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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 19 Numero 196 gennaio 2004



L'arte dei castelli in aria

Pedro Azara

Le architetture fantastiche a Barcellona



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Il grido (1944), di Paul Delvaux

La citta' (1973-1974), di Miquel Navarro

La scala (1909), di Leon Spilliaert

Il capriccio architettonico nasce nell'antichita' ma trova la massima diffusione nel periodo dell'arte europea che vede la fortuna della pittura di genere, per giungere poi fino ai giorni nostri. Una mostra a Barcellona ne ripercorre le vicende: ce ne parla in queste pagine il curatore.

Verso la fine del Cinquecento una scoperta archeologica rivoluzionò l'arte e percorse come un fremito tutto il Rinascimento. Un pastore, mentre pascolava il gregge sul colle Celio, a Roma, cadde improvvisamente in una buca nascosta dall'erba. Quando riuscì a tornare in superficie affermò, sconvolto e meravigliato, di aver contemplato un nuovo mondo popolato di esseri delle tenebre, nelle viscere della terra. La cosa non deve stupire: aveva appena scoperto un edificio mitico, dimenticato da più di un millennio: la Domus Aurea, il grandioso palazzo situato vicino al Colosseo che l'imperatore Nerone, in uno dei suoi attacchi di megalomania, aveva ordinato di costruire lontano dal Palatino, dove fino ad allora si trovava la residenza imperiale.
Nerone, affascinato dai fasti e dal culto orientali, si credeva l'incarnazione di Elios, il dio Sole. Al contrario dei primi imperatori - ancora fedeli alla memoria di Romolo, vissuto in una capanna - ed estraneo all'austerità repubblicana, Nerone ordinò di costruire il più grande edificio mai esistito e lo fece decorare dai migliori artisti greci a imitazione dei palazzi orientali. Quando morì non era ancora terminato. La sua discendenza fu proscritta, e la nuova dinastia dei Flavi tornò a ispirarsi alle virtù del passato. La Domus Aurea fu quindi abbandonata, gli imperatori tornarono al Palatino e cercarono di cancellare dalla faccia della terra il palazzo di Nerone, seppellendolo e utilizzandone i grossi muri come fondamenta per nuove costruzioni, tra cui le terme di Traiano, erette sopra la collina artificiale che ricopriva il palazzo ripudiato.
Dodici secoli dopo, i suoi interni e le sue ricchezze ricomparvero intatti. I pittori rinascimentali, primo fra tutti Raffaello, vollero contemplare questa nuova opera d'arte, e riprodussero minuziosamente le scene fantastiche che si spiegavano davanti ai loro occhi stupiti. Gli affreschi erano ormai quasi completamente scomparsi, ma non erano molto diversi da quelli che tre secoli più tardi sarebbero stati ritrovati tra le ceneri di Pompei.
Fra le meravigliose opere che il palazzo racchiudeva si distinguevano alcuni affreschi a parete: quadri incorniciati dominati da bizzarre immagini architettoniche nervosamente dipinte, simili ad apparizioni fluttuanti su uno sfondo liscio, come visioni allucinatorie. Erano le prime strutture architettoniche che racchiudevano interamente il soggetto di un quadro contemplato dal mondo moderno, e dettero l'avvio a un nuovo genere pittorico: il capriccio architettonico.
Le immagini non erano però meramente decorative, nonostante l'apparenza fantasiosa e lontana dalla realtà. Anzi, erano una specie di arte religiosa. Gli edifici, posti in mezzo a paesaggi idilliaci e irreali, o le città raffigurate, non erano di questo mondo. Ma non erano neanche inventati. Erano templi e palazzi dell'aldilà. Erano le città dei morti. Gli affreschi si trovavano nelle stanze principali: finestre sull'oltretomba, punti di contatto con il mondo delle ombre. Grazie a esse, da quelle architetture immerse in una leggera nebbiolina, gli antenati potevano vegliare sui discendenti che abitavano nella casa in quel momento.
I capricci romani, e in seguito quelli pompeiani, esercitarono un'influenza decisiva nell'arte. Preludono quasi al carattere desolato e fantastico delle piazze metafisiche del primo De Chirico, popolate - se mai il termine è adatto a spazi tanto vuoti - da minuscole e accurate figure, appoggiate sopra ombre allungate davanti alle quali gli uomini si scoprono creature fragili ed evanescenti.

