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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno Numero 169 luglio/agosto 2001



Forme di vita senza tempo

Alberta Gnugnoli



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Edward Weston, Nautilo (1927) Courtesy Press Office MFA, Boston (Mass.)

Edward Weston, Nudo (1936) Courtesy Press Office MFA, Boston (Mass.)

Edward Weston, Peperone (1930) Courtesy Press Office MFA, Boston (Mass.)

Dopo la scoperta del modernismo attraverso la rivista di Alfred Stieglitz, Weston sceglie il Messico post-rivoluzionario di Tina Modotti e Diego Rivera, dove le forme naturali gli rivelano una dimensione potenziata, un valore estetico fuori dal flusso del tempo che cercherà di esprimere nella sua tensione verso l'assoluto.

"Ho fatto la mia parte nel rivelare agli altri il mondo vivente intorno a loro", aveva detto di sé Edward Weston (1886-1958), il primo grande artista americano venuto dall'Ovest che espresse la sua visione estetica attraverso l'obiettivo fotografico, il nuovo medium del nuovo secolo, il XX, alle cui sfide artistiche, dal cubismo al surrealismo, Weston rispose dimostrando non solo l'assenza di limiti del mezzo ma anche le sue peculiari qualità che imponevano una nuova bellezza formale, fatta di dettagli, superfici, ritmi resi con un'abbagliante vibrante esattezza. E non poteva essere se non così, per l'appetito sensuale e insaziabile di Weston per la forma, per tutte le forme - organiche e vegetali, antropomorfiche e industriali - che da empirista americano non immune da una certa cautela nei confronti dell'Europa modernista e delle sue matrici soggettiviste, Weston cerca nella realtà, naturale o creata dall'uomo, per isolarle, sublimarle e così magnificate rivelarle alla sensibilità emozionale dell'uomo comune. Perché "the flame of recognition", la fiamma della conoscenza intuitiva che, relazionando la realtà ovvia all'esoterico rivela di essa l'ignoto inatteso, bruci nella forma con mirata intensità senza disperdersi come fumo in un falò. Eppure questo formalista che provava un "brivido di piacere" quando la cosa, l'oggetto stavano per "darsi", cioè "presentarsi", all'obiettivo fotografico come altro da sé, negli ultimi dieci anni della sua attività superò l'inibizione della forma per cogliere l'automatismo gestuale della natura nella sua libera espansione di movimento e di vita. A questa fase stilisticamente innovativa, ma controversa, per le opposte reazioni di critici ed estimatori dell'artista, e ancora tutta da esplorare, l'Art Institute di Chicago dedica una mostra (Edward Weston: gli ultimi anni di Carmel) che ne integra un'altra affascinante del Museum of Fine Arts di Boston (Edward Weston: fotografia e modernismo) attesa, dal primo giugno al 18 agosto del 2002, per l'ultima tappa, alla Phillips Collection di Washington.

