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ArteSera Anno 1 Numero 3 febbraio 2011



Quei favolosi (e disperati) anni '80

Guido Costa



Il primo free press di Arte Contemporanea per tutti


SOMMARIO ArteSera N°3

COPERTINA: Paris, le Plateau (di Gea Casolaro)

EVENTO DEL MESE: Aprono a Febbraio – due nuove mostre per il Castello di Rivoli e l’Arca di Vercelli

IL RACCONTO DELL’ARTE: Quei favolosi (e disperati) anni ’80 (di Guido Costa)

COLLEZIONE ArteSera: Paola Anziché

ARTE PUBBLICA: Se il tram diventa un bivacco (urbano) – (di Paola Varallo)

SCONFINAMENTI: Avere Stoffa (di Anna Magnesi)

AGENDA MUSEI TORINO E PIEMONTE

AGENDA GALLERIE TORINO E PIEMONTE

VISITA GUIDATA: WE (di Lorena Tadorni)

RECENSIONI GALLERIE: Sonia Rosso e Verso Arte Contemporanea

STORIE: Lutrario Le Roi (di Michele Bonino)

FARE ARTE: Restaurare l’arte contemporanea: Luisa Mensi (di Angiola Maria Gili)

EXTRA: Gran Torino (di Olga Gambari)
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Francesca Alinovi in un ritratto degli anni ‘80

Raffaello Ferrazzi, acrilico su carta Fabriano, 1987

Maurizio Vetrugno
28 Donne Preziose degli Anni '70 ,1990
ricamo su velluto, cuoio,bachelite
99 x 158 Collezione Marco e Luisa Rossi, Torino
Foto Studio Blu, Torino

Per tutti noi gli anni '80 iniziarono tra il sei ed il sette aprile del 1978 (1) e non finirono più. Fu una decade lunga e tormentata che si è prolungata come una brutta influenza per più di un quarto di secolo, fino ad oggi. Da quei lontani giorni di aprile le cose non furono mai più le stesse.
La mia vita e quella di tanti come me, il nostro  modo di pensare, persino le nostre abitudini quotidiane, si modificarono irrimediabilmente e per sempre.
Fu come risvegliarsi all'indomani di un'immane catastrofe geologica, nel pieno di una trasformazione epocale dalle profonde conseguenze antropologiche. Fu come la comparsa di un tipo inedito di homo sapiens.
 In realtà, tutto si era ampiamente consumato già da alcuni anni, con largo anticipo rispetto a quei giorni dell'aprile 1978, data simbolica soltanto per noi italiani.

A ben vedere, la nostra mitologia di santi e martiri era già del tutto definita, canonizzata in poco più di un lustro da una silloge di overdose tra l'Hotel Samarkand di Londra, il 18 settembre 1970 (2) , e un piccolo appartamento di New York, il 2 febbraio 1979 (3). Tutte storie tristi di esiliati, di gente che non sapeva tanto bene dove mettere radici. Non a caso, proprio con una storia di fughe e nomadismo si era inaugurato per tutti il decennio, a Villa Nellcote, sud della Francia, tra Nizza e Cap Ferrat (4).Persino nell'arte, quella alta, delle gallerie, tutto si era già rimescolato, mettendo in crisi la consolidata gerarchia tra capitali e periferie: Groovy Bob Fraser aveva già da anni trovato la propria deriva esotica in quel di Tangeri prima, ed in India poi, mentre ovunque si stava preparando il trasloco dai quartieri alti nella suburbe dei ghetti non ancora preda della speculazione edilizia.
Anche qui da noi, nella nostra piccola Italia, centro e periferie non avevano più tanto senso ed il tessuto della creatività si faceva via via più poroso, diffuso orizzontalmente tra classi e luoghi geografici.

Se in filosofia era data come acquisita la consumazione del soggetto tradizionale, assertivo e imperialista, la riscoperta del valore politico del desiderio faceva immaginare nuove individualità, libere dai meccanismi un po' artritici della dialettica servo-padrone. Ecco perché, in un breve periodo febbrile e utopico, ci si era immaginati di poter aprire tutte le porte, e non soltanto quelle già sufficientemente sensibili della percezione.
Poi, in un batter d'occhio, tutta la futurologia divenne archeologia.
Ci furono, è vero, degli strani sussulti, come se il cadavere non accettasse il suo proprio rigor mortis: nel 1981 nel Lower East Side di New York, oltre la Bowery, c'erano più di trecento gallerie d'arte. Un anno e mezzo dopo non ne sopravvivevano che una decina. Ovunque si parlava di new wave, nella musica, nella danza, nel teatro, ma tutto ciò che di interessante iniziava a delinearsi all'orizzonte già nasceva nel segno del post human, modo curioso per parlare del nuovo come fosse già morto.

