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Flash Art Italia (1999 - 2001) Anno 32 Numero 217 Estate 1999



Sindrome Cinese

Fei Dawei

Gli occidentali capiscono davvero l'arte orientale?



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La biennale non aveva mai avuto un'edizione così ben riuscita: il merito va ascritto all'ampliamento della sezione Aperto e alla proposta di un numero maggiore di giovani, con particolare attenzione alle donne e agli artisti cinesi. Secondo le liste ufficiali, venti sono gli artisti nati in Cina, vale a dire un quinto di tutte le presenze. Va segnalata invece
l'assenza di giapponesi, russi, africani. La massiccia partecipazione di artisti cinesi sembra una scommessa favorevole a Szeemann, ma quale sia la validità di questa scelta è una delle chiavi di volta del giudizio su questa Biennale.
Gli artisti cinesi presenti possono dividersi in tre generazioni: la prima è quella di coloro che
presero parte al movimento dell'avanguardia dell'85, molti dei quali risiedono ormai all'estero:
Huang Yong Ping (Parigi), Cai Guo Qiang (New York), Chen Zhen (Parigi), Liang Shaoji, Wang Du (Parigi), Zhang Peili, Ai Weiwei; la seconda è emersa nella prima metà degli anni Novanta: Fang Lijun, Zhao Bandi, Yue Minjun; la terza generazione è venuta alla ribalta nella seconda metà dei Novanta: Zhang Huan, Zhou Tiehai, Ma Liuming, Wang Xingwei, Yang Shaobin, Zhuang Hui, Xie Nan Xing, Lu Hao, Wang Jin. Esula da questa categorizzazione l'ultrasessagenario Qiu Shihua.
Tra i cinesi figura anche una certa Ying-bo, nata secondo il catalogo nel 1963 in un'inesistente città dell'Impero di Mezzo: si tratta in realtà della moglie del curatore, l'artista svizzera Ingeborg Lüscher, la quale ha ripreso un gruppo di artisti pechinesi mentre si divertono dietro un bicchiere di vino e si è poi celata sotto uno pseudonimo cinese.
È evidente lo iato fra artisti tuttora residenti in Cina (guonei) e quelli emigrati all'estero (guowai): questi propongono un linguaggio artistico personale attingendo alla cultura cinese nel tentativo di fornire risposte a interrogativi universali. Le opere più interessanti sono quelle più recenti. Si veda ad esempio Ming da wushi daban (Cinquanta colpi ciascuno) di Chen Zhen,
installazione di tamburi ricavati da quasi un centinaio di sedie e letti
cinesi, che ottiene una nuova forza grazie all'intervento degli spettatori, invitati a percuotere i tamburi.
L'opera di Cai Guo Qiang, Rent Collecting Courtyard, si rifà a un famoso modello originario dell'arte cinese di propaganda degli anni Sessanta, che descriveva il momento dell'esazione dei tributi fra gli agricoltori da parte dei proprietari terrieri. Cai Guo Qiang ha invitato a Venezia nove scultori cinesi, chiedendo loro di ricreare questo gruppo scultoreo.
Lo scultore cinese spinge così il pubblico oltre il linguaggio abituale dell'arte contemporanea,
recuperando lo stile antiquato del realismo socialista: Cai introduce gli spettatori nella Storia, li fa entrare nel processo creativo di un'opera tridimensionale, materica, realistica. L'artista lascia addirittura che le opere esposte si sgretolino naturalmente nel corso della
mostra sottolineandone il carattere. L'artista scherzando ha commentato: "Rent Collecting
Courtyard è come la Biennale. I contadini devono pagare i latifondisti, come gli artisti devono
cedere le opere agli organizzatori: sempre di obbligo si tratta".
Gran parte delle opere cinesi esposte proviene dalla collezione dell'ex ambasciatore svizzero in
Cina, il signor Sigg: ecco perché le opere sono quasi tutte di dimensioni ridotte e il loro livello qualitativo presenta alti e bassi. Se negli artisti cinesi residenti fuori dalla Cina si riscontra la tendenza a elaborare opere che si richiamino al patrimonio simbolico della madrepatria per costruire una tensione con la realtà nuova in cui si sono inseriti; fra gli artisti cinesi che ancora vivono in Cina si ricorre a tecniche e modi occidentali per trascendere la realtà cinese d'oggi.
Questa contraddizione è una delle chiavi di volta della nostra comprensione del loro lavoro. Il
video di Zhang Peili, Uncertain Pleasure, riprende una serie di mani impegnate a grattarsi. Allo
