L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 16 Numero 169 luglio-agosto



Generazione mutante

Silvia Bordini



ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Il nuovo ritmo del Novecento
Elisa Guzzo Vaccarino
n. 217 Dicembre 2005

Il tema della discordia
Paul Lang
n. 216 novembre 2005

Tradizione e Innovazione
Anna Maria Ruta
n. 214 settembre 2005

Grande mela anni Ottanta
Gianni Mercurio
n. 215 ottobre 2005

Con gli occhi di Alice
Marina Pugliese
n. 213 luglio/agosto 2005

Realta' intensificata
William Feaver
n. 212 giugno 2005


Tony Oursler, Digital (1997), proiezione su ventitre cubetti di legno. Cortesia Ufficio stampa Palazzo dei Diamanti, Fer

Fabrizio Plessi, Bombay Bombay. I lavatoi dell'anima (1993), videoinstallazione. Cortesia Ufficio stampa Palazzo dei Dia

Nam June Paik, Buddha (1989), videoscultura; Karlsruhe, Zkm. Cortesia Ufficio stampa Palazzo dei Diamanti, Ferrara.

L'arte elettronica ha più di trent'anni: i suoi protagonisti "storici" e le più recenti acquisizioni sono in mostra a Palazzo dei Diamanti a Ferrara in un percorso che evidenzia le trasformazioni di una forma d'arte per sua natura tendente all'ibrido, allo scambio, alla trasformazione.

Sono passati più di tre decenni dagli esordi sulla scena internazionale di modi di fare e di pensare l'arte imperniati sull'impiego degli strumenti che siamo abituati a chiamare "nuove tecnologie": il video, il computer e le loro molteplici interazioni. Una periodizzazione storica potrebbe iniziare dagli anni Cinquanta, assumendo come data di partenza ideale il Manifesto del movimento spaziale per la televisione di Lucio Fontana (1952) e come prime realizzazioni i "dé-coll/ages" in cui Wolf Vostell inserisce schermi e trasmissioni televisive (1958-1959); mentre le fondative esperienze del trattamento delle immagini elettroniche risalgono a Nam June Paik, che fin dal 1963 genera dall'interno del dispositivo televisivo un magmatico flusso di forme e suoni, e che nel 1965 inaugura l'uso creativo della registrazione con la prima telecamera portatile avviando la lunga stagione del video d'artista. Sperimentazioni, queste, che alla fine degli anni Sessanta possiedono già una struttura ampia e in divenire, come testimoniano, tra gli altri, le ricerche di Steina e Woody Vasulka, le registrazioni di Gerry Schum, le videoperformance e le installazioni di Bruce Nauman, e le ratifiche di mostre come Cybernetic Serendipity. The Computer and the Arts (1968), che proponeva la creatività del computer, o come Tv as a Creative Medium (New York 1969), dedicata alla videoarte. Da allora si sono diffuse nei territori dell'arte le articolazioni di un linguaggio nuovo, carico di ipotesi problematiche e affascinanti: non solo per lo stringersi di un rapporto tra arte e tecnologia che espunge manualità e procedimenti tradizionali a favore di un fare mentale che implica un'interazione particolare tra artista e macchina - sovente in una dimensione di lavoro collettivo -, ma anche e soprattutto per le realizzazioni che ne scaturiscono. Attraverso la rielaborazione dei dati e delle potenzialità espressive e comunicative dei new media, l'arte elettronica ha mutato profondamente il senso e la nozione stessa di opera d'arte portando a compimento la decostruzione, iniziata dalle avanguardie storiche, delle tradizionali categorie di pittura e scultura come arti dello spazio, e di letteratura e poesia come arti del tempo. Nelle immagini e nell'immaginario delle opere si immettono le suggestioni di musica, suoni e parole, l'animazione del movimento, la fluidità di un senso del tempo di volta in volta espanso o contratto o moltiplicato, i suggerimenti di una percezione diversa, più attiva e intensa sul piano del corpo e dei sensi; intessuta dalla dimensione mobile e incorporante dell'evento, l'arte elettronica sollecita nell'osservatore una partecipazione: emotiva, mentale, fisica, fino a immetterlo all'interno dell'opera e a farlo intervenire anche nella responsabilità dei suoi funzionamenti e delle strategie degli artisti.

