evoluzione tecnica dell’arte di Schiele: dalle opere realizzate negli anni trascorsi all’Accademia di arti figurative di Vienna (1906-1909) – che ancora risentono dell’influenza Jugendstil – al primo periodo di emancipazione stilistica (1909-1910) durante il quale i corpi sembrano quasi disarticolati nella loro riduzione all’essenza; dagli anni trascorsi a Krumau e Neulengbach (1911-1912), vicini alle innovazioni espressioniste, a quelli del ritorno a Vienna (1913-1918) durante i quali si configura una produzione ricca e sfaccettata, composta da opere allegoriche di formato spesso monumentale e da una serie di ritratti che riscuotono un tale riconoscimento di pubblico e critica da trasformare Schiele, poco prima della tragica morte, in uno dei più importanti rappresentanti della scena artistica viennese.
La mostra si avvale del sostegno di importanti musei europei e collezioni private di tutto il mondo. Tra questi il Leopold Museum di Vienna, una delle più grandi raccolte di opere di Schiele, l’Historisches Museum der Stadt Wien, l’Oberösterreichische Landesmuseum di Linz, la Staatsgalerie di Stoccarda, il Kunsthaus di Zurigo, il Tel Aviv Museum of Art e l’ETH Graphische Sammlung di Zurigo, che con i loro prestiti hanno contribuito ad arricchire un’esposizione che si configura come uno dei più completi omaggi tributati all’arte di Schiele.
Il catalogo è edito da Skira.