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Stile Arte (2006-2011) Anno 10 Numero 103 novembre 2006



Artemisia denudata dai giudici

Enrico Mirani



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea


La mostra di copertina: Parma, il Medioevo meraviglioso

Scoperte: Botticelli, il ritratto svelato
Perucolo, al rogo quell’artista

Arte curiosità

Iconologia: Correggio, il rebus della vedova

Cinquecento: Sorprendente Amalteo

Donne e pittura: Artemisia denudata dai giudici
Il ’500 in arte, la nascita del “femminismo”

Scoperte: Volò, il pittore che dipingeva i profumi

Settecento: InGoya il rospo

Iconologia: Al di là delle nuvole

Arrivano dal cielo, oggetti volanti in pittura

Iconografia: Cambia la società, mutano le nubi

Ottocento: La verità è in Laguna

I rivoluzionari pentiti: I fantasmi buoni di Derain

Alle radici del moderno: Marino e Marinetti erano gemelli
Il Narciso frantumato

Contemporanea: La linea che riconcilia Apollo e Dioniso
Tramonta, lo slancio vitale

Art food: L’eternità del prosciutto

Codici miniati: Il Messale di Natale

L’agenda delle mostre

Arte curiosità
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n. 129 novembre-dicembre 2009


Lavinia Fontana, "Minerva nell'atto di vestirsi"

Sofonisba Anguissola, "Ritratto di famiglia"

Gli atti del processo alla Gentileschi, tra violenze, inganni carnali, promesse e tanta pittura.Ecco le parole scabrose dei protagonisti raccolte dal cancelliere nel 1612. Uno straordinario spaccato relativo ai rapporti tra i pittori, al ruolo emergente delle donne artiste e ai pericoli ai quali esse si esponevano.

La pioggia batte rabbiosa sugli antichi vicoli della città di papa Paolo V, cancellando la luce di un pomeriggio di maggio nell’anno del Signore 1611. Nella stanza grande della sua abitazione - una casa sobria ma decorosa d’artista nel cuore di Roma - la giovane intinge il pennello nei colori della tavolozza. Artemisia lavora al ritratto di un bambino, che i posteri non vedranno mai: il figlio di Tuzia, amica di famiglia e pigionante nello stesso edificio. Il quadro sta venendo bene, pensa la donna. E’ bella, vigorosa nei suoi 18 anni, sa leggere e presto imparerà anche a scrivere, coltiva orgogliosa il suo talento artistico.
Nessuno disturba quel momento creativo. I fratelli sono fuori, il padre Orazio è impegnato sul Monte Cavallo, il Quirinale, ad affrescare la Loggetta nei giardini del cardinale Scipione Borghese. In una parte lontana della casa lavorano alcuni muratori; sono discreti ma distratti: hanno dimenticato aperto l’ingresso, dando l’occasione per l’inizio di questa storia.
Improvvisamente, infatti, la solitudine della giovane muta in compagnia inaspettata. Di soppiatto nella stanza entra Tuzia, che maliziosamente conduce Agostino, un trentenne piacente e scapestrato, che Artemisia conosce, amico e compagno di lavoro del padre a Monte Cavallo. Agostino congeda Tuzia, blandisce la giovane che resta fredda, poi la spinge in camera.

