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Stile Arte (2006-2011) Anno 11 Numero 107 aprile 2007



Le pratiche dell’arte

Giovanna Galli



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea


La mostra di copertina: Piero il grande
Iconologia: Pompei, scene da un matrimonio
Libri: Panem et circenses
La scoperta: I trucchi di Giotto
Iconologia: Il simbolo del coniglio frenetico e fecondo
Arte ed artisti: Il naso rotto di Michelangelo
Cinquecento: Premiata fabbrica Tiziano
Temi d’arte: La luce che vinse la malinconia
Iconologia: Oro e pietre nei dipinti
Metafore annodate
I registi della tela: Un Cristo da thriller
Percorsi attributivi: Guercino, il mistero è risolto
Scultura: Quelle mirabili stoffe di legno
Settecento: Angelica Kauffman alla ricerca del bello
Ottocento: Il Piccio, Anastasia e il fratello conte
Gli esordi: Un insospettabile Van Gogh
I rivoluzionari pentiti: Picasso l’italiano
Novecento: Il moderno realismo di Soffici
Dal Mart: Che Modo!
Libri: La pittura ha mille volti
Contemporanea: Estes, il reale sensuale
Mambor, l’occhio sul mondo
Galliani, l’enigma del sonetto
Collura, la rivincita delle cose
Art food: Tutti i colori del dolce salato
Contemporanea: Profondo rosa
Novecento: Materie & tecniche
L’agenda delle mostre


Vera Bugatti, Flavio Caroli, Jacqueline Ceresoli, Lodovico Festa, Roberto Gramiccia, Gualtiero Marchesi, Stefania Mattioli, Enrico Mirani, Mariella Omodei, Chiara Seghezzi, Luca Turelli
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n. 133 luglio-settembre 2010

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Russolo, se l'orchestra ulula e rimbomba
Enrico Raggi
n. 129 novembre-dicembre 2009


Ugo Rondinone, Once Upon a Time

Janis Kounellis, Senza Titolo

Enrico Baj, Montagna con sole

Comprendere l’espressività contemporanea non può prescindere da un’analisi delle procedure e dei materiali nuovi che nel corso del XX secolo hanno ‘invaso’ i territori delle Belle Arti, creando percorsi paralleli ai tradizionali modi espressivi della pittura e della scultura e elevando la sperimentazione al ruolo di cruciale snodo di sviluppo.



Annullate le tradizionali gerarchie tra i materiali, aboliti i confini tra pittura e scultura, superata la materia stessa in funzione del valore del vuoto o dell’immaterialità della luce, fino all’affermazione dell’arte come performance, come esperienza collettiva che coinvolge lo spettatore, la sperimentazione domina il fare artistico contemporaneo. Comprendere la storia dell’espressione dell’ultimo secolo esige un approccio connotato da elementi di novità, che non prende unicamente le mosse dall’analisi delle emozioni e dei pensieri dei protagonisti, ma che richiede, come punto di partenza, il farsi stesso dell’opera d’arte. A partire da questi presupposti, Marina Pugliese, conservatore responsabile del patrimonio d’arte contemporanea del Comune di Milano, ha pubblicato un volume - Tecnica mista. Materiali e procedimenti nell’arte del XX secolo (Bruno Mondatori) - che affronta con completezza l’analisi innovazioni creative e formali alla base della definizione della storia dell’arte del XX secolo, analisi che non può che prendere le mosse da una puntuale rilettura in senso cronologico dei punti nodali a livello esecutivo che hanno caratterizzato i movimenti e le correnti distintisi in termini di sperimentalismo e originalità operativa.

Tutto ebbe inizio con l’Impressionismo
Va da sé che la grande rivoluzione tecnica e formale dell’arte del Novecento prende l’avvio dai grandi cambiamenti portati in pittura e scultura dall’Impressionismo: la liberazione dalle regole accademiche, un’inedita libertà esecutiva amplificata dall’adozione dei nuovi prodotti del mercato, il polimaterismo, l’uso disinvolto di più tecniche scultoree e il rapporto tra fotografia e scultura, sono tutti elementi che rappresentano il retroterra delle innovazioni tecniche delle Avanguardie. Sono state però queste ultime che, nei primi tre decenni del Novecento, hanno veramente stravolto il linguaggio artistico, introducendo anche tecniche inedite e materiali estranei al dominio delle Belle Arti, ma più rispondenti alle esigenze di chi desiderava chiudere definitivamente con ogni forma di accademismo.

