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Espoarte Anno 7 Numero 40 aprile-maggio 2006



Diango Hernández

Livia Savorelli

Intervista



Contemporary Art magazine
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“Pagina”, 1998-2005
from Exhibition Catalogue “Revantgarde”
Lukas & Sternberg – New York

“Revantgarde”, 2005 - Paolo Maria Deanesi Gallery, Italy

Courtesy of Paolo Maria Deanesi Gallery - Rovereto - Italy

Revolution” 2006 (Installation View)
Kunsthalle Basel, Switzerland

Courtesy of FREHRKING WIESEHÖFER
Cologne - Germany

Revolution” 2006 (Installation View)
Kunsthalle Basel, Switzerland

Courtesy of FREHRKING WIESEHÖFER
Cologne - Germany

Livia Savorelli
Il tuo lavoro nasce e si snoda attraverso la situazione economica e politica di Cuba, dopo il crollo dei sistemi socialisti nell’Europa dell’Est. In passato hai dichiarato: La mia attività artistica prendeva avvio da una coscienza collettiva. L’Avana rappresentava lo sfondo, un enorme paesaggio di errori…lavoravo a casa a notte fonda e non ne potevo parlare con nessuno. Iniziai a commentare le circostanze, i luoghi e le opinioni della gente in modo quieto e modesto…. Il disegno è, oltre a strumento di riflessione, presa di coscienza individuale e collettiva. Si può considerare come una trascrizione visiva di un “diario”, nel quale la quotidianità emerge con una forza dirompente? Quali sono i margini di “reazione” permessi all’artista in quel determinato contesto socio-politico? E a quali vincoli deve sottostare l’espressione artistica?

Diango Hernández
La crisi economica, politica e sociale di Cuba, all’indomani della caduta della “cortina di ferro”, è stata al centro dei miei studi per anni. Ho sviluppato il mio lavoro con altri artisti cubani, con cui ho fondato nel ’94, l’Ordo Amoris Cabinet.1
Quello che è emerso dalla realtà cubana in questi anni (’89-’99) mi ha toccato dal punto di vista etico ed estetico e ha mutato le mie prospettive. Noi cubani siamo stati costretti a modificare le nostre abitudini e a cambiare sogni.
In quel periodo è iniziato un altro incontro con la realtà: un dialogo sotto voce, ove le più diverse opinioni del cubano medio sono registrate e archiviate in modo spontaneo, su qualsiasi pezzo di carta trovato. Nel giro di un paio d’anni ho prodotto un corpus consistente di disegni: una sorta di diario e, allo stesso tempo, una dichiarazione di emergenza, qualcosa di simile alla cassa nera di un aereo in piena caduta. Nel disegno come pratica e attitudine, ho iniziato a costruire il mio universo, ove le idee politiche non sono altro che poesia.
Margini e limiti appartengono alla vita ancor prima che all’arte. Nel nostro caso l’isolamento è doppio: l'artista ha bisogno d’informazione e di contatto con l'altro, con la controparte culturale e di sviluppo del pensiero e, inoltre, l’arte esige una struttura capace di creare domanda e offerta.
Il nostro sistema economico, centralizzato sullo Stato, non è stato in grado, neppure negli anni di splendore economico, di creare una dinamica favorevole per lo sviluppo di questi fattori.
Nel ’61 Castro, nel discorso Parole agli intellettuali dichiarava … con la rivoluzione, tutto; contro la rivoluzione nulla: una massima della politica culturale cubana, che io non ho mai ho capito, perché tutto quello che significa contro, oggi, può essere cambiato domani.
Grazie a mia madre, ho compreso quanto potevo imparare sfruttando ciò che il sistema mi offriva, studiando all’Istituto di Design dell'Avana. Poi, ho deciso di abbandonare ciò che mi legava al “collettivo” per seguire la mia strada –e questa è stata la mia via di fuga- e ho scoperto che non c’era censura ma neanche un governo capace di indicare cosa fare o no.

L.S.: Nei tuoi disegni aleggia sempre il desiderio di creare una nuova forma di linguaggio, facendo interagire le icone della bellezza: una possibilità che ravvisi possa essere adottata anche in politica. In passato, hai definito il tuo lavoro Revantgarde, cosa intendi con questo termine?

D.H.: Il disegno è per me un qualcosa di incompleto, carente e imperfetto, un desiderio frustrato ma, allo stesso tempo, un progetto di emergenza per creare una speranza, soprattutto politica. In questo modo nasce il mio universo -pieno di “begli errori”- ove l’obiettivo è contrapporsi all’ideale di ordine e perfezione dell’occidente. La bellezza è sempre uno strumento di seduzione ma anche di lotta: con la bellezza è possibile stabilire un dialogo senza pregiudizi ed esprimere anche le questioni più terribili.Revantgarde è nato come contropartita di Avant-garde. Revantgarde è chi sta indietro e non davanti: è un termine che sintetizza la mia strategia personale ed artistica.
Nel 2005, ho presentato alla Galleria Deanesi col titolo Revantgarde, una serie di lavori che riflettevano sull’essere indietro, su quanto è rimasto passato perché non c’è stato il coraggio di trasformarlo in futuro, su come il ritorno possa essere possibilità politica. In sintesi, il ritorno come denuncia al futuro che la globalità delinea.

