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Around photography (2004-2009) Anno 2 Numero 7 settembre-ottobre 2005



XI Biennale internazionale di fotografia

Sergio Giusti



riverberi dalle immagini infocinevideofotografiche
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Tano D'Amico, ragazza e carabinieri, 1977

Franco Zecchin, Palermo, 1973

Sandro Becchetti, P.P.P. 1971

"Una civiltà democratica non si salverà se non farà del linguaggio delle immagini una provocazione alla riflessione e non un invito all'ipnosi." Con questa frase di Umberto Eco si inaugura quest'undicesima edizione completamente dedicata al fotogiornalismo italiano.

Viene affidata a Uliano Lucas la cura dell'undicesima edizione della manifestazione legata alla torinese "Fondazione italiana per la fotografia", e lui, coerentemente col suo background, le imprime una precisa direzione. Una cavalcata di immagini che, dalla cronaca al reportage, all'immagine da rotocalco, ripercorre la storia e l'evoluzione della professione fotogiornalistica nella penisola. Non manca nell'impostazione del curatore una certa volontà storico-didattica e una lodevole intenzione di mostrare come il prodotto fotogiornalistico, la foto in sé, non possa essere disgiunto dal supporto che lo ospita, il giornale illustrato. Di qui l'attenzione per il cammino intrapreso dalle varie testate italiane, dall'Europeo e il Tempo fino agli inserti periodici dei quotidiani odierni, con le loro scelte editoriali che condizionavano e condizionano in positivo e in negativo l'attività dei fotografi. Non scontata poi l'attenzione per l'aspetto grafico, con la menzione del lavoro di grandi grafici, uno fra tutti Albe Steiner, e della sua capacità di potenziare e interloquire con l'immagine fotografica. Per questo motivo accanto alle stampe sono riprodotte alcune pagine dei giornali in cui le foto venivano ospitate.
La rassegna non vuole però passare per una celebrazione delle gesta dei fotografi, ma spesso si mostra critica verso gli esiti del giornalismo fotografico italiano, pesantemente condizionato da un'impostazione che ha privilegiato, secondo Lucas, l'evasione all'informazione. E il motivo è ovviamente di carattere politico, dovuto alla guerra fredda e alle ingessature della classe dirigente italiana. È per questo forse che la mostra si apre con la prima Verifica di Mulas, l'omaggio a Niepce ­­­­­­­­ quella esposizione non-esposizione del rullino non impressionato, che vuole far riflettere sull'unità di misura dell'oggetto fotografia, preesistente il fotografo e che, nello stesso tempo, nel suo nero enigma ricorda a questi la responsabilità di quanto può scaturire dall'uso di quell'oggetto.
Seguono poi gli scatti di autori noti e meno noti, dai minatori di Carbonia di Patellani alla dolce vita di Tazio Secchiaroli, dalle mondine di Enrico Pasquali e di Jacqueline Vodoz, influenzate da una poetica neorealista, alle foto di scena dell'epopea del grande cinema italiano. E poi ancora il Dondero del gioco degli sguardi, quasi metafora del voyeurismo fotografico, e sempre per restare ai vetri appannati, l'immagine mitica della vecchia Milano al Bar Jamaica di Alfa Castaldi. Ancora a Milano, curiosa la fotografia di Carlo Orsi che cattura un'immagine dei primi anni della Linea 1, in cui un Ghisa in bianco prefigura nella posa la città della moda a venire. Avanzando negli anni attraverso testate che sperimentano nuovi linguaggi, da Le Ore a Vie Nuove, fino ad arrivare a Epoca, quasi clone italiano di Life, incontriamo il Mario De Biasi dell'invasione sovietica dell'Ungheria e il Giorgio Lotti dei disastri ambientali, la Venezia inquinata e l'alluvione di Firenze. Negli anni '70 della contestazione e della controinformazione, fra foto di cortei e problemi di immigrazione nelle metropoli del Nord Italia, troviamo spesso il tema della condizione dei malati nelle strutture psichiatriche; viene in mente allora la lotta di civiltà portata avanti da Basaglia e il recente film-fiume La meglio gioventù. E ancora, siamo agli '80, la battaglia dell'Ora di Palermo nella denuncia del fenomeno mafioso, e citerò esemplarmente la vedova accanto al marito assassinato di Franco Zecchin.
Ma Lucas sembra aspettare al varco l'arrivo degli anni '90 per potersi scagliare contro la fotografia digitale, ben inteso non tanto per la tecnologia in sé, ma per l'uso che ne viene fatto. Denuncia infatti la massificazione e l'omogeneità iconografica provocata dall'uso delle banche dati da parte dei giornali, e la logica vacua da "società dello spettacolo" che sta uniformando il linguaggio del fotogiornalismo a meccanismi di tipo pubblicitario. Emblematica di questa spettacolarizzazione della società potrebbe risultare un'immagine del 2005 di Pablo Balbotin, di per sé non particolarmente rutilante, raffigurante un maxischermo in Piazza San Pietro che trasmette… Piazza San Pietro!
Il curatore ci spiega ancora come alcuni reporter si siano rifugiati, davanti all'indisponibilità delle nuove riviste a un'impostazione adeguata al loro lavoro, nella costruzione di progetti fotografici che ricordano certa fotografia di ricerca, per entrare poi nel circuito delle gallerie. Appare però scettico sul fatto che questo possa ancora costituire un vero servizio di informazione.
In questa analisi della crisi del reportage, che certamente contiene una prospettiva per alcuni versi condivisibile, Lucas rivela però una certa dose di pregiudizio verso i cambiamenti in atto nella fotografia, e non coglie forse appieno alcune problematiche sulla questione della verità ai tempi della tecnologia digitale. Si mostra infatti portato a imputare buona parte della fine del genere a un ritrovato tecnologico. Sicuramente è cosciente che dietro le macchine c'è una società che le muove, ma forse varrebbe la pena di considerare un altro punto di vista, che tenga conto di un radicale cambiamento senza false nostalgie, ma neppure senza acclamare (o inveire contro) rivoluzioni digitali come punti di non ritorno. La società di oggi è andata in superficie e la fotografia, supporto superficiale per eccellenza, non può che registrare tale superficie. Questo non vuol dire che sia venuta a mancare qualsiasi profondità, ma diviene sempre più imprescindibile lo scavo, la scrematura, la ricerca di nuove soluzioni. Il fotogiornalismo, anche digitale, perche no?, deve andare a scavare, trovare nuove narrazioni e contro-narrazioni, uscire dal piano degli stilemi imposti, anche di quelli del fotoreportage tradizionale.
Sergio Giusti