- Nascita di un genere

Capriccio non è una parola antica. È un termine coniato alla fine del Rinascimento che aveva, e ha ancora, secondo i dizionari, due diversi significati con un punto in comune. Un "capriccio" era un movimento dell'anima, o più precisamente una subitanea eccitazione della facoltà immaginativa che dava origine a ogni genere di sfolgoranti immagini mentali in continuo e rapido mutamento. Tali immagini avevano ben poco a che fare con la realtà; mostravano figure, paesaggi e costruzioni innovative senza alcuna relazione con quelle che l'artista poteva vedere con i suoi occhi. Questa specie di turbamento prendeva soltanto quegli artisti che, appena l'immaginazione si infiammava, cercavano di plasmare il più fedelmente possibile le visioni che si affollavano nella loro mente l'una sull'altra. Erano talmente fugaci, e venivano subito sostituite con altre ancor più sorprendenti, che i pittori avevano a malapena il tempo di fissare le varie scene con poche pennellate nervose, creando così quadri dall'apparenza abbozzata, composti da una trama di macchie apparentemente sconnesse: quadri dipinti con estro, con furia, come nella trattatistica classica si diceva per esempio del Tintoretto o del Greco.
Il termine "capriccio" serviva anche a designare un tipo particolare di opera d'arte, o per meglio dire un genere artistico comprendente quadri i cui soggetti non imitavano niente di noto, poiché erano in effetti creazioni della facoltà immaginativa. Tra gli artisti che vi si dedicarono si distingueva Arcimboldo, famoso per i ritratti composti da un'ingegnosa composizione di frutti, fiori o animali.
Il capriccio in generale, e in particolare quello architettonico, era un genere minore, posto allo stesso livello della natura morta, del paesaggio e del ritratto, tutti di molto inferiori rispetto ai due generi principali per eccellenza, la pittura di storia (specialmente quella mitologica) e la pittura religiosa. Il capriccio architettonico, insieme al capriccio di rovine, era un sottogenere del capriccio. Gli artisti che lo praticarono non sono molto conosciuti. Alcuni vi si specializzarono a causa di proprie difficoltà nel disegnare figure umane. Eppure il successo non venne meno. Anzi, i quadri godevano di grande considerazione (e non solo quelli del Canaletto), per cui in molti aprirono botteghe importanti dove riproducevano, con scarse varianti, viste architettoniche di solito vuote e in penombra, sempre molto simili tra loro. Soltanto alcuni pittori veneziani del Settecento, come Marieschi, Bellotto e il fortunato Canaletto sono giunti al grande pubblico dei giorni nostri, gli altri sono rimasti ai margini della storia, dimenticati al cospetto dei grandi maestri classici.