L.S.: Nelle installazioni –fulcro della tua ricerca- l’oggetto decontestualizzato torna in vita come “architettura temporanea”, in assemblage di elementi attinti dalla realtà destinati a esistere solo per il tempo della rappresentazione. Esempi di quella “cultura provvisoria”, che costituiva la base teorica di ORDO AMORIS, il sodalizio nato tra te e Francis Acea.
Oggetti tratti da una situazione di precarietà, come lampade, utensili da cucina, vestiti, mezzi di locomozione, che richiamano la società cubana e divengono archeologie del quotidiano. Quale significato attribuisci alla decontestualizzazione di questi frammenti di identità, individuale e collettiva e alla loro ricollocazione in un ambito nuovo, ovvero nell’arte?

D.H.: Gli oggetti mantengono la propria identità ma sono strumenti di investigazione estetica ed etica: diventano parole universali, che impiego per formulare le mie storie, che si liberano in una sorta di esperanto. Di solito uso oggetti usati e comuni e li riordino nel territorio artistico. Questa ricollocazione assurda e capricciosa fa diventare gli spazi dell'arte frustrati, perché atti alla sola riflessione. Gli oggetti, privati della propria funzionalità o mutilati, hanno una nuova funzione, articolare storie temporanee. Inserendo l’oggetto quotidiano all’interno di circostanze inedite, riesco a stabilire un dialogo diretto e spesso molto intimo con lo spettatore, che diventa complice della storia che ho creato.

L.S.: Dopo la partecipazione alla 51. Biennale di Venezia e una personale al BIS/altes Museum (Mönchengladbach, Germania), sei stato impegnato con Revolution alla Kunsthalle di Basilea….

D.H.: Nel progetto Revolution, ho affrontato per la prima volta il tema della “rivoluzione” seguendo un approccio complesso: d’altronde, è un tema cui mi sento particolarmente vicino essendo nato e cresciuto all’interno di un processo rivoluzionario. La mostra si focalizza sul ruolo dell’individuo nella società socialista e sulle sue problematiche. Ė composta di varie parti, con l'installazione As a drop I am going out of my home, che ne scandisce il ritmo. Questa è formata da un gruppo di oggetti (mobili, lampade, tavoli, letti, etc.) che sono stati posti ricreando un ambiente domestico ma che hanno come unica funzione il sostegno di un sistema idraulico che attraversa lo spazio, tracciando un percorso. La partenza è un rubinetto attaccato a una porta e l’arrivo un paio di bidoni metallici, che si trovano al fondo dello spazio, sopra un armadio. Gli oggetti sono attraversati –e, quindi, in un certo senso “violati” e immobilizzati- dal tubo metallico, che nel suo percorso forma un sistema tale per cui l’esistenza e la sopravvivenza di ciascun elemento dipende dall’altro. La costruzione di sistemi alternativi e di emergenza è parte fondante della mia ricerca: in questo caso sono coinvolti anche elementi collaterali, che evocano una situazione psicologica –paura, paranoia, isolamento, autocensura- propria dell’individuo costretto in un determinato sistema politico. In questo modo, un termine politico come Revolution si eleva a una forma più complessa, incarna un progetto ove diversi medium si fondono in una drammaturgia, quella della decadenza e della poesia.

L.S.: Quali progetti hai nell'immediato futuro?

D.H.: In questo periodo sto preparando due personali, una a Madrid, alla Galeria Pepe Cobo e un’'altra a New York, da Alexander and Bonin. Le due mostre, che saranno realizzate in contemporanea, si concentrano sulla relazione fra spie e traditori, un tema che affonda le radici nell’antichità e che ancora oggi è decisamente attuale.



1. Ordo Amoris Cabinet: Progetto di collaborazione artistica nato a l’Havana nel 1994 e dissolto nel 2003, fondato da Diango Hernández, Ernesto Oroza, Francis Acea e Juan Bernal poi tra il periodo 1997-2003 sviluppato da Diango Hernández e Francis Acea.



Diango Hernández è nato a Sancti Spiritus (Cuba) nel 1970.
Vive e lavora tra Dusseldorf (Germania) e Havana (Cuba).



MOSTRE PERSONALI RECENTI
2006 – Revolution, Kunsthalle Basel, Svizzera
2005 -The museum of Capitalism, BIS Museum, Monchengladbach, Germania
Revantgarde, Paolo Maria Deanesi Gallery, Rovereto

MOSTRE COLLETTIVE RECENTI
2006 - Biennale Cuvee, O.K Centre for Contemporary Art, Linz, Austria
2005 – Sempre un po’ più lontano, Arsenale, 51. Biennale di Venezia, Venezia
Biwak, Frehrking Wiesehofer, Colonia, Germania
Opening, Paolo Maria Deanesi Gallery, Rovereto

Gallerie di riferimento
Alexander and Bonin , New York, Usa
Galeria Pepe Cobo, Madrid, Spagna
FREHRKING WIESEHÖFER, Colonia, Germania
Paolo Maria Deanesi Gallery , Rovereto