La rivoluzione cubista: la realtà dentro l’opera
A partire dalla constatazione che l’imitazione della realtà non era più sufficiente, perché emergeva il bisogno di proporre non tanto una rappresentazione del reale, quanto la realtà stessa, introducendo quindi a livello intellettuale uno scarto tra rappresentazione e presentazione, Pablo Picasso e Georges Braque nel 1912 realizzarono i primi collage. Sebbene questa tecnica esistesse già nell’arte orientale e nella decorazione, i cubisti furono i primi ad appropriarsene con l’intento di introdurre la realtà nell’opera e di liberarsi dai vincoli della pittura ad olio su tela: l’introduzione di un materiale extra-artistico nelle composizioni possiede un inedito potere linguistico, il dipinto imita, il collage mostra. Se Natura morta con sedia impagliata di Picasso è considerato il primo collage della storia dell’arte, con la prima versione della Chitarra, sempre del 1912, il maestro creò il primo assemblaggio, ovvero un modo nuovo di fare scultura, affrontando la costruzione per piani di cartone e sostituendo al rapporto invertito tra concavo e convesso, già elaborato nella Testa di donna del 1909, con quello ribaltato tra rappresentazione dell’oggetto e assenza della materia. Si tratta di una rivoluzione sostanziale: la scultura diventa segno nello spazio e perde il suo attributo fondamentale, la matericità. Picasso dà vita a un nuovo linguaggio, quello della costruzione, in cui l’opera ripropone le linee e i rapporti geometrici fra i piani dello spazio e, perdipiù, facendo uso di materiali anomali facilmente deperibili (cartone, latta, filo di ferro) scardina un postulato fondamentale della scultura tradizionale, quello della durata. Il polimaterismo fu in seguito territorio comune delle ricerche di altri scultori cubisti, fra questi il russo Archipenko iniziò nello stesso periodo una ricerca parallela sull’uso del vuoto. Secondo una datazione discussa è del 1912 la sua Donna che cammina, opera che rivoluziona il rapporto tra vuoto e pieno in scultura e che in seguito influenza artisti come Lipchitz e Brancusi interessati alla ricerca intorno a una scultura leggera, dematerializzata.

Il Futurismo e la teoria della modernità
Il confronto con gli esiti cubisti fu determinante per la svolta operata in ambito futurista: un rinnovamento che consisteva principalmente nel polimaterismo e nella compenetrazione, idea–chiave nella ricerca di Boccioni, il quale, nel tentativo di superare la concezione classica di spazio, giunse a sostenere a livello percettivo l’assenza di distanza tra gli oggetti. La fragilità delle sue opere polimateriche come Testa+casa+luce o Fusione di una testa e una finestra, ne ha purtroppo comportato la perdita, ne esistono comunque descrizioni dettagliate che documentano l’assemblaggio di elementi in gesso e di altri prelevati dalla realtà. Il collage fu tecnica ripresada numerosi autori futuristi come Severini e Soffici, ed è singolare osservare come l’approccio a questo mezzo espressivo avvenga da parte del Futurismo su un duplice binario, sia artistico che letterario. Diviene infatti lo strumento d’elezione per mettere in pratica le teorizzazioni di Marinetti sull’uso delle parole in libertà.