- Il capriccio architettonico

Alcuni dei pittori di capricci erano architetti o avevano nozioni di architettura (Vredeman de Vries alla fine del Cinquecento pubblicò perfino un trattato di prospettiva, molto apprezzato nel Nord Europa). Però, in generale, non costruivano: oltre a dipingere lavoravano come scenografi (per le feste, i teatri e le grandi parate reali) o come architetti di giardini, piegando la natura ai loro sorprendenti progetti, dotando di artificio il mondo naturale.
Fu senza dubbio questo gusto per la maschera e il travestimento che spinse alcuni tra i migliori pittori di capricci manieristi a lavorare alla stravagante corte del re Rodolfo II, a Praga; una corte popolata da astrologi, alchimisti e stregoni che di notte, in botteghe appartate e circondati da filtri delle specie più rare, cercavano i reconditi segreti della natura, per scoprire e onorare i disegni divini, e che allo stesso tempo illuminavano ed edificavano la loro anima durante il processo di rivelazione. Vano intento.
Ciò che mostrano i quadri di capricci architettonici ha in sé qualcosa dell'alchimia. I pittori di capricci del Settecento, come Hubert Robert, raffiguravano composizioni legate alla concezione massonica dell'architettura, secondo cui la contemplazione di grandiose immagini architettoniche rendeva possibile l'elevazione dello spirito, oltre a edificare e rafforzare l'animo.
Tutta una serie di scoperte, verso la metà e la fine del XV secolo, modificò radicalmente la percezione del mondo e del posto occupato dall'uomo nel cosmo. La terra cessò di essere il centro dell'universo e fu ridotta a un astro errante e periferico che, insieme ad altri pianeti, girava intorno al Sole.
Nel frattempo, l'uomo raggiunse la consapevolezza che il mondo classico, tanto imitato, era ormai solo rovine: l'oscura epoca medievale, riuscita a spegnere le luci greche e romane, lo teneva separato dal presente. Dalla parte opposta, il pianeta era in continua espansione. Vennero alla luce nuovi continenti e popoli fino ad allora sconosciuti. La Terra, un tempo vista come uno spazio ridotto e fluttuante in mezzo al cielo, con al centro Gerusalemme o Roma, circondato da oceani e terre ignote, crebbe e divenne sempre più insicura, e al contempo misteriosa e stimolante. Lo stesso cielo, fino a quel momento immutabile, si riempì di stelle numerosissime e lontane, liberate dalla tutela dell'orbe; e pure gli atomi, rivelati dal microscopio, apparivano come minuscoli asteroidi. Il mondo era un invito a viaggiare, era pieno di incertezze e pericoli, come un enorme, stancante labirinto.
I capricci architettonici, quelli organizzati secondo punti di vista multipli, circondati e interrotti da prospettive aperte in tutte le direzioni, che attraversano gli edifici e sbucano su paesaggi spesso ombrosi o boscosi; oppure quelli coperti da grandi volte e cupole sorrette da altissime colonne troppo stilizzate; o ancora quelli in cui svaniscono i confini tra interno ed esterno, furono forse il simbolo della crescente incertezza dell'uomo al centro di un mondo che sfugge, un mondo che non è più fatto per accoglierlo e obbedirgli, e che non si svela più davanti a lui, proprio nel momento in cui tentava di sottometterlo ai suoi diversi punti di vista. Le figure dei quadri sono molto piccole rispetto all'architettura, e talvolta collocate in disparte, verso i bordi della campitura; i capricci testimoniano così la recente scoperta della fragilità dell'uomo, e la sua crescente curiosità di esplorare il mondo.
I capricci, lungi dall'essere immagini decorative prive di senso, esprimono forse la sensazione che il mondo, costruito dall'uomo con pretese di eternità, sia invece sottomesso al dominio del tempo, e che la rovina compaia come un'ombra di fronte all'uomo, come suggerisce la tragica definizione di Pindaro che ebbe tanta risonanza nel Barocco: cos'è la vita se non un'illusione, una fantasia che l'uomo si costruisce?

LA MOSTRA

Col titolo La ciutat que mai no existí. Arquitectures fantàstiques en l'art occidental (La città mai esistita. Architetture fantastiche nell'arte occidentale) è aperta fino al primo febbraio a Barcellona una mostra dedicata al capriccio architettonico tra XVI e XVIII secolo (Centre de Cultura Contemporània de Barcelona; orario 11-14, 16-20 martedì, mercoledì e venerdì, 11-20 mercoledì e sabato, 11-19 domeniche e festivi, chiuso il lunedì; telefono 0034-902101212; www.cccb.org; dal 24 febbraio al 30 maggio la mostra sarà a Bilbao).
L'esposizione è organizzata dal Centre de Cultura Contemporània di Barcellona e dal Museo de Bellas Artes di Bilbao ed è curata da Pedro Azara. Comprende circa ottanta opere provenienti da collezioni europee e sudamericane. Si compone di sette sezioni contraddistinte da alcuni espedienti tecnici o compositivi a cui ricorrevano gli artisti per dare un'immagine di irrealtà o fantasia ad architetture e città che in alcuni casi esistevano realmente: Architettura di altri mondi (in particolare gli affreschi pompeiani); Architettura leggendaria (immagini romantiche di castelli); Spazi ambigui (capricci manieristi e barocchi fiamminghi e spagnoli); Città maledette (immagini di Babilonia e Troia nell'arte manierista fiamminga); Nei confini dell'abitabile (il confronto tra architettura e natura nell'arte barocca); Architetture della dismisura (architetture massoniche del secolo dei Lumi); Spazi (in)transitabili (impianti contemporanei che giocano sulla confusione). Tra i principali artisti rappresentati: Hans Vredeman de Vries, Viviano Codazzi, Francisco Gutiérrez, Marco Ricci, Michele Marieschi, Francisco Collantes, Bernardo Bellotto, Francesco Guardi (solo a Bilbao), Hubert Robert, Victor Hugo, Karl Friedrich Schinkel, Giorgio de Chirico, Paul Klee, Max Ernst, Paul Delvaux, Mario Sironi, Viera da Silva, Catherine Yass, Miquel Navarro, Ann Veronica Janssens, Antoni Tàpies.