Mi mise un ginocchio
tra le coscie ch’io
non potessi serrarle


Artemisia non può difendersi. Mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le coscie ch’io non potessi serrarle et alzandomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntandomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro che io sentivo che m’incendeva forte e mi faceva gran male che per lo impedimento che mi teneva alla bocca non potevo gridare... E gli sgraffignai il viso e gli strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una matta stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne, con tutto ciò lui non stimò niente e continuò a fare il fatto suo che mi stette un pezzo addosso tenendomi il membro dentro la natura e doppo ch’ebbe fatto il fatto suo mi si levò da dosso.
Allora Artemisia, stuprata e sverginata, nemmeno si ricompone, corre alla tavola della cucina, prende un coltello e si avventa contro l’uomo, ma lo ferisce solo leggermente. Datemi la mano che vi prometto di sposarvi, dice solennemente Agostino dopo averla calmata, sapendo già di compiere spergiuro.
Davanti a Francesco Bulgarello, magistrato del Papa, il 28 marzo 1612 Artemisia Gentileschi raccontò con quelle parole la violenza subita ad opera di Agostino Tassi. I verbali con gli interrogatori dei vari protagonisti della vicenda, serviti per istruire la causa, sono pubblicati nel libro Artemisia Gentileschi, Lettere. Precedute da Atti di un processo per stupro, a cura di Eva Menzio. Tassi restò in carcere un anno prima del giudizio, che lo condannò ad alcuni mesi di reclusione.
A denunciarlo fu il padre di Artemisia, Orazio, 48enne affermato e valente pittore, quasi un anno dopo i fatti, nel febbraio del 1612. Un ritardo sospetto, perché la giovane non gli aveva tenuto nascosto il “vittuperio” subìto. Probabilmente più che la volontà di giustizia fu la rivalità fra artisti - e il mancato rispetto della promessa matrimoniale avanzata dal Tassi - a spingere il Gentileschi a chiedere al Papa di procedere contro il pittore, che aveva forzatamente sverginata e carnalmente conosciuta più e più volte la figlia.
Nei primi mesi del 1611 Tassi e Gentileschi stavano lavorando al grande affresco della Loggetta del cardinale Borghese (poi chiamato il Casino delle Muse proprio per la loro opera). Erano amici, con età e personalità molto differenti. L’uno, Orazio, dal suo amico Caravaggio non aveva certo mutuato il carattere: conduceva vita morigerata, era burbero, silenzioso, riservato. L’altro era detto lo Smargiasso, alle spalle un matrimonio tenuto segreto, un paio di processi (uno addirittura per incesto con la cognata), il forte sospetto di aver fatto ammazzare la moglie. Orazio era uno straordinario pittore di figure, Agostino un virtuoso dei paesaggi. Nell’affresco al Casino delle Muse la loro arte si fondeva. Lavorando spalla a spalla, condividevano pensieri e parole, maturavano lealtà e dissapori. Si frequentavano anche fuori, ed Agostino era spesso ospite di casa Gentileschi in via Margutta. Orazio si fidava di lui, tanto da chiedergli di dare lezioni di prospettiva a quella figlia 18enne, già così promettente.
Le invitanti fattezze della giovane erano un tormento quotidiano per l’ingordigia amorosa ed erotica di Tassi. Sui ponteggi della Loggetta cominciò ad invaghirsi di Artemisia. Tutti i giorni l’aveva sotto gli occhi. Orazio, infatti, per due figure aveva scelto la figlia come modella. Una pittura, soprattutto, la fissa con un ventaglio in mano, solitaria, bella, lo sguardo altero verso l’osservatore che l’ammira dal basso.
La passione cresceva nell’anima e nel sangue dello Smargiasso, probabilmente ricambiata da Artemisia. Che però era una giovane a modo, sempre sorvegliata da Tuzia, incaricata da Orazio di vigilare su quel bocciolo troppo bello e desiderato dagli uomini. Quella Tuzia che, fattasi mezzana, avrebbe invece favorito e coperto la violenza di Tassi, subendo pur’ella il processo.
Quando Gentileschi denunciò il traditore l’affresco era finito. Orazio poteva finalmente dare sfogo a gelosie affettive (quella figlia così amata…), rivalità, desiderio di vendetta, rancori (Tassi aveva fatto sparire un quadro da casa Gentileschi, l’altro lo accusava di dovergli dei soldi…). L’onore della figlia era un fatto secondario: tant’è proprio la denuncia e il processo misero Artemisia sulla bocca di tutti, donna violata e sospettata (ingiustamente) di immoralità. Non solo: scontata la condanna, Agostino e Orazio ridiventarono amici e colleghi, uniti dall’interesse.

Lo stupratore: Tanti uomini
andavano per chiavarla


A subire la pena maggiore fu Artemisia: sedotta, abbandonata, calunniata. Dopo lo stupro, illusa dalla promessa di matrimonio, si concesse più volte ad Agostino, che davanti al magistrato l’accusò di portarsi da puttana. Tanti uomini, raccontò, andavano da Artemisia per chiavarla, perché una volta mentre ch’io passavo di lì alzano gli occhi alla finestra viddi che Artimitia haveva un braccio su la spalla a quel vestito di longo (un uomo con l’abito talare, ndr) e quando mi viddero si retirorno, e lei mi chiamò poi la sera, che passavo di lì alla finestra e mi disse che di gratia non dicessi niente di questo a suo padre. Dunque, come poteva unirsi ad una donna simile?
Artemisia, un mese dopo il processo, nel novembre 1612, sposò Pietro Antonio Stiattesi, lasciando Roma per Firenze. La Città dei papi era ormai impraticabile per lei, come donna ed artista. Via, lontano dalle miserie, dalle meschinità, dai tradimenti sofferti nell’ultimo anno, dai miasmi di una Roma corrotta nell’anima e nelle viscere.
Artemisia era già un’artista di grane livello. Nel 1612 - 1613, ventenne, a Firenze dipinse uno dei suoi capolavori, Giuditta che uccide Oloforne, replicato nel 1620. Nel quadro sono evidenti i legami con la violenza subita in casa, il rancore per le umiliazioni patite, la volontà di staccarsi da quell’incubo fissandolo fuori da sé. Il grido d’una donna di straordinaria intelligenza e coraggio, sfortunata nell’amore e libera da costrizioni familiari (seppure premurosa con i figli): a vantaggio dell’arte, che altrimenti non avrebbe avuto fra i suoi protagonisti assoluti Artemisia Gentileschi.



Artemisia Gentileschi, Lettere precedute da Atti di un processo per stupro, a cura di Eva Mencio, editore Abscondita, 150 pagine, 18 euro.
Per approfondimenti nel campo pittorico: Orazio e Artemisia Gentileschi, Skira, 474 pagine, 62 euro