Avanguardia russa: la materia presenta se stessa
Cubismo e Futurismo furono il riferimento diretto per gli artisti dell’Avanguardia russa. Tatlin, fondatore del Costruttivismo, nel 1913 si era recato a Parigi dove aveva potuto osservare i collage e gli assemblaggi di Picasso. Tale esperienza lo condusse all’elaborazione dei suoi Rilievi, opere nelle quali veniva abbandonato ogni riferimento figurativo e in cui la materia non presentava altro che se stessa. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre la ricerca costruttivista assunse un valore politico antiborghese e da quel momento anche i materiali venivano selezionati secondo un’impostazione ideologica. Il fotomontaggio (che consiste nell’accostamento di frammenti fotografici), tecnicamente simile al collage, divenne uno strumento espressivo molto diffuso i questo ambito. Alla ricerca di un’arte che non fosse fine a se stessa, i costruttivisti esplorarono campi più funzionali, come quelli della grafica, dell’architettura e del design, inoltre l’attenzione verso i materiali divenne centrale. Alla staticità e alla matericità della scultura tradizionale contrapposero costruzioni leggere, realizzate con materiali nuovi e si andò alla ricerca di effetti di luce e movimento. Nascono opere come la Costruzione cinetica di Naum Gabo (1919-20) o il Monumento alla Terza Internazionale di Tatlin, considerate le prime sculture in movimento; vennero concepite ‘opere da percorrere’, pensate in stretta relazione con lo spazio espositivo, si impostarono le prime ricerche intorno all’applicazione in arte dei materiali plastici. Per molti autori fu significativo l’utilizzo del plexiglas. Sulla scia di queste ricerche si inserisce quella di Calder, i cui Mobiles, realizzati con materiali leggeri erano in grado di muoversi dolcemente grazie all’effetto delle correnti d’aria, con un andamento fluido e naturale.

La decostruzione della realtà e il valore concettuale dell’opera
La libertà radicale proposta dal movimento Dada nato a Zurigo nel 1916 prevedeva lo smantellamento dei sistemi logici tradizionali e di ogni convenzione linguistica attraverso un uso spregiudicato della frammentazione, dell’inversione e della dissociazione. A tali esigenze di decostruzione della realtà si prestavano particolarmente tecniche quali assemblaggio e fotomontaggio. I dadaisti, come Hanna Hoch, Raoul Hausmann e Richard Huenselbeck, le utilizzarono come strumento critico e satirico, ma in questo senso l’artista più significativo è stato John Hartfield che creò durissimi fotomontaggi (a volte completati con il pennello o l’aerografo) contro il regime nazista in Germania. Altro grande innovatore dadaista fu Kurt Schwitters, che con il Merzbau (un ambiente architettonico interamente occupato da un concatenamento di assemblaggi) introdusse per la prima volta le questioni ambientali e di relazione tra opera e fruitore che saranno peculiari dell’installazione. Man Ray e Marcel Duchamp portarono la rivoluzione Dada a new York. Il primo fece un uso sperimentale della fotografia, perfezionando negli anni venti la tecnica del Rayogramma che prevedeva la creazione di immagini astratte mediante l’appoggio di oggetti casuali alla carta fotosensibile. Duchamp, invece, instaurò un duplice rapporto con la tecnica: da un lato, con i ready-made, oggetti di produzione industriale firmati ed elevati al rango di opera d’arte, ironizzava sugli aspetti esecutivi e liberava l’artista dalla produzione, dall’altro nei vetri e nei calchi investiva la materia di un inedito valore simbolico. Duchamp è considerato l’iniziatore di un nuovo modo di intendere e fare arte, avendo introdotto il valore concettuale dell’opera.


Le visioni stranianti dei Surrealisti
Il movimento surrealista, con la sua poetica legata all’inconscio e alla psicanalisi freudiana, mise in pratica modi operativi ‘automatici’ volti ad enfatizzare la libera espressione della creatività. Le tecniche utilizzate maggiormente a tal scopo da Breton, Arp, Ernst e compagni sono fotomontaggio, collage e assemblaggio, che consentono di realizzare accostamenti stranianti. Ernst, a metà degli anni venti, mise a punto la tecnica del frottage, consistente nel porre sotto ad un foglio una superficie con dei segni per poi passarvi la matita o i pastelli al fine di riprodurne la texture; e ancora, inventò la tecnica dell’oscillazione, che lasciava colare macchie di colore in modo casuale, precorrendo in qualche misura Pollock.

