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Espoarte Anno 10 Numero 57 febbraio-marzo 2009



Rúrí

Laura Fanti

Intervista



Contemporary Art magazine


GIOVANI
20 Pietro Ruffo
26 Daniele Bordoni
30 Alberto Tadiello
34 Filippo Centenari
38 Anna Galtarossa
42 Romano Baratta

PROTAGONISTI (Artisti)
48 Rúrí

PROTAGONISTI (Collezionisti)
54 Tullio Leggeri

PROTAGONISTI (Il protagonista)
58 Fabio Cavallucci

SPECIAL GUEST
64 Studio Azzurro
70 Antonio Riello
76 Gianluigi Toccafondo

RUBRICHE
84 No man's land feat. Rapture
94 Books Box
102 Dossier Luoghi Spazi
104 Profili
110 Progetti e Dintorni

EVENTI
120 Giuseppe Uncini
122 Bruno Munari
124 Alberto Burri
126 My Space. Cosa vuol dire pubblico?
128 Nanni Valentini

RECENSIONI
130 As is: arte israeliana contemporanea
132 Arte, prezzo e valore
134 Jean-Michel Basquiat
135 Ceal Floyer
136 Per Barclay
137 Luca Coser

IN GALLERIA
Da pag 140
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Silence of the Waterfall, 2007
installazione audio-video/ performance
(video realizzato in collaborazione con Kvik Film Productions)
Overtures 3, 52aBiennale di Venezia evento collaterale, Venice International University, San Servolo.
Fotografie di Mila Pavan (MiP)

Dedication II 2006
performance 90 min
(Rúrí, Anna Eyjolfsdottir, Ragnhildur Stefansdottir, Thordis Alda Sigurdardottir, Hye Joung Park, Karl Bergmann Omarsson, Karl Gunnarsson, Einar Sæmundsen Friðrik Orn Hjaltested, Fridthjofur Helgason, Pall Steingrimsson, Ragnar Axelsson)
Third part of the trilogy Mega Vott, The Drowning Pool, Thingvellir, Iceland.
Fotografie di Fridrik Orn Fridriksson (FO) e Ragnar Axelsson (RAX)

Archive – endangered waters, 2003
Biennale di Venezia 2003
costruzione metallica, cm 234x250x160
when no frames are extended
Padiglione Islanda, Giardini, Venezia
Fotografie di Rúrí (R)

È stato un onore intervistare Rúrí. Rúrí è considerata la più importante artista islandese e in questa conversazione ci da una lezione di arte, etica, estetica e politica. Arte come fare, svelare e denunciare. Allo stesso tempo ci racconta cosa bolliva in pentola negli anni ’70 in quella lontana terra europea, dove gli artisti conoscevano l’arte quasi esclusivamente attraverso le riviste ed erano costretti ad auto-esiliarsi per poter lavorare.

Laura Fanti: Di solito non faccio domande sulla formazione di un artista ma sono molto incuriosita dalla tua e immagino di non essere la sola… Mi potresti dire qualcosa sui tuoi studi e sulla prima volta in cui ti sei immaginata artista?
Rúrí: A dodici anni ho dipinto ad olio per la prima volta, questo può essere l’attimo in cui ho iniziato ad immaginare di diventare un’artista, finché a sedici anni la mia mente era pronta per l’arte. Ho studiato all’Icelandic College of Arts and Crafts, ho seguito un corso di Filosofia all’University of Iceland e ho continuato al De Vrij Academie Psychopolis a L’Aja tra il 1976 e il 1978. In quel momento la scena artistica olandese era molto progressista e ispirava parecchio i giovani artisti. Alla fine dei miei studi fui invitata a partecipare ad alcune collettive e Wies Smals mi invitò al De Appel ad esibirmi da sola in una performance, che fu incredibilmente stimolante.

