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Espoarte Anno 7 Numero 42 agosto-settembre 2006



Lida Abdul

Carola Serminato

Intervista



Contemporary Art magazine


[GIOVANI]
32 Roberta Savelli
36 Stefania Romano
40 Federico Solmi
44 Diego Zuelli
48 Andrea Nicodemo

[PROTAGONISTI]
54 Francesca e Nicola Furini
58 Grazia e Gianni Bolongaro

[SPECIAL GUEST]
62 Marielis Seyler
66 Lida Abdul
70 Corrado Bonomi
74 Daniela Perego


[RUBRICHE]
78 [NO MAN’S LAND]
80 [EDITORIA]

[DOSSIER LUOGHI SPAZI]
82 Museo Civico Silvio Vigliaturo

[PROGETTI&DINTORNI]
84 Neverending Cinema
86 Art(Verona
88 Artelibro
90 Arte in Sabina
91 Eliseo Mattiacci, Invito a
92 Fresco Bosco
93 Il Marmo e la Celluloide

[PROFILI]
94 Paolo Conti

[EVENTI]
98 Thomas Ruff
100 Subcontingente
102 Tracey Moffat
104 Giovanni Anselmo
106 Melotti, Consonanze
108 Christian Boltanski
109 Ai Confini della Realtà
110 Oltre la Ragione
111 Suoni e Visioni
112 Contro-e-vento
113 Luigi Ghirri


[RECENSIONI]
114 Art Basel
116 Concorso Giovani Scultori
117 Gianni Bertini
118 La Donna Oggetto
119 Dany Vescovi


[IN GALLERIA]
122 Jessica Stockholder
123 Diana Scheunemann
124 Elmgreen & Dragset
125 Dennis Oppenheim
126 Elisa Sighicelli
127 La creazione della realtà
128 Group Show
129 Enzo Umbaca/Katerina Sedá
130 Ruby Sterling
131 Beatrice Meoni
132 Rina Banrjee
133 ConiglioViola
134 Alex Pinna
135 Gabriele Picco
136 Eric Wesley
137 Mona Hatoum
138 New Liberalistic Pleasure
139 Los Carpinteros – Ivan Navarro
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Lida Abdul
White house
Kabul 2005
16mm film in DVD, 4'58"

Lida Abdul
Clapping with stones
Bamiyan, 2005
16mm film in DVD, 4'50"

Lida Abdul
White house
Kabul 2005
16mm film in DVD, 4'58"

È la giovane artista afgana Lida Abdul (1973) la vincitrice del Premio Pino Pascali per l’arte contemporanea, che quest’anno giunge alla sua decima edizione. Nella motivazione per il Premio –consegnato venerdì 7 luglio a Polignano a Mare– si legge: «Lida Abdul si è imposta alla critica italiana e internazionale alla 51 Biennale di Venezia dove ha rappresentato la Repubblica dell’Afghanistan, presente per la prima volta all’importante esposizione. Con un linguaggio insieme realistico e simbolico, l’artista rappresenta un Afghanistan martoriato e distrutto da invasioni violente e regimi totalitari: le immagini sono minimali ed essenziali e coniugano poesia e drammaticità. Le opere video della Abdul mostrano frammenti visivi di un paese a cui è stato tolto tutto ma che comunque tenta di proiettarsi verso un futuro migliore».
Ho incontrato Lida Abdul in occasione della sua ultima mostra torinese alla Galleria Giorgio Persano, lo scorso maggio. Tra un aereo e l’altro, di ritorno da Kabul e prima di partire per Parigi, poi di nuovo in Italia per ritirare il Premio in luglio; la sua vita di artista ormai ha per teatro diversi Paesi, dal natio Afghanistan agli USA, dove ha studiato e dove vive, alle Biennali di mezzo mondo che sempre più numerose la invitano ad essere presente con i suoi lavori.

Carola Serminato: Il tuo video White house mi ha estremamente colpita. Rappresenta in modo molto forte la sintesi del conflitto tra due Paesi che in modi differenti ti appartengono, gli Stati Uniti e l’Afghanistan. Come si colloca quest’opera rispetto alla tua produzione artistica precedente e in che modo pensi che segnerà i lavori successivi?
Lida Abdul: L’Afghanistan è il Paese in cui sono nata, significa tutto e per me viene prima di ogni altra cosa. I lunghi anni di guerra, dall’invasione Sovietica ad oggi, hanno lasciato nella mia mente e nei miei occhi solo rovine. Da queste riflessioni scaturisce il forte legame con l’architettura; infatti, quando soltanto pochi anni fa, dopo la guerra, sono riuscita a tornare in Afghanistan pensavo solo a 3 cose: rovine, attrezzature militari e tombe. White House è una riflessione sull’idea di casa, dal momento che io non ho mai avuto una casa fissa: in questo lavoro parlo di rovine, di architettura e del modo in cui entrambe rappresentino per me, e forse per molti afgani, l’idea di rifugio domestico.