Colori acrilici e nuovi formati la scena americana
Jackson Pollock fu responsabile del radicale cambiamento del modo di esprimersi in arte negli anni cinquanta. L’Action painting (termine creato proprio per definire questo nuovo modo di esprimersi) si basava sulla tecnica del dripping, che consisteva nel far gocciolare il colore su grandi tele stese a terra tramite pennelli, bastoncini o siringhe. Utilizzava materiali sperimentali, come gli smalti alla pirossilina (solitamente usati per verniciare le auto), gli acrilici in soluzione diluiti con trementina e pure i colori ad olio, mescolandoli. La portata della rivoluzione dei colori sintetici sull’arte contemporanea è certamente paragonabile a quella che ebbe l’introduzione della pittura ad olio nel XV secolo. Un ruolo fondamentale fu quello di Leonard Bocour, pittore che divenne in campo tecnico il riferimento della scena astratta americana del dopoguerra: egli definiva per i diversi artisti, in base alla loro esigenze, la percentuale di pigmento, legante e solvente adatta ad ottenere gli effetti desiderati da ciascuno. Fu su suo consiglio che Mark Rothko iniziò ad utilizzare il medium acrilico: la sua opera è stata altamente sperimentale, basandosi sull’invenzione di nuove formule e sull’associazione di più tecniche a volte non compatibili tra loro. Negli ultimi anni di vita realizzò tra l’altro opere di enormi dimensioni, con le quali ricopriva grandi spazi. Tutto l’Espressionismo astratto è stato infatti innovativo dal punto di vista tecnico anche per quanto concerne il formato dei supporti: l’inedita espansione delle dimensioni delle loro opere trova un unico precedente in Monet.

La materia che palpita, lo spazio che si espande
In Europa, a differenza che negli Stati Uniti, le varie declinazioni della pittura informale dello stesso periodo non si discostarono troppo dalle tecniche artistiche tradizionali, ad eccezione delle ricerche condotte sulla materia da alcuni artisti come Dubuffet, Fautrier, Tàpies e Burri e, su un versante di tipo segnico-gestuale, Fontana. Obiettivo comune era quello di delegare alla materia e al gesto il ruolo significante dell’opera. Questi artisti utilizzavano innovativi impasti cromatici, densi e granulosi, e superfici preparate in maniera da apparire crepate e mosse. Le opere degli anni quaranta e cinquanta di Dubuffet erano costituite da assemblaggi (termine coniato proprio dall’artista) di pannelli di truciolato, terra, ali di farfalla e foglie d’agave; dal 1966 introdusse l’utilizzo del polistirolo, materiale facilmente elaborabile, leggero e poco costoso. A Burri si deve dapprima la sperimentazione che condusse all’utilizzo di materiali poveri, come la tela di juta, e in seguito a quello della plastica, su cui interveniva con il fuoco dando origine alle concrezioni materiche delle Combustioni. Sempre in ambito italiano, Lucio Fontana introdusse radicali cambiamenti al concetto di scultura, introducendo la ricerca dello spazio reale oltre la bidimensionalità della tela e il volume della scultura. La ricerca di una relazione tra superficie dipinta e spazio retrostante si concretizza dapprima nei buchi e poi nei tagli con cui lacerava il supporto.

Arte in movimento, il debutto della tecnologia
L’indagine spazialista di Fontana fu punto di riferimento per i nuovi gruppi di artisti che alla fine degli anni cinquanta si stavano formando in tutta Europa (Gruppo T a Milano, Gruppo N a Padova, Grav a Parigi, Zero a Düsseldorf), volti a lavorare sul rapporto spazio-tempo e analizzare i nuovi sistemi di comunicazione. Dalle ricerche di questi anni definite come Arte Programmatica e Cinetica nacquero le opere cinetiche che ruppero radicalmente con la tradizione materica e gestuale della generazione precedente per riferirsi sostanzialmente a un universo di tipo tecnologico. I materiali utilizzati, per ragioni funzionali, erano molto differenti da quelli soliti: motori, materiali plastici, luci, acciaio, proiezioni, calamite.

