L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Stile Arte (2006-2011) Anno 13 Numero 126 aprile - maggio 2009



Ragione e sentimento

Enrico Giustacchini

Intervista esclusiva a François Morellet



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea


Sommario 126

TEMI D’ARTE: Storie di statue con l’anima 4

SAGGI: Divisionisti, gli indagatori dell’illusione 8

CINEMA & PITTURA: Hopper e la casa di Psyco 10

OTTOCENTO: Hiroshige, le anatre del samurai 14
Marco Gozzi, pittore-reporter al servizio della Corona 18

NOVECENTO: Alle radici della Bellezza 20

SCOPERTE: Arte e Dna, così l’uomo ha colorato gli animali 30

ICONOGRAFIA: Un logo per due santi 31

OTTOCENTO: Le reliquie corporee di Canova 32

CONTEMPORANEA: Picco, quant’è bella infedeltà 34

SCOPERTE: Cannibali a corte 38

CONTEMPORANEA: Carlini, sculture nel cuore di Parigi 40
Il lungo viaggio di Fabio Mauri 42

SEICENTO: Rembrandt, le sublimi incisioni 45

ICONOGRAFIA: Lo spettro sulla tela 46

CONTEMPORANEA: Morellet, ragione e sentimento 50

SCOPERTE: A Giorgione spunta la barba 54

NOVECENTO: Arcangeli, maestro amatissimo 58

CONTEMPORANEA: Mezzacapo, la via del fantasma 62

MOSTRE: Il segreto di Luca della Robbia 64

CINQUECENTO: Properzia de’ Rossi: Giuseppe e la femminista 65

CONTEMPORANEA: Guido Strazza, il segno racconta 68

ART FOOD: Concerto sul piatto 69

L’AGENDA DELLE MOSTRE 70

ARTE & EROS: Rodin e le modelle acrobatiche 72
Callisto ed Ilo, pretesti iconografici per voyeur 74

RITRATTI D’ARTISTA: Aldo Parmigiani, il dolce spirito della natura 78
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Quel nazista di Topolino
Enrico Giustacchini
n. 135 febbraio-marzo 2011

Abito, divina scultura
Alessandra Troncana
n. 134 ottobre-novembre 2010

La tela armonica
Enrico Giustacchini
n. 133 luglio-settembre 2010

La dolce vita delle cose morte
Enrico Giustacchini
n. 132 maggio-giugno 2010

La materia ha mille anime
Fiorella Tacca
n. 130 gennaio - febbraio 2010

Russolo, se l'orchestra ulula e rimbomba
Enrico Raggi
n. 129 novembre-dicembre 2009



Intervista esclusiva di Stile a François Morellet, storico maestro dell’arte visuale.
L’entusiasmante stagione parigina del Grav, di cui è stato fondatore. La sfida continua alle variabili della materia e la matematica come base delle umane emozioni.
Tra i suoi modelli, Picasso e Duchamp, ma anche Paolo Uccello e Piero della Francesca.


Vorrei che questa intervista iniziasse con un suo ricordo della stagione parigina del Grav, il Groupe de Recherche d’Art Visuel, di cui nel 1960 è stato tra i fondatori.
La stagione del Grav è stata molto importante per me. Soprattutto per la decisione, assunta all’interno del gruppo, di abbandonare la pittura. Per noi il quadro era morto, esattamente come la scultura con i materiali tradizionali: il bronzo, il marmo, per esempio. Le nostre scelte, radicali e provocatorie, erano dovute pure, in parte, al clima di generale favore di cui godevano all’epoca i gruppi artistici.
In ogni caso, senza il Grav non avrei certo utilizzato il neon, non avrei ideato installazioni ambientali, non avrei cercato la partecipazione degli spettatori. Benché debba ammettere dire che, più che coinvolgerli, quei poveri spettatori, li aggredivo… Il bilancio dell’esperienza è stato comunque, nel complesso, positivo. Almeno così credo. I risvolti negativi sono semmai quelli legati a vicende burocratiche e, più ancora, ad un nostro atteggiamento che oggi giudico demagogicamente rivoluzionario. Per fortuna, tuttavia, in quegli anni i miei compagni di avventura ed io, oltre ad essere stati invitati a manifestazioni internazionali prestigiose, ci siamo molto divertiti.
Dirò, in verità, che la mia presa di posizione in favore di un’arte concepita prima di essere realizzata con una modalità precisa e neutra, era maturata anteriormente al Grav, e cioè attraverso l’Arte concreta, che avevo scoperto in Brasile nel 1950. D’altro verso, il mio gusto per gli all-over, per l’assenza di composizione, è emerso con chiarezza per la prima volta, penso, al Musée de l’Homme di Parigi davanti alle tapa (dipinti eseguiti su una sorta di carta ottenuta da cortecce battute e pressate, ndr) dell’Oceania, o forse all’Alhambra di Granada. Per quanto concerne l’hasard systématique, io l’ho ritrovato già nei lavori compiuti insieme da Hans Arp e Sophie Taeuber nel 1918.
Mi accorgo solo ora, però, che ho parlato poco del Grav e ricondotto ogni cosa a me stesso: che ci vuol fare, questi sono gli artisti!