CONTAMINAZIONI E INTERAZIONI

Tutto questo si è avverato e avviene in un continuo confronto con le tradizioni e con le sperimentazioni dell'orizzonte artistico. Non a caso si sono accostati al video, e alle sue svariate ibridazioni con l'informatica, artisti provenienti da diversi campi operativi, alcuni per attraversamenti sperimentali di breve durata, molti scegliendo questo settore come campo privilegiato ed esclusivo d'azione. Per tutti comunque l'esplorazione dei mezzi elettronici si configura come una ricerca, continua, versatile e polivalente; fondamentale è l'attitudine a una sperimentazione in direzioni diverse e a una continua e intensa contaminazione e interazione di linguaggi. Una dimensione "in progress" che si esplica in un contesto internazionale fitto di scambi, di apporti individuali differenziati come di momenti di aggregazione collettiva, di confronti, in un tessuto di continuità e diversità. La mostra di Ferrara offre una panoramica incisiva di questa storia, assumendo come assi portanti di una possibile lettura le categorie della metamorfosi e della metafora. Metamorfosi perché un carattere peculiare dell'arte elettronica è l'intrinseca mutabilità di immagini trattate come materia plasmabile che si trasforma dal proprio interno. Non solo, ma anche per la sua vocazione a proporre, trasfigurandoli, narrazioni e miti dell'oggi, archetipi antichi e nuovi di un immaginario nella cui identità concorre la presenza delle profonde trasformazioni delle forme del comunicare e del pensare legate all'accelerazione tecnologica del mondo attuale. Video e videoinstallazioni costituiscono un'arte ibrida, che incessantemente trasmigra dall'immobilità al movimento, dall'oggetto all'immaterialità, dal compiuto al modificabile, dall'unicum al riproducibile, dal silenzio al suono, dal dato fisico alla fluidità, dalla materia all'evento, dalla contemplazione alla partecipazione, dal visibile all'invisibile. Articolando in tal modo le suggestioni metaforiche proprie dell'arte nella costruzione di un linguaggio che incorpora e rielabora il tempo e lo spazio, persone e natura, oggetti e ombre, moltiplicando nelle sue intenzioni e invenzioni i riferimenti a una pluralità di mondi e sensi possibili, tra i poli complementari di realtà e apparenza. Le opere dell'arte elettronica si configurano come metafore del mutare dei rapporti e dei desideri all'interno della ricchezza e dell'entropia di una comunicazione invasiva, stimolante e stordente, della natura e della cultura mutanti in cui siamo immersi. Una realtà nei cui confronti gli artisti si sono posti nei termini di indagine e interpretazione, dialetticamente rappresentandola o trasfigurandola, manipolando l'apparenza e l'esperienza, utilizzando e volgendo a significati altri proprio quelle tecnologie multimediali che la caratterizzano; l'arte come modo di vedere più che di rappresentare.
L'esposizione si articola sulla presentazione di una serie di opere "classiche", come omaggio e rivisitazione di momenti altamente rappresentativi della storia dell'arte elettronica; e va detto in proposito che la sede della mostra, il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, non è senza significati. A Ferrara si è svolta la vicenda del Centro videoarte di Palazzo dei Diamanti: fondato e diretto per molti anni (dal 1972 al 1994) da Lola Bonora, il Centro è stato un'esperienza di grande significato, unica nell'ambito del panorama museale italiano. Al suo interno si sono sviluppate ricerche e mostre, convegni, scambi internazionali e, elemento qualitativamente caratterizzante, un laboratorio di produzione che ha sostenuto e promosso l'attività di molti artisti. Un impulso sul piano operativo e critico che si spera di poter presto riattivare.