La realtà è un medium, la quotidianità si esprime
Un’inedita commistione fra pratica dell’assemblaggio e gestualità pittorica si rintraccia nel lavoro di Robert Rauschemberg, che fu insieme pittore, scultore e performer, considerato l’anello di passaggio tra Espressionismo Astratto e Pop Art. Pari dignità avevano nelle sue opere i materiali più disparati, compresi oggetti di uso comune, e la sua relazione sia con questi che con i procedimenti si connotava per l’estrema apertura. L’originalità degli studi di Jasper Johns, che per marcare la distanza con la pittura astratta dei suoi precedenti, reintrodusse la figurazione, sia in pittura che scultura, si concretizza nella realizzazione di duplicati di oggetti quotidiani attraverso le tecniche e i materiali tipici delle Belle Arti. Ritorno alla figurazione e attenzione per i prodotti di consumo sono il comune denominatore della ricerca dei protagonisti della Pop Art. L’immagine icona della Pop Art inglese Just what is it that Makes ourToday’s homes so Different, so Appealing? di Richard Hamilton è un piccolo collage, a dimostrazione che non solo l’attenzione verso il reale, ma anche i procedimenti tecnici avessero come fonte primaria l’arte di Picasso e Braque. La Pop Art ebbe una immediata diffusione anche negli Stati Uniti. Claes Oldenburg, che nei suoi primi lavori mostrava un certo legame con l’Action Painting, realizzò in seguito le Soft machines enormi riproduzioni di oggetti d’uso comune in tessuto vinilico imbottito. L’artista riprendeva le grandi dimensioni tipiche della scultura monumentale, contrapponendovi l’indeterminazione resa da una consistenza morbida e dunque antiretorica. La cultura di massa è stata poi il fulcro dell’attività artistica di Andy Warhol, che utilizzò la serigrafia per sottolineare una nuova concezione dell’opera d’arte: seriale e riprodotta meccanicamente. La sovrapposizione dei differenti linguaggi artistici, dalla pittura, alla grafica, alla fotografia, al cinema e fino alla musica, rappresenta un tratto saliente della sua poliedrica attività, sempre contraddistinta dalla tensione alla sperimentazione di materiali nuovi.
Sempre in ambito Pop è stata significativa la ricerca intorno all’imitazione degli effetti della stampa alla base del lavoro di Roy Lichtenstein, che servendosi di maschere forate otteneva la riproduzione ingigantita di un effetto simile a quello del retino tipografico (in realtà riempito a pennello).

Materiali e dematerializzazione, il corpo come un pennello
In Europa, nel 1960 nacque il Noveau Rèalisme, movimento che riprende il concetto di realtà che diviene oggetto, soggetto e materiale dell’opera d’arte. Principale esponente è stato Yves Klein, a cui si deve il brevetto dell’IKB (International Klein Blue), un colore a base di acetato polivinilico, usato anche per le sue Antropometrie: dopo avere cosparso il corpo di modelle nude con il colore, l’artista le invitava ad appoggiarsi alla tela in modo da lasciarvi l’impronta durante performance pubbliche in galleria. Su un altro versante della sua ricerca Klein giunse ad esporre il vuoto, al fine di creare una nuova sensibilità pittorica. Il 12 gennaio 1960, in una performance rimasta mitica, l’artista si gettò da una finestra al secondo piano su un telone sostenuto da alcuni amici, grazie ad un fotomontaggio venne cancellata la parte inferiore dell’immagine per dare l’impressione che non vi fosse protezione.

La vita epicentro dell’arte, la connessione fra i media
L’interesse per la performance, l’idea della vita stessa come epicentro dell’arte, il gusto per la connessione fra le arti visive, la poesia, la danza, la musica e il teatro, rappresentano i tratti salienti del movimento internazionale Fluxus, fondato nel 1961 da Goerge Maciunas. Esso concorse a determinare la nascita di una serie di esperienze dall’happening, alla performance, all’uso di nuovi media che furono cruciali nel rinnovamento del linguaggio artistico lungo gli anni sessanta. L’artista più rappresentativo della complessità di aspetti che concorsero a formare il panorama espressivo del movimento è stato Joseph Beuys, che con la sua opera attraversò il territorio della scultura, della performance e dell’arte concettuale attribuendo nel contempo un enorme valore all’opera e al materiale. Uno dei suoi ‘esperimenti’ più singolari è stata l’azione del 1974 I like America and America likes me, durante la quale visse per alcuni giorni a stretto contatto con un coyote all’interno di una galleria, per mostrare e rappresentare la costruzione di u rapporto possibile tra uomo e animale, alludendo simbolicamente a tematiche ben più ampie di significato politico e sociologico. L’happening rappresenta una delle novità più eclatanti scaturite in ambito Fluxus. Inventore di questa pratica artistica fu Alan Kaprow, che mise a punto degli Action collage, ovvero delle esperienze collettive in cui è prevista la partecipazione spontanea del pubblico e che dunque lascia spazio ala casualità, mentre le strutture realizzate dall’artista per ambientare la situazione sono volutamente deteriorabili e comunque distrutte al termine.