Oggi è più facile definirsi artisti concettuali e performativi… immagino così non fosse negli anni ‘70. Mi potresti dire qualcosa di più su quei momenti? E sui tuoi riferimenti e sentimenti alla fine degli anni Settanta?
In realtà non ho mai trovato difficoltà nell’essere un’artista concettuale e performativa. L’arte è stata una forza trainante nella mia vita, il grande amore, e quando si è innamorati non ci si mette a riflettere sul fatto che ciò può richiedere dei sacrifici. Mi rendo conto che i miei primi lavori resero la vita della mia famiglia un po’ pesante, perché la società non li accolse bene. Visto che ricevetti alcune critiche grossolane nella mia terra, nella metà degli anni ‘70 (che risultarono salutari per la mia formazione e il mio irrobustimento), mi chiesi se l’arte e il concetto valessero il dolore che richiedevano.
Nella performance trovavo interessante il fatto che non ci fossero intermediari tra l’espressività dell’artista e lo spettatore, e in più l’assenza di materiali. Il lavoro performativo si traduce direttamente durante l’atto stesso, senza alcun valore materiale, e poi rivive solo come memoria. Non dobbiamo dimenticare che la memoria può essere un potente strumento.
Anche se l’Islanda in quegli anni era alla periferia della scena dell’arte moderna, esisteva una “finestra” rappresentata dalla galleria SUM di Reykjavik, la quale occasionalmente esponeva arte giovane dall’estero. Noi, pochi artisti emergenti, affamati d’arte moderna, ci riunivamo e condividevamo informazioni sulla scena internazionale e anche libri, difficili da reperire, sui lavori di Marcel Duchamp, Joseph Beuys, George Segal, Jim Dine, Jean Tinguely, Niki de Saint Phalle, John Cage e molti altri, e anche le poche riviste disponibili, finché uno alla volta non siamo partiti per l’estero a continuare i nostri studi. Io, che utilizzavo la performance come mezzo espressivo, frequentavo la galleria De Appel ad Amsterdam, che esponeva soprattutto arte performativa. Quando, nel secondo anno di soggiorno in Olanda, fui invitata ad esporre lì, fu al contempo una grande sfida e un’incredibile opportunità.

Lavori sia con la storia sia con la natura. Quali credi sia il loro rapporto essenziale?
Venendo dall’Islanda ho un rapporto molto stretto con la terra e le forze della natura: la terra è poco coltivata e si apre all’osservazione geologica. Un occhio allenato può leggere la natura come fosse un libro di storia. Si può osservare come il paesaggio sia stato modellato dai primi eventi, dalle inondazioni, dalle eruzioni e dai terremoti; come l’oceano abbia tirato con forza la costa, come i fiumi abbiano portato sedimenti accumulatisi sulle sponde e la battigia ad estendersi oltre nell’oceano creando altra terra. Il “libro” si riferisce all’intero globo, si può leggere come l’interferenza dell’uomo abbia modellato ed alterato la natura con l’agricoltura, l’irrigazione, la deforestazione, la fondazione di città e autostrade, ecc...
Quando parliamo di storia, ci riferiamo spesso alla storia umana, ma gli esseri umani non possono sopravvivere senza la natura. Esistiamo in una specie di simbiosi con la terra e il nostro destino è tutt’uno con il benessere della terra. Così io considero i due temi come due facce della stessa medaglia.

Apprezzo molto il tuo modo di fare politica: non urli né usi parole. Semplicemente fai il tuo lavoro e questo ha un impatto più forte di una dichiarazione!
Tutti gli esseri umani hanno più sensi, e di solito li usiamo tutti quando osserviamo o valutiamo, sebbene ciò avvenga in modo inconscio per molti di noi. Questo è vero soprattutto nelle società occidentali, dove la parola e l’informazione letteraria hanno guadagnato di più rispetto ad altri mezzi di informazione. Comunque, poiché la “parola” – o il linguaggio verbale – è stata utilizzata in modo ingannevole in politica, essa ha perso parte della sua credibilità. In molti dei miei lavori è importante il fatto che essi esprimono simultaneamente a diversi livelli di consapevolezza, come la stessa vita fa. Consciamente intreccio diversi livelli nei miei lavori: forma e colore, scala, estetica, tatto e udito, intelletto, emozione, sensorialità, ecc…

L’acqua è molto presente nel tuo lavoro. Ha molti significati, è vita ma può essere morte, per la sua forza e il suo potere di nascondere… mi riferisco a Dedication II, performance in memoria di donne giustiziate a Drekkingarhylur. In questo caso l’acqua è una punizione, invece di essere un processo di purificazione diventa una specie di gogna… tu lavori per ricordare queste donne. In questo modo, la storia, la natura, tutto diventa la stessa cosa… vedo che il tuo rapporto con il passato ha senso, se puoi leggerlo nel contesto naturale. È così?
Anche se l’acqua non è presente in tutti i miei lavori, il valore etico sì. La cosa essenziale è che le donne furono giustiziate con l’annegamento, per aver messo al mondo dei bambini, per aver dato la vita. L’atto di condannarle a morte e ucciderle è l’estrema contorsione della giustizia: ricompensare il dare la vita, con la morte (anche se non è un soggetto del mio lavoro, bisogna tener presente che le autorità giudiziarie, permeate di religione com’erano a quel tempo, possono aver interpretato, senza volerlo, la morte attraverso l’annegamento o il rogo, come purificazione dell’anima della giustiziata).
Ho realizzato Dedication II per onorare le donne e la loro memoria. Sebbene le esecuzioni siano avvenute nel XVII e XVIII secolo, oggi ci sono molti esempi di ingiustizia esercitata sui cittadini nel nome della legge o della giustizia. Allo stesso tempo, al di fuori della legge, un altro tipo di ingiustizia è in uso ancora oggi, donne (e bambini) vengono venduti come bovini all’interno di una certa “industria”, solo per fare un esempio.

