21.7.12

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Indice :

1 UnDocumenta(13) - Per un archivio dell'istante

2 LA GIORNATA PARTE ALL’INSEGNA DEL BUONGUSTO

3 NEUE GALLERIE

4 …and …and …and (& others)

5 …and …and …and (& others) II

6 21.7.12

7 WE'RE UGLY, BUT WE HAVE THE MUSIC

8 DAY AFTER

9 SANTONI A CONFRONTO


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Ciao Ale,

ho ricevuto la prima stesura del tuo romanzo, dovrei riuscire a stamparla di straforo negli uffici di dOCUMENTA e cominciare a leggerla già nei prossimi giorni. Qui procede bene, ho visto opere interessanti, raccolto un paio d’idee, buttato giù un po’ di articoli, e anche se faccio da artist assistent per i peggio capelloni, tutto questo mi sta servendo per avere uno spaccato generale più chiaro di quali sono le dinamiche segrete che tirano i fili dell'arte contemporanea. Mi sono ubriacato con Claire Pentecost, ho conosciuto la curatrix maxima della dOCUMENTA e tutta una serie di lacchè che mi sono serviti per ricordare quanto sia triste (seppure, per carità, ci metterei la firma) il ruolo dei numeri due.
Poi ci sono anche gli artisti, quelli veri, e episodi simpatici non sono mancati. Ma avremo tempo per parlarne, di fronte a una buona bottiglia.
Sono contento della tua decisione di portare a compimento la trilogia dei tuoi romanzi “giovanili” e passare oltre. Mi sembra una scelta saggia. Per quanto ti piaccia menartela, non sarai mai un quarantenne gordo incistato con le minorenni. Nella vita pubblica, intendo.
Io sto provando, a fatica, ad essere più inquadrato, e più puntiglioso e rigido nei riguardi del mio lavoro. Vedremo se saprò essere all'altezza delle mie aspettative. La cosa certa è che, oggi, essere solo artisti, o critici, o curatori, è difficile e francamente anche un po’ inutile