L’auto-referenzialità delle formi semplici
Con il termine “Minimal” si fa riferimento a un comparto dell’avanguardia americana degli anni sessanta caratterizzato da opere geometriche dalle formi semplice e ripetitive. Le figure chiave di questo movimento sono state Donald Judd, Richard Serra, Sol Le Witt e Robert Morris, che realizzavano sculture mediante materiali e procedimenti industriali e che, grazie alla pulizia delle forme e delle superfici, eliminavano ogni riferimento emotivo tipico dell’Espressionismo Astratto. Fatte alcune debite eccezioni, come le Stripe Paintings di Frank Stella, il Minimalismo fu un fenomeno essenzialmente legato alla scultura e in particolare ad opere di grandi dimensioni, che per essere fruite richiedevano da parte del visitatore un’interazione con lo spazio.
I poligoni realizzati in acciaio e plexiglass di Judd, le composizioni con i neon di Dan Flavin, i cubi specchiati di Morris, i blocchi in legno o i pavimenti di quadrati metallici di Karl Ande e le strutture modulari in acciaio o legno di Le Witt puntano ad una specie di “grado zero” della scultura, la quale abbandonando ogni forma di illusionismo o di emotività - anche nel materiale - diventa auto-referenziale. Di più, il materiale, in tale contesto diviene lo specchio dell’allontanamento dell’artista che giunge a delegare a terzi la realizzazione delle opere.

Dalla rigidità all’indeterminatezza della materia
Il lavoro di Robert Morris si colloca in una terra di mezzo fra scultura e performance: le sue sculture erano concepite di dimensioni adatte a contenere il suo corpo. Inoltre egli fu teorico dell’Antiform, cioè dell’applicazione di materiali morbidi e deformabili in funzione dell’abbandono di forme preconcepite e durature. Eva Hesse fu la figura di maggior rilievo dell’Antiform: le sue opere in cartapesta, caucciù, corda, latex e resina negano la semantica della scultura tradizionale opponendo la morbidezza alla rigidità, l’orizzontalità alla verticalità, la fragilità alla durata. Nel 1969 si tenne a Berna la mostra When Attitudes Become Form che consacrò il fenomeno Antiform ponendo appunto più attenzione alle attitudini, cioè all’intenzione e al processo di fare arte piuttosto che al risultato. L’evento radunava artisti provenienti da differenti contesti, tutti accomunati dall’apparente opposizione alla forma rigida che si traduceva nell’utilizzo di materiali, morbidi, deformabili, indefiniti. Fra di loro Joseph Beuys, gli esponenti dell’Arte Povera italiana, i land artisti americani, il concettuale Daniel Buren, e Richard Serra.

Tra opera e traccia: Land Art e Body Art
La spinta ideologica che caratterizzò gli ultimi anni sessanta portò a percepire come soffocante l’intero sistema dell’arte, i suoi organismi e luoghi, e gli artisti cominciarono ad intraprendere percorsi alternativi. Negli Stati uniti l’ambiente naturale divenne l’epicentro degli interventi dei land artisti, i quali trovarono il loro supporto nei laghi, nei deserti, nelle distese verdi o innevate. Robert Smithson, il maggiore teorico della Land Art introdusse le categorie site e non site abbinate all’ambiente in cui operava e la galleria. Gli interventi realizzati in site venivano poi documentati in galleria esponendovi i progetti, le foto e porzioni di materia tratti dal luogo d’azione, inseriti in contenitori minimal. Fra gli altri protagonisti del movimento, l’inglese Richard Long si distinse per un approccio all’ambiente di tipo performativo: egli effettuava lunghi percorsi in solitaria in luoghi naturali durante i quali operava minime modificazioni dell’ambiente con materiali reperiti sul posto. La rottura dell’intervallo che separa l’arte e la vita, unitamente alla necessità di documentare gli interventi, rappresentano il punto di incontro tra Land Art e Body Art. Quest’ultima conduce ad un ulteriore salto: il corpo stesso diviene l’oggetto dell’intervento artistico mentre le tecniche, spostandosi su un piano antropologico, diventano le modalità espressive di nuovi riti di passaggio. Esemplare, in questo senso è stata la camminata sulla Grande Muraglia cinese con cui Marina Abramovic e il suo compagno Ulay misero simbolicamente fine alla loro relazione sia personale che professionale. Per gli Azionisti viennesi, il cui lavoro si connotava per la violenza dell’approccio al corpo, l’obiettivo primario era quello di scuotere la passività del pubblico. Otto Muehl, Hermann Nitsch, Rudolph Schwarzkogler e Arnulf Rainer furono i protagonisti di questa avventura: la messa in scena del corpo, attraverso l’utilizzo di secrezioni, sangue e sofferenza costò loro ostracismo e denunce. Fondamentale in questi anni è l’uso pionieristico del video, che se per Land Art e Body Art serviva come strumento di documentazione, cominciò pure ad acquisire un proprio linguaggio autonomo. Basilare fu la ricerca di Bruce Nauman che utilizzava la videocamera per esplorare se stesso oltre che lo spazio circostante.
Contemporaneamente all’abbattimento di ogni separazione tra arte e vita, la scultura iperrealista pose il corpo al centro della propria ricerca, basandosi però sul concetto classico di mimesis, per andare alla ricerca di un realismo che andasse oltre al reale stesso, tanto da avere un effetto straniante. Grazie alle possibilità dei materiali plastici più innovativi, gli artisti come Duane Hanson o John DeAndrea realizzavano copie perfette di corpi umani in dimensioni naturali.