Hai fatto una mostra con Pat Steir, Hekla Dögg Jónsdóttir e Olafur Eliasson lo scorso anno, Foss/Falling Waters al Reykjavik Art Museum.
Vedo molte affinità tra il tuo lavoro e quello di Pat Steir, non solo nel tema delle cascate ma anche nell’atteggiamento spirituale e minimalista. Vedo, d’altra parte, delle differenze nella fiducia nel potere creativo: Pat Steir più legata al passato e alla pittura tradizionale, i tuoi lavori più “potenti”! Eliasson è un artista concettuale sicuramente, ma non così “coraggioso” come te! Che ne pensi?

Sono tutti bravi artisti. Per fortuna, gli artisti sviluppano diverse caratteristiche, altrimenti l’arte diverrebbe piuttosto monotona. Ognuno è modellato dall’ambiente e dalla propria giovinezza.
Qualcuno prende le distanze o anche oppone punti di vista nel momento in cui cresce, alcuni nutrono la loro arte delle proprie radici, altri portano insieme entrambi gli elementi; mentre la mia gioventù in campagna sembra un’avventura continua, a volte pericolosa. Viaggiando in montagna o al mare, ho avuto più volte la fortuna di vedere la mia vita in pericolo, la prima volta molto presto. Dico “fortuna” perché queste esperienze sono state lo strumento per schiarire la mia visione e affinare i miei sensi nei confronti della natura, della terra e delle sue forze, di ciò che è importante nella vita e di ciò che è mera trivialità, di come voglio spendere la mia vita e la mia energia. Credo che ciò si veda nel mio lavoro, poiché faccio sempre uno sforzo per rimanere vera nei confronti del mio soggetto.

In che senso ti definisci un’artista? Chi è oggi l’artista?
Mi piace pensare all’arte come alla filosofia tradotta in forme visibili, e a me stessa come un’osservatrice che documenta le mie osservazioni in opere d’arte. “L’artista di oggi?”, l’artista è sempre stato chi porta nuovi livelli di consapevolezza o nuova enfasi di consapevolezza, sia con mezzi verbali, sensoriali, emozionali, intellettuali o visivi.

Rúrí è nata a Reykjavik nel 1951 dove vive e lavora.

Selezione mostre personali recenti:
2008 - Water Story Vocal-V and Changing Waters, St. Lukas, Munich, Germany
- Flooding - Nature Lost, Reykjavik Art Festival, STARTART gallery
2007 - Endangered Waters, Art On Armitage, Chicago, US
- Vocal III - Endangered, Castle Festival Frankfurt Hoecst, Germany
- Toefrafoss - Endangered, Eidar Culture Centre, Iceland
- Rúrí, Time - Relativity - Values, Visual Seminar and Retrospective Exhibition, Gerduberg Culture Center Reykjavik, Iceland

Selezione mostre collettive recenti:
2008 - Sequences 2008, Honorary Artist, Reykjavik Art Museum-Hafnarhus, Islanda
- By By Iceland, Akureyri Art Museum, Islanda
2007  - Overtures - Water between Poetics and Politics, Proje 4L /Elgiz Museum of Contemporary Art, Istanbul, Turkey
- Overtures 3, 52. Biennale di Venezia, evento collaterale, Venice International University, San Servolo
- Borderline Moving Images, Beijing, China?
- Exhibition FOSS / Falling Water al Reykjavik Art Museum - Kjarvalsstadir, con Pat Steir, Olafur Eliasson, Hekla Dögg Jónsdóttir?

Gallerie di riferimento:
Galerie Dr. Dorothea van der Koelen, Mainz, Germania
Galleria Dorothea van der Koelen - Venedig, Venezia