GLI ARTISTI

L'incipit della mostra è offerto, nell'atrio del palazzo, dalla monumentalità spettacolare della Torre delle trilogie (1998) di Mario Sasso: un monolite composto da sessanta monitor in cui scorre, come una cascata fantasmagorica, il microcosmo delle icone della luce, dell'acqua e del colore, scenario di un luogo di passaggio in cui si definisce e si perde il confine che determina dove la natura finisce e inizia l'artificiale. All'interno il percorso inizia con le figure storiche fondamentali di Vostell, Paik e Vasulka: Vostell con una versione di Endogen Depression, una celebre installazione in cui la volontà critica dell'artista nei confronti delle trasmissioni televisive prende corpo in un simbolico azzeramento della comunicazione; un televisore spento che emerge, opaco e inquietante, da un blocco di cemento. Paik è presente con due videosculture, Buddha e Passage (1989): la prima opera rimanda al rapporto che Paik vive tra cultura orientale e tecnologia di matrice occidentale: una relazione dialettica reificata nella figura di Buddha che contempla, ieratico, la luce primitiva di una candela inserita nella cavità di un monitor. E se il vuoto del televisore diventa oggetto di meditazione, la statua è variata da elementi di stampo neodada che rimandano alle articolazioni del movimento Fluxus, al cui interno Paik ha proposto le sue prime trasgressive invenzioni elettroniche. L'altro lavoro di Paik, Passage, è un arco, un passaggio, un varco simbolico tra modi di comunicare, edificato da un assemblaggio di televisori i cui involucri sono segnati da caratteri e scritte in vari linguaggi antichi e moderni. Nei loro schermi scintillano le tipiche elaborazioni di suoni e immagini che l'artista trae dall'interno del dispositivo elettronico, distorcendo e trattando il segnale.
Il video di Woody Vasulka, Art of Memory (1987), è invece emblematico di un modo di ripensare la memoria e la storia, elaborando elettronicamente i suoi materiali sullo sfondo di arcani paesaggi e di figure simboliche: il materiale dei film d'archivio si ristruttura in una costruzione monumentale e drammatica indicando un visionario percorso critico.
L'esperienza di Centro videoarte di Ferrara è rievocata da una scelta di video dell'archivio (con lavori di Maurizio Bonora, Maurizio Camerani, Giorgio Cattani, Fabrizio Plessi), accostati a Identifications di Gerry Schum (1970), una pietra miliare della trasformazione della performance e dell'azione d'artista in un'autonoma opera video.
La generazione successiva ai "pionieri" dell'arte video è rappresentata da Robert Cahen, Tony Oursler e Bill Viola, mentre la dimensione dell'interattività, mediata da sofisticati dispostivi informatici, è introdotta dai lavori degli artisti del gruppo Studio Azzurro e di Piero Gilardi. Si sussegue così nelle sale del Palazzo dei Diamanti una serie di installazioni: la lenta caduta di oggetti quotidiani di Tombe (Cahen, 1997), sottile metafora di un transito esistenziale in un fluido temporale immerso in un onirico azzurro; le inquietanti apparizioni di volti mormoranti di Oursler (Digital, 1997); l'affascinante animazione dell'istante immobile della Visitazione di Pontormo nel rallentamento metafisico e nel sondaggio di una percezione arcana e lucidamente presente di The Greeting di Viola (1995), in cui la durata si dilata a cogliere le sfumature emotive e spirituali di un linguaggio di corpi e di gesti infinitesimali.
Sul crinale di un'indagine diversa della percezione dello spettatore, coinvolto ed esso stesso "trattato" in un dialogo attivo con l'opera, si pongono le interpretazioni dell'interattività da parte di Studio Azzurro e di Gilardi. Il soffio sull'angelo è "un'opera d'aria" in cui le immagini di corpi senza peso si animano e fluttuano nello spazio quando qualcuno soffia sull'interfaccia costituita da piume sospese nell'ambiente, attivando una relazione diretta con gli osservatori. Connected Es di Gilardi (1999) sperimenta e sollecita invece un'interazione involontaria, in cui le immagini emergono dal buio e si modificano in rapporto al battito del cuore di coloro che partecipano fisicamente dell'installazione; un'esperienza che sonda la soglia tra allucinazione e consapevolezza, tra emozioni, fisiologia e tecnologia, in una dimensione di immaginario cyborg.
Le generazioni più giovani sono rappresentate dai quadri digitali (di Matteo Basilè, Alessandro Gianvenuti e Giuseppe Tubi), ultimissima metamorfosi (preannunciata da sperimentazioni che affondano nel recente passato e documentate da alcuni interventi del Festival di Camerino) che vede il ritorno al supporto rigido, alla staticità, all'unicità, alla bidimensionalità e alla materialità. Selezionate da fotografie o da video e passate allo scanner, o scaricate da internet e memorizzate nel computer, manipolate con procedimenti digitali e infine stampate col plotter o in cibachrome le immagini tornano a collocarsi sulle pareti, immobili e immodificabili icone di un ulteriore confronto tra arte e new media. Forse il segnale di un "ritorno all'ordine", ma anche una nuova sfida che recupera la dimensione classica del quadro attraversando sofisticati processi di trasformazione tecnologica.
Il percorso della mostra termina con le opere di due artisti che hanno lavorato a lungo presso il Centro di Ferrara, Maurizio Camerani e Fabrizio Plessi. Camerani espone Io-Io, (2000-2001), un'installazione che gioca sulla polarità tra ombra e materia, il peso della scultura e la fluidità del video. Fabrizio Plessi presenta un lavoro emblematico della sua intensa e affascinante ricerca artistica, Bombay Bombay. I lavatoi dell'anima (1993): una sequenza di grandi vasche di ferro sui cui si accumulano bianchi panni ritorti e al cui interno scorrono, in una serie di monitor, i flutti immateriali e scroscianti di acque purificatrici. Natura e tecnologia, nella metafora dell'acqua e del video, si fondono in una sostanza immaginativa, alludendo alle energie e alla vitalità contrastanti che si intrecciano nei miti antichi e nuovi che pervadono la cultura contemporanea.