Nuova vita alle tecniche tradizionali
Negli anni ottanta si assiste ad una specie di ‘ritorno all’ordine’ con un’attenzione nuovamente riportata sulla specificità dei singoli media, che coincise con un ritorno, supportato dall’interesse del mercato, alle tecniche tradizionali. In questo senso spiccano le ricerche di movimenti come la Transavanguardia italiana e i Nuovi Selvaggi tedeschi (vicini all’Espressionismo di inizio secolo) che si riappropriano dei modi e dei linguaggi pittorici del passato. Significativa pure l’esperienza di Anselm Kiefer che per le sue monumentali installazioni utilizzava in senso simbolico elementi molto eterogenei come semi, fiori secchi, lastre di vetro o di piombo, fogli di carta o vecchie fotografie. In ambito nordamericano nasce il graffitismo: una nuova pittura murale realizzata con gli spray, che consentivano un modo espressivo caratterizzato dall’estrema rapidità esecutiva. Da questa scena emergono gli stili di Keith Haring e Jean Michel Basquiat. Negli Stati Uniti parallelamente al diffuso ritorno alla pittura si osserva il persistere di una riflessione intorno ai mezzi di comunicazione di massa: le immagini fotografiche di Barbara Kruger e Cindy Sherman, riprendendo il linguaggio dell’informazione e gli stereotipi dei media ne sovvertono il significato, con intenti di denuncia politica e sociale.
La ricerca di Gary Hill è concentrata sul linguaggio, in particolare in rapporto con il video. Nascono in questo periodo, grazie alle applicazioni del medium elettronico, le prime grandi installazioni composte da più schermi e più canali di proiezione e di diffusione audio. Particolarmente eclatanti in questo senso sono le ricerche di Bill Viola.

Gli eclettici anni novanta
Per quanto riguarda l’ultima frazione del secolo, gli anni novanta sono stati contraddistinti non dall’affermazione di uno stile dominante, quanto dalla rapidità dei cambiamenti di linguaggi, dall’attenzione alle forme e alla performatività, dall’attitudine alla collaborazione fra artisti. Simbolo dell’eclettismo tra i media è Damien Hirst, la cui ricerca muovendo dall’attenzione verso temi classici, quali la relazione vita-morte e malattia-decadimento, si attua attraverso l’utilizzo di media stranianti, come l’esposizione di animali mutilati e sezionati in grandi teche riempite di formalina. In alcune opere pittoriche, i dipinti con le farfalle, egli mette direttamente in scena la morte: grandi tele monocrome allestite in uno spazio con centinaia di crisalidi che divenute farfalle andavano a sbattere morendo sul colore fresco.
In altre esperienze si osserva la tendenza a creare forme avanzate di incroci tra media che convergendo su un’unica piattaforma (uno spazio espositivo, un’installazione, un video) conservano la loro riconoscibilità. Stratificazione e traslazione fra più media sono peculiari dei lavori di artisti come il sudamericano William Kentridge o il francese Pierre Huyghe. Quest’ultimo ha trasformato il padiglione Francese della biennale di Venezia del 2001 in una specie di racconto contemporaneo, esponendo in un ambiente complesso opere diverse lì allestite come un unico insieme temporale.