spettatore potrà sembrare un'immagine già vista, eppure esercita un grande fascino: la reiterazione ininterrotta del movimento trascende il singolo corpo e ricorda il movimento di massa. L'artista sembra qui giocare sull'ambiguità dell'azione dell'uomo, mentre fa un'analisi
meticolosa delle sue intime esigenze. Il giovane artista del Sichuan Xie Nanxing ha inaugurato un tipo di pittura definito "realismo psicologico": con pennellate precise ritrae situazioni allucinate. Zhuang Hui ha persuaso - grazie alla propria resistenza all'alcol - parecchi
capi-unità (l'unità, danwei, è costituita da un gruppo di operai con omogeneità di compiti) a
collaborare con lui, posando per una foto ricordo di gruppo. A riscattare il formalismo ufficiale di tali foto è lo humour graffiante dell'artista contro i formalismi della società. L'artista pechinese Lu Hao, ispirandosi al genere pittorico tradizionale huaniao yuchong (fiori uccelli pesci insetti), ha inserito insetti e animali nei modellini di edifici che rappresentano il potere a Pechino. Peccato che a Venezia sia stato proibito l'uso degli animali vivi presenti in queste opere. Zhou Tiehai porta avanti una satira cinica e un'analisi distaccata sul problema del
rapporto fra arte e società con tele di bad painting di grande formato. L'artista esplicita la
propria critica verso l'attività artistica internazionale scrivendo su un dipinto: "I rapporti nel mondo dell'arte equivalgono a quelli tra gli stati nell'epoca successiva alla Guerra Fredda".
Gli artisti cinesi espatriati sono perfettamente coscienti della necessità di un dialogo interculturale e hanno una ricca esperienza delle pressioni finanziarie del sistema occidentale. Grazie a costosi mezzi di realizzazione, le loro opere - dalle dimensioni enormi e dallo stile sgargiante - lasciano una forte impressione sul pubblico. Gli artisti rimasti in Cina non hanno la medesima esperienza, né possono godere delle medesime circostanze favorevoli alla realizzazione delle loro opere.
Fatte queste premesse, è evidente che Szeemann avrebbe potuto svolgere una scelta decisamente più oculata, escludendo qualche artista, ma consentendo ad altri di lavorare in condizioni migliori per produrre opere nuove. Inoltre, se Szeemann avesse speso più tempo a indagare sulla scena
artistica cinese, invece di limitarsi alle opere di una sola collezione, questa Biennale avrebbe ospitato artisti ancora più interessanti. Artisti cinesi residenti ed emigrati hanno ricevuto apprezzamenti diversi dalla critica, ma si potrebbe fare anche un'altra considerazione: un dialogo genuino scaturisce sempre da una incomprensione. Quanto più facilmente un'opera d'arte è
recepita, tanto minore sarà il contenuto di originalità che essa cela. Per quanto le opere degli
artisti cinesi guonei abbiano risultati visivi che spiazzano l'osservatore, per quanto forse
trattino argomenti affrontati anche dagli occidentali - e secondo i modi occidentali - tuttavia tali lavori dovrebbero pervenire con maggiore facilità a posizioni estetiche più "libere", proprio perché non legate all'esperienza degli artisti guowai. La questione è: l'organizzazione della Biennale ha messo questi artisti nella condizione di esprimere una tale coscienza di maggior libertà?
Non ci è parso.
Szeemann ha voluto porre l'accento sul dAPERTutto, quindi sul concetto di "apertura". Ma nel
considerare un'attività culturale, non possiamo fare a meno di scegliere, non possiamo evitare
di prendere posizione, una posizione specifica. Dato che il numero dei partecipanti è limitato, l'apertura non può che essere limitata. Szeemann ha evidentemente molta fiducia nel proprio intuito, dato che si rifiuta di spiegare le premesse ideologiche di questa Biennale.
Non possiamo esimerci dal domandare: l'intuito di Szeemann è politico o artistico? O è quello del mercato dell'arte? Per usare le parole dello stesso Szeemann:
"Dopo questa Biennale, gli artisti cinesi diventeranno presto famosi: entro due anni il mercato
occidentale ne sarà saturo, e dunque non potranno essere il perno della prossima edizione a Venezia". Gli artisti cinesi, portati con forza alla ribalta internazionale, aspettano il loro
destino. Come capitò agli artisti russi dieci anni fa?
(Traduzione dal cinese di Sergio Basso)

Fei Dawei è critico d'arte. Vive e lavora a Parigi.