LA MOSTRA E IL SUO SPAZIO

Molte, nelle scelte di questo tragitto esemplificativo più che esaustivamente documentario, sono le assenze, tante da non poterle elencare, ma obbligate come in ogni mostra, e tanto più in una dedicata a opere fatte di luci suoni monitor proiezioni, dispositivi delicati e complessi, che esigono allestimenti specifici, diversi da quelli di quadri o sculture: l'esposizione di video e installazioni negli spazi di un museo storico come il Palazzo dei Diamanti, con la sua sequenza di piccole e medie sale, preziose e non modificabili, ha comportato la messa a punto di strategie percettive capaci di inserirsi e funzionare negli spazi rinascimentali, attraverso la soluzione di problemi specifici di oscuramento, e di impianto luminotecnico, di isolamento sonoro, di ventilazione, di sicurezza. La mostra Arte elettronica. Metamorfosi e metafore si configura dunque come un'esperienza importante sia per il profilo scientifico sia per gli intenti di raccogliere e sviluppare l'esperienza storica di Ferrara, sia per l'attenzione portata sulle problematiche delle specificità espositive dell'arte elettronica: un tema complesso su cui sarebbe opportuno e interessante avviare una seria ricerca, coinvolgendo curatori di musei e di mostre, artisti, tecnici, architetti, al fine di mettere a fuoco una cultura dell'allestimento espositivo capace di rispondere alle esigenze delle opere e del pubblico dell'arte multimediale.

LA MOSTRA

Arte elettronica. Metamorfosi e metafore è il titolo della mostra, a cura di Silvia Bordini, dedicata alla storia dell'arte elettronica: dalle sperimentazioni pionieristiche degli anni Sessanta fino alle più recenti elaborazioni dei "quadri digitali". Raccogliendo l'eredità del Centro videoarte di Palazzo dei Diamanti, si configura come una proposta di riflessione e di conoscenza nell'ambito di un progetto di rilancio del settore delle arti che imperniano le proprie ricerche sull'impiego delle "nuove tecnologie". Si tratta di un'ampia ricognizione storico critica che comprende un gruppo di installazioni di grandi protagonisti (tra gli altri Vostell, Paik, Vasulka, Viola, Cahen, Oursler, Plessi, Gilardi, Studio Azzurro, Sasso, Camerani), assieme a una retrospettiva dei video di Gerry Schum e dell'Archivio di Ferrara e alle proposte di artisti dell'ultima generazione. La mostra punta dunque l'attenzione sul contesto internazionale quanto su quello nazionale, sulle radici storiche e sull'attualità, esemplificando un tessuto di rapporti, continuità e diversità tra opere, tendenze, personalità, poetiche. I saggi in catalogo (Silvia Bordini, Marco Maria Gazzano, Sandra Lischi, Ralph Melcher) esplorano le articolazioni e i significati della vicenda dell'arte elettronica, le sue interne trasformazioni, il senso metaforico di video e videoinstallazioni, i rapporti con il cinema e con le arti visive.
Palazzo dei Diamanti, fino al 2 settembre (corso Ercole I d'Este 21; telefono 0532 209988; e-mail: diamanti@comune.fe.it; orario10-13, 15-19; catalogo a cura delle Gallerie d'arte moderna e contemporanea del Comune di Ferrara).

S. B.