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Vegetali Ignoti (2003 - 2004) Anno 6 Numero 16



Chi ha letto Vegetali Ignoti?

Elena Di Raddo



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Se sia nata, un po' romanticamente, "per l'amore di una donna", come racconta Paracchini in un intervento su Juliet, rivista che dal 1998 ospita una rubrica dei "Casi umani", o, più prosaicamente, per vedere finalmente pubblicate le loro opere su una rivista d'arte, esattamente non si sa. Si sa solo che Vegetali Ignoti è frutto dell'incontro tra le idealità e le giocosità di due artisti, Riccardo Paracchini e Luca Scarabelli, che, forse un po' annoiati dal sistema delle riviste d'arte e dai meccanismi che le regolano (gallerie, pubblicità, fiere ecc), forse un po' votati a difensori e, nello stesso tempo, dissacratori, della propria "moralità" artistica, hanno deciso di raccogliere i loro pensieri e quelli degli amici sulle pagine in carta riciclata di una piccola rivista.

L'aspetto informale e lo stile anni Settanta della pubblicazione, la colloca fin da subito fra quelle riviste che, generalmente, piacciono più agli artisti e ai critici meno agguerriti, che ai pubblicitari e ai manager dell'arte. Difatti, fin dal primo numero, della primavera del 1995, il ringraziamento d¹obbligo andava ad un¹ignota Persona che ha contribuito al
progetto, senza intervenire nelle scelte dei promotori. Caso raro, e inconsueto nel mondo dell¹arte. E da allora si è potuta sostenere soltanto grazie all¹aiuto di pochi, fedeli, abbonati.

Vegetali Ignoti del resto non è l'organo di un gruppo artistico. A chi chieda quale sia la "poetica" sottintesa alla rivista, i promotori rispondono che si basa sul concetto che l'incontro con l'altro ha valore di per sé. E la rivista è, appunto, uno spazio di raccolta, un luogo d'incontro ­ ce ne sono pochi di autentici nell'arte - dove, chi vuole, ha la libertà di esprimere la propria opinione, senza pagare tessere o frequentare riunioni settimanali. Al primo nucleo dei due comaschi, un po' artisti e un po' commentatori dei fatti dell¹arte, si sono aggiunti presto altri artisti e, soprattutto, per citare i protagonisti, Carlo Buzzi, Al Fadhil e Johannes Dario Molinari, ma anche il camaleontico Giancarlo Norese, che hanno progettato interventi specifici o realizzato interviste e colloqui con protagonisti dell¹arte, mischiando anche le carte tra cinema, musica e attualità.

Vegetali Ignoti, non ha nulla a che vedere con le riviste più diffuse in Italia e all'estero, né si propone di farne il verso, perché è un'operazione artistica e non un luogo d'informazione sull'arte e sugli eventi che la interessano. Forse potrebbe addirittura definirsi una sorta di analisi masturbatoria e psicanalitica sull'arte, un¹idea che starebbe bene in un
film di Woody Allen. E non potrebbe essere che così, dal momento che è una rivista fatta da artisti, per artisti, un po¹, come è stata, in Italia, "Tiracorrendo", che ha avuto però pretese di maggiore spessore teorico. I critici in Vegetali Ignoti, ad esempio, sono, invece, trattati come una categoria a se stante, da catalogare e analizzare, (come dal numero dell'inverno 1995-96 dove si promuove l¹Archivio dei Critici), invertendo la prassi comune del mondo dell'arte. È una pubblicazione che, paradossalmente, potrebbe anche non essere letta da nessuno, ma che svolge il suo senso nel momento in cui viene progettata, costruita, assemblata da diverse persone, ciascuna con una propria personale idea su quello che Vegetali Ignoti potrebbe essere, e che, forse, non coincide con la definizione di nessuno.

Questa rivista non ha rubriche fisse, né schemi prestabiliti, non ha neppure collaboratori fissi, se non i promotori e qualche amico critico. Talvolta fa dell'informazione e commento su mostre visitate e su cataloghi ricevuti in omaggio, qualche volta si serve dei gadgets per ironizzare sul concetto di arte, ma anche sul sistema delle pubblicazioni in Italia, e dedica un numero monografico a uno dei promotori, Buzzi, per il solo motivo che si è pagato il numero.
L'ideazione della rivista si pone quindi piuttosto nel solco, con memoria dell'ironia dadaista, di quelle operazioni nate negli anni Settanta, attorno a pubblicazioni e libri scritti da artisti con lo scopo di rivalutare l'aspetto progettuale e concettuale dell¹opera d¹arte. Senza però avere la pretesa ideologica di quelle, che appartenevano a un momento storico preciso e a un ambito politico particolare. La distanza tra quegli anni e l'oggi è del resto dimostrata dal fatto che, all¹inizio degli anni Settanta erano le gallerie stesse a promuovere iniziative di questo genere, e la critica militante contribuiva ad inserirle, per quanto possibile, nel sistema dell'economia dell'arte. Germano Celant, nel sostenere la matrice
concettuale delle opere realizzate attraverso l'entità "libro", e la natura prettamente introspettiva di questa operazione, scrive su "Data" nel settembre 1971 che "L'approdo a un'arte filosofica-teorica coincide infatti con una più ampia capacità del discorso e una nuova attenzione alla lettura dei e con i mezzi propri delle parole e lettura che è propria di tutte le teorie che tendono a privilegiare il momento della comunicazione su quello mistico e sensibile. La capacità delle parole e la lettura delle e con i mezzi raffreddano lo stato di sublimazione della carica emotiva-sensuale per esaltare la sintesi, sintattico-funzionale, dell'arte come lavoro scientifico". E continua: "Il libro è in effetti un mezzo di autosignificazione, non domanda altra dimostrazione che la lettura e la partecipazione attiva e mentale del lettore, non impone alcun sistema di
informazione che l'immagine stampata della parola".

Assodato il valore della parola quale mezzo di comunicazione e come ambito di una possibile operazione artistica, Vegetali Ignoti ha valenze che derivano da quelle operazioni degli anni Settanta, in quanto si configura come forma d'arte, ma, anziché prefiggersi quale scopo principale l'allontanamento da qualsiasi dato emotivo, assimila l¹emotività nel coinvolgimento di altri artisti e di critici, che vivono le stesse inquietudini e gli stessi dubbi all'interno del sistema dell'arte, e che le assimilano nella vita di tutti i giorni. Non sono poche sulla rivista le incursioni di "notizie" personali (la figlia di Luca, Valentina, così come la bimba appena nata di Ariella Giulivi), che corrispondono all¹esigenza di inserire in una rivista anche i fatti e i problemi personali (oggetto, questi ultimi, anche di una speciale rubrica sulle pagine di Juliet). È questo il senso di Vegetali Ignoti e, se è necessario trovargliene una, la sua "finalità": ristabilire un contatto tra la vita e l'arte, dissacrare l'aura preziosa e plastificata dell¹arte da riviste patinate e immagini d'impatto, riscoprire momenti quotidiani come quelli del fare il pane (dal secondo numero dell'autunno 1995) o coltivare il giardino, la visita alla Biennale o l'incontro con Bonito Oliva, come componenti imprescindibili del fare arte. Come il singolo artista fa ogni giorno, anche Vegetali Ignoti ­ come si legge nelle brevi indicazioni fornite dalla rivista stessa - si "curva, riflette, lascia scorrere".

Elena Di Raddo