Quando sei tornata in Afghanistan dopo la tua lunga assenza dal Paese, cos’hai ritrovato del mondo che ricordavi da bambina? E questo come ha influito sul tuo modo di fare arte?
Ho vissuto in Afghanistan fino all’invasione Sovietica, poi 20 anni di guerra hanno mutato profondamente e irrimediabilmente il profilo del Paese. Dopo il mio ritorno ho cercato di non lasciare che i miei ricordi occupassero prepotentemente le mie opere: ho deciso di tenere gli occhi aperti, di cogliere le continue suggestioni che il presente, il Paese, mi offre. Ci sono stimoli per creare un lavoro nuovo ogni giorno: penso spesso al disastro, alla violenza, ma anche alla voglia di rinascere, di ricostruire. Riflessioni che cerco di trasporre anche nelle mie opere.

Vivere sospesa tra la cultura di due mondi, l’Occidente, in cui vivi, e il Medio Oriente, da cui provieni, ti ha mai portata ad affrontare delle situazioni contraddittorie, artisticamente parlando? In che modo hai affrontato la cosa?
Ho studiato negli Stati Uniti, dove mi sono trasferita nove anni fa. La guerra per me è un percorso doloroso, ma sono un artista e cerco di non lasciarmi sopraffare dalla politica. L’unico Paese per cui sento un forte coinvolgimento, anche politico, è l’Afghanistan, il suo destino, il suo futuro.

Da dove nasce il tuo interesse per le relazioni tra uomini e architetture? Si tratta di una riflessione legata alla ricostruzione del tuo Paese d’origine o fa parte di un progetto di ricerca più ampio?
Essere in Paesi sempre diversi mi ha portato ad interrogarmi sull’architettura, soprattutto guardando i lavori di Gordon Matta-Clark.
Il passaggio dall’architettura alla riflessione sull’idea di casa è avvenuto con naturalezza; ritengo che -in quanto esule- il concetto di abitazione sia sempre stato presente nel mio immaginario. Ad oggi non possiedo un luogo fisico, un edificio, che chiamo casa; forse perché il mio lavoro mi porta a viaggiare molto, forse perché non lo desidero veramente. In realtà penso che se mai un giorno mi deciderò in tal senso, la mia casa sarà in Afghanistan.

Quali sono i tuoi programmi per l’immediato futuro? C’è qualche progetto che desideri realizzare da tempo e che sta per concretizzarsi?
Nei prossimi mesi viaggerò molto: sono stata invitata alla Biennale di Gwangju (Korea) in settembre, mentre all’inizio di ottobre sarò alla Biennale di San Paolo (Brasile).
Al mio ritorno dall’Afghanistan, ho concepito un nuovo lavoro
-ancora senza un titolo, perché in fase progettuale- in cui, accanto al tema delle rovine, trova spazio un elemento che fa parte della cultura afgana a diversi livelli, dalla mitologia alle competizioni della tradizione popolare: i cavalli.



Lida Abdul è nata nel 1973 a Kabul in Afghanistan. Cresciuta esule in Germania e in India, ha completato i suoi studi negli Stati Uniti. Oggi, vive e lavora tra Los Angeles e Kabul.

MOSTRE PERSONALI RECENTI:
2006 - lida abdul, Galleria Giorgio Persano, Torino, Italia
- Petition for another world, Museum voor Moderne Kunst, Arnhem, Paesi Bassi
- Lida Abdul, The Banff Centre, Banff, Alberta, Canada
2005 - Between the Furniture and the Building, CAC - Centre d'art contemporain de Brétigny, Brétigny-sur-Orge, Francia
- Between the Furniture and the Building, FR 66, Paris, Francia

MOSTRE COLLETTIVE RECENTI:
2006 - 27th Biennale Sao Paulo, Brasile
- 6th Biennale Gwangju, Korea
- Courants alternatifs, capc Musée d'art contemporain, Bordeaux, Francia
- The Unquiet World, Australian Centre for Contemporary Art I ACCA, Melbourne, Australia
- Nafas - Islamische Welten, ifa-Galerie Berlin, Institut für Auslandsbeziehungen, Berlin, Germania
- Painting As a Way of Living, Istanbul Modern, Istambul, Turchia
2005 - Taste of others, Apex Art, New York, USA
- Irreducible - Contemporar Short Form Video, Miami Art Central, Miami, USA
- 51st International Exhibition: Always a Little Further, La Biennale di Venezia (Arsenale), Venezia, Italia
2004 - Contemporaneity, Academy of Fine Arts, Taschkent, Usbekistan; Museum of Fine Arts, Bischkek, Kirgisistan; Foundation for Culture and Civil Society, Kabul, Afghanistan
- Poetics of Proximity, Chapman University, Orange, USA

GALLERIA DI RIFERIMENTO:
Galleria Giorgio Persano, Torino