Se vado con la memoria a quegli anni non posso non ricordare quel gusto di contraddizioni aperte che sentivi dappertutto: allora si parlava di underground, che non era altro che una disperata strategia di sopravvivenza in città blindate dal potere poliziesco; si viveva per la comunicazione in contesti divenuti assolutamente impermeabili al confronto; si faceva perenne equilibrismo tra alto e basso in un magma ribollente di estremi inconciliabili. Marcel Proust e l'eroina, i Sonic Youth ed il pop italiano, Toni Negri e Spinoza, le radio libere e i primi yuppies, i graffitisti e le Accademie in declino, la vita della strada ed i salotti. E poi gli enfatisti di Francesca Alinovi (5), la nascita di Neon a Bologna (6), tutti esperimenti di sopravvivenza urbana, naufragati nella coca e nel sangue, come ogni tragedia di strada che si rispetti. L'Aids, gli ospedali, le cliniche in Svizzera, le comunità terapeutiche dei preti, senza neanche una Nan Goldin che distillasse i drammi personali facendone icone sentimentali di una sempre ritornante gioventù bruciata.
Che anni tristi, quegli anni ottanta. Mai stati così socievoli e così soli.
Io, come molti altri in quegli anni, non frequentavo con piacere le gallerie d'arte, considerate qualcosa di decadente, anche nelle loro punte più sperimentali e d'avanguardia. Ai rituali del mondo dell'arte preferivamo quelli diretti e crudeli della strada, il teatro, la musica, dove il coinvolgimento era innanzitutto quello dei corpi e i feticci del mercato apparentemente non facevano ancora da padroni.

In città si andava talvolta da VSV di Edoardo Di Mauro, più spesso da Guido Carbone, ma più per ragioni personali, di pelle, che per uno schietto interesse per le arti visive.
Frequentavo gli artisti, è vero, e con alcuni di essi sono ancor oggi buon amico, Maurizio Vetrugno tra tutti. Ricordo le ore passate nello studio di Raffaello Ferrazzi, in una soffitta di Via della Rocca. Dipingeva a terra, giorno e notte, infaticabile, con due bicchieri a fianco, uno per i pennelli, l'altro per le siringhe. Fu proprio grazie a lui che, qualche anno prima della sua morte prematura, scoprii i segreti dell'Est Side di New York. Si era trasferito ad Alphabet City, Avenue D, come dope, e faceva una pittura semplice, neo pop, simile per molti tratti a quella di David Wojnarowicz. E come lui, povero Raffaello, visse una vita postuma.
Tutto il resto, lo confesso, era noia, a partire dal rigore distillato dell'arte povera, che poco rispondeva al nostro desiderio di esuberanza glam, cinica e maledetta, alla prima Factory. Avevo però grande rispetto di Mario Merz, indipendentemente dalle sue opere: lo adoravo da ubriaco, pazzo e tagliente come un bel Falstaff.

Gli anni ottanta me li ricordo così, tutti racchiusi in una Torino notturna e nebbiosa, con le strade deserte dalle dieci di sera in poi. Con le puttane ad ogni angolo del quadrilatero ed i bar dei catanesi, fumosi e sinistri, dove adesso ci sono gli hotel a cinque stelle. Con i murazzi bui, a parte una lucina da Giancarlo, deserto, con un flipper in un angolo e Peppo Parolini in un altro. Anni che, chiunque avesse un minimo di voglia di vivere, sognava di scavalcare in un passo, fuggendo lontano in un qualsiasi tugurio di Avenue A, B, C, o D. I ragazzi di Torino "sognavano Tokyo", e andavano a Berlino. Poi arrivarono i nani e le ballerine in festosa sarabanda, e da allora in poi non ce li siamo più levati di torno.

Guido Costa, gallerista attivo sin dagli anni Novanta


Note
1. il 6 aprile venne ritrovato il corpo di Aldo Moro, mentre il 7 aprile venne arrestato Toni Negri
2. moriva Jimi Hendrix per eccessiva dose barbiturici
3. John Simon Ritchie, meglio conosciuto come Sid Vicious, veniva trovato morto per un'overdose da eroina
4. Exile On The Main Street – 1972 – Rolling Stones. Quattordicesimo lavoro, questa volta doppio, per Jagger e soci - anzi per Richards & C. visto che fu registrato nella sua villa, Nellcote, sulla Costa Azzurra, dove gli Stones scontavano appunto un dorato esilio per problemi con il fisco e con la polizia alle calcagna per eccessi di droga. Curioso come Nellcote fosse il quartiere generale della Gestapo in terra di Francia nella Seconda Guerra Mondiale e svastiche e orpelli nazisti fossero ancora ben visibili !!!)
5. Francesca alinovi, uccisa nel 1983 all’età di 35 anni a bologna, geniale critica d'arte fuori dagli schemi e organizzatrice di mostre, oltre che insegnante al DAMS e figura di riferimento della scena artistica di quegli anni
6. La galleria Neon nasce a Bologna nel 1981, come spazio laboratorio aperto, diventando uno dei centri della creatività italiana. L'incontro con Francesca Alinovi genera una intensa stagione di collaborazione, la scoperta dei Graffitisti e della scena no-wave newyorkese, e la meteora dell’Enfatismo