Le sue opere sono fondate su solide basi e processi razionali, matematici, eppure non mancano di provocare forti emozioni in chi le guarda. Secondo lei, a che si deve tutto questo?
Marcel Duchamp, in un’intervista, alla domanda: “Che senso dà alle sue ultime creazioni?”, rispose: “Il compito di dar loro un senso è dello spettatore”.
Io sono d’accordo con lui. Un bell’esempio in proposito può essere individuato nell’influenza, anzi nella vera e propria infatuazione per l’Art Nègre da parte di Picasso e dei primi cubisti. Ebbene, mi sembra che questi artisti non si siano mai preoccupati di comprendere qual senso avessero le opere per i loro autori. E’ stato solo assai più tardi che si è cercato di saperne di più.
Le mie opere sono delle “illustrazioni” di sistemi che fanno riferimento agli elementi basilari della matematica: 1, 2, 3, 4… In principio non significano nulla di più, ma sono felice che provochino “forti emozioni” quando le si guarda. Sovente io stesso, davanti ad un mio lavoro ultimato, provo felicità, od angoscia, o magari una sensazione di vuoto assoluto.
Molto tempo fa ho scritto su questo argomento un ampio testo che aveva come titolo: Dallo spettatore allo spettatore, ovvero l’arte di preparare il proprio pic-nic.

Nel suo lavoro, lei ricorre ad una pluralità di elementi: pittura, scultura, disegno, installazioni. Un artista, per essere veramente tale, deve essere “completo”?
Mi è sempre piaciuto indagare le modalità con cui un artista può affrontare la sfida con i materiali che ha scelto: siano essi pittura ad olio od acquerello, siano rami d’albero o lampade al neon.
Per rispondere alla sua domanda: no, non sono un artista completo, ma è vero che mi sento più eccitato a commisurarmi con le difficoltà dovute ai nuovi (almeno per me) materiali, che non a proporre nuovi messaggi con materiali vecchi, già conosciuti.

Per lei, maestro dell’utilizzo della luce, che cos’è, che cosa rappresenta la luce?
E’ un elemento così importante per me che in alcune mie opere ho voluto “giocare” con le sorgenti stesse della luce artificiale: lampadine elettriche, tubi al neon, flash, piuttosto che con i riflessi della luce (materiale o artificiale), come ha fatto il 99% degli artisti.

Lei si è confrontato anche di recente con alcuni grandi artisti del passato (Monet, Palladio…). Ci può dire chi sono, tra di essi, quelli che predilige, e per quali ragioni?
Fra gli artisti del passato, ho amato in particolare Piero della Francesca, Paolo Uccello, Goya, Turner, Monet, Seurat, Rodcenko, Mondrian, Vantongerloo, Max Bill; e poi, ovviamente, Klee, Duchamp e Picasso. Le ragioni delle mie scelte (scelte che forse non appariranno troppo originali) sono molteplici: quel che è certo, è che ciascuno di tali maestri ha apportato, nella propria epoca, una nuova concezione dell’arte. Non volendo parlar male di nessuno, non mi avventurerò a citare i contemporanei. Aggiungerò infine che devo molto pure ad artisti anonimi delle Cicladi, a quelli - già ricordati - dell’Alhambra di Granada e delle tapa oceaniane e ad altri ancora.

La mostra che le dedica in questo periodo a Milano la galleria A arte Studio Invernizzi propone opere pensate in relazione al luogo espositivo. Perché nella sua attività artistica lei ha sempre attribuito un valore primario allo spazio, all’ambiente?
Come già sottolineavo in precedenza, non avendo messaggi da trasmettere io mi sento libero di accettare sfide sempre diverse, che del resto mi sono indispensabili. E la più grande, la più bella delle sfide, è l’occupazione di un nuovo spazio, qual è quello, davvero splendido, della sede ampliata della galleria milanese. Perciò ho accolto con entusiasmo l’invito ad esporre rivoltomi da Epicarmo Invernizzi.