n ATEMPORALITÀ DELLA FORMA

Edward Weston, nato a Chicago e trasferitosi a Tropico (poi Glendale) in California per aprirvi uno studio fotografico, nel 1916 era già un ritrattista affermato di squisita maniera pittorialista quando attraverso le pagine di "Camera Work", la rivista di arte e fotografia pubblicata da Alfred Stieglitz a New York, fa la prima conoscenza del cubismo di Picasso e di Braque e del modernismo fotografico di Strand e di Sheeler. Ma è solo del 1922, una mezza decade in ritardo sui due fotografi di New York, la prima compiuta adesione di Weston al modernismo con il ritratto di Ruth Shaw, una lettura del volto femminile come raffinata composizione di dada, costruttivismo russo, geometrismo di Mondrian. Una tappa che è insieme un congedo dall'interpretazione della soggettività per un approccio più umile e diretto a un'oggettività profonda ed essenziale che lo faccia sentire parte dei "ritmi universali" della vita. Come Weston annota nel suo Daybook, un diario intimo tenuto per quindici anni (1917-1934), senza precedenti nella storia della fotografia, paragonato al Journal di Delacroix e all'Autobiografia di Cellini per l'appassionata registrazione delle esperienze di vita e di arte, in quello stesso 1922 il giovane californiano si reca per la prima volta a New York per sottoporre i suoi lavori ad Alfred Stieglitz, l'autorevole difensore della fotografia come arte, ma con quella coscienza autocritica che ha sempre riconosciuto essere l'unico stimolo alla sua crescita creativa si rende conto che in realtà sta già mostrando il suo passato. Nel frattempo ha bevuto profondamente alla fonte, che non sono soltanto le straordinarie fotografie di Strand e Sheeler viste in originale, ma anche i nudi di Georgia O'Keeffe scattati da Stieglitz di un'intensa intimità erotica, qualità che resterà sempre negata a Weston, e certe "still life" della O'Keeffe, irresistibili per la centralità e semplicità della composizione. Così quando l'anno successivo, il 1923, Weston, con un atto di consapevole egoismo, rompe con la dimensione famigliare ed esistenziale di Glendale, un sobborgo d'inguaribile grigiore della middle-class di Los Angeles, per seguire in Messico l'italiana Tina Modotti, attrice e aspirante fotografa, figlia d'immigrati veneziani, la cui magnificenza e nobiltà lo hanno colpito come un uragano; ebbene, a contatto con un Messico drammatico, violento nei suoi contrasti, ammaliante nei suoi cieli e nello splendore del suo passato, Weston potrà scrivere: "I have felt the ground" ("Ho sentito la terra"), cioè una dimensione intatta, potenziata e intensificata, necessaria alla sua ricerca di isolamento ed essenzialità della forma. Il monumentalismo iconografico e primitivo dei murales di Diego Rivera, protagonista della rinascenza artistica del Messico postrivoluzionario, ispira a Weston la serie dei ritratti "eroici", primo fra tutti quello di Guadalupe Marín, la moglie di Rivera, una superba e sbalorditiva bellezza, e quello della stessa Modotti, tragica e maestosa. La silhouette nera della testa in primo piano, priva di ambientazione, isolata contro un cielo implacabile di luce cristallina, dà al soggetto una grandiosità scultorea. In Messico l'opera di Weston acquista una monumentalità enfatizzata dalla semplicità, che è anche la via per evitare il pittoresco naturale, eccitante per l'occhio umano, ma fotograficamente impossibile. Così Palma Cuernavaca è insieme una palma ma anche qualcosa di più. Un segmento del tronco cilindrico, drasticamente privato della sommità frondosa, fotografato contro un cielo latteo, la superficie stupendamente rilevata nelle sue corrugate irregolarità dall'obiettivo molto ravvicinato, è diventato un microcosmo che racchiude l'essenza di un tutto più grande. Ma non solo. Il suo valore estetico globale si è accresciuto, amplificato, è diventato lo stesso di altre forme fatte dall'uomo: classiche colonne, ma anche le ciminiere industriali della Armco fotografate da Weston qualche anno prima nell'Ohio. Questa equivalenza delle forme, l'essere diventate trasmutabili in altre, è la loro "timelessness", l'atemporalità, l'essere cioè assolute, eterne. È l'esatto opposto del pittoresco vernacolare.

n LA FORMA E LA FUNZIONE

L'astrazione di Weston non è dunque una perdita di realtà, ma un'estrazione (dall'inglese "abstract": estrarre), una concentrazione, un compendio di elementi comuni, elementari, nella tensione verso un valore universale della forma, e quindi della vita, perché per Weston la forza della vita è racchiusa nella forma. Anche la forma di un oggetto di consumo come la tazza del proprio WC può diventare ricettacolo di straordinaria bellezza. In Excusado (1924) l'eccitamento procurato dalla scoperta delle stimolanti possibilità estetiche dell'oggetto, che va oltre la trasgressività polemica dello stesso presentato da Duchamp nel 1913, fa emergere la forma isolata dal pavimento, decontestualizzata dalla sua realtà funzionale, secondo la strategia espressa da Weston nella sigla "f. f. f." ("form follows function", la forma segue la funzione). La purità scultorea dei contorni levigati e sensuosi della toilette diventa forse più palpitante dello stesso corpo vivente nel nudo di Anita Brenner, realizzato l'anno seguente, in cui la figura umana, ritratta di schiena e arditamente troncata, senza testa e senza arti, sottratta a ogni contesto e dettaglio narrativo, richiama la semplificazione estrema operata da Brancusi sulla figura umana, ma anche un potente disegno di Rivera, Senza titolo: schiena di donna nuda, preparatorio ai murales. In particolare l'opera di Brancusi, scoperta su "Camera Work" ma solo molto più tardi conosciuta negli originali della collezione Arensberg, aveva rivelato a Weston la qualità scultorea della forma, intesa non soltanto come volume, spessore, ma anche come vibrazione dei contorni, densità luminosa delle superfici, imprimendo alla sua ricerca una svolta determinante. L'immagine radicale della Brenner in cui il corpo è ridotto a una serie di volumi e linee fluenti anticipa i lavori di Weston sui fossili e sui vegetali (conchiglie, peperoni, cavoli, zucche) iniziati nel 1927 dopo il definitivo ritorno in California. Quando Weston ritrae la bellezza madreperlacea e avvolgente della conchiglia e realizza, in Nautilo, uno dei suoi lavori più compiuti, lo "swing", la qualità ritmica che andava cercando, scopre anche che quella stessa qualità è sprigionata dai movimenti del corpo nudo della danzatrice Bertha Wardell cui scatta una serie di nudi disarticolati, frammentati, apparentemente senza vita. In realtà quei nudi nella metamorfosi assunta dai singoli segmenti corporei - la linea del polpaccio della danzatrice inginocchiata piegato contro la coscia disegna l'apertura di una grande conchiglia - testimoniano l'analogia delle forme e quindi delle espressioni della vita nella sua universalità. La massa potente del grande peperone, glorificata dal drammatico isolamento, levigata e insieme compatta, acquista una dimensione antropomorfica che è fisicamente e mentalmente conturbante. Come i ravanelli bianchi, carnosi e contorti, che appaiono deformanti nudità impudicamente rivelate. O la meravigliosa solidità scanalata della zucca bianca, che riempie quasi per intero il negativo, dona l'emozione estetica di un reperto classico come un grande capitello greco. La foglia di cavolo diventa un elegante setosa frusciante onda di tessuto finemente pieghettato, ma se non ci fosse il titolo dell'immagine nessuno riconoscerebbe l'identità originaria dell'oggetto che si è perduta in un primo piano intensamente accostato.

n L'ORDINE NEL CAOS

"Con la macchina fotografica ho dimostrato come la natura offre, già create e selezionate, "ready to use", pronte per essere colte dall'intuizione dell'artista, quelle forme semplificate, estreme che Brancusi ha dovuto creare", dichiara Weston. La macchina fotografica, agendo come un microscopio, permette alla cosa in se stessa di rivelarsi più di quanto l'occhio umano possa vedere. Ma la rivelazione non è, nella filosofia di Weston, un'interpretazione dell'artista, che sarebbe un'imposizione deviante della sua personalità, né il riflesso di un suo simbolismo erotico o mistico, quanto l'unione spontanea e necessaria del porsi della cosa, sempre elusivo e talora irripetibile, con la percezione dell'artista e la prontezza della sua tecnica coordinata alla percezione. Paradossalmente le forme "rivelate" di Weston apparvero a Stieglitz e ai critici dell'est "teatrali", manierate, e quindi prive di vita. Opponendo che nel suo lavoro c'era tutto il fuoco, l'energia, la verità della vita, fosse un palma o un peperone a esprimerli, Weston estende la sua ricerca fuori dello studio, nello spazio aperto di Point Lobos, vicino alla sua casa di Carmel, nella California nordorientale, dove isola e scopre frammenti di forme scultoree nella natura, come il tronco e le radici contorte dell'umile cipresso (Cipresso, Point Lobos), che altamente visualizzati diventano ritmi eccitanti, una fuga di forme ripetitive come fiamme o onde, che sembrano riportare l'ordine nel caos naturale. Oppure dal caos di ritmi convulsi di alghe gettate dal mare sulla sabbia, è l'obiettivo ravvicinato che seleziona, senza l'intervento manuale, un frammento di lirica astrazione. Ma la natura di Point Lobos ispira in Weston un'attenzione crescente all'esplorazione di superfici piatte, di composizioni sciolte, libere, in cui l'interesse per l'accidentale, il dislocato, l'indecifrabile, relazionati al biomorfismo di surrealisti europei come Arp e Mirò, rivela l'intenzione di Weston di liberarsi del formalismo classicamente modernista della sua opera, almeno fino alla prima metà del 1930. È del 1936 il suo ultimo grande nudo scattato al flessuoso corpo di Charis Wilson sulla soglia della casa di Santa Monica in cui la ripetizione delle forme - gli ovali disegnati dalle braccia e dalla testa in contrasto con gli angoli retti delle gambe e della porta - esprime ancora il ritmo simmetrico, compiuto della vita. In Detriti e automobile (1939), immagine potente, formalmente non ovvia, ricca di allusioni, Weston affida ai rottami, ai detriti disseminati sulla spiaggia, un senso di immediatezza, incompiutezza, indecifrabile espressività, che non rispondono soltanto al declino della vita e al deterioramento della sua salute, ma lo collocano nel flusso delle nuove correnti artistiche del suo secolo.

LA MOSTRA
La mostra Edward Weston: The Last Years in Carmel all'Art Institute di Chicago (111 South Michigan Avenue; telefono 001 3124433 600; www.artic.edu; orario 10,30-16,30, martedì 10,30-20, sabato e domenica 10-17; fino al 16 settembre) esamina l'opera di Weston dal 1938 al 1948, prima che il morbo di Parkinson lo costringesse a cessare l'attività. Settantasei fotografie scattate a Point Lobos o a Carmel, paesaggi, orizzonti, atmosfere di intensità emozionale in cui Weston fotografa i gesti stessi della natura nella loro inerente ma incoerente bellezza, con attenzione all'automatismo estemporaneo privilegiato prima dai surrealisti, poi da Pollock e de Kooning, ma apparentemente negato a un medium affatto gestuale come la fotografia. È la scrittura improvvisata lasciata da un insetto nei suoi eleganti tracciati sulla sabbia, o le rocce erose che invadono la superficie dell'immagine in un'esplosiva, magmatica espansività.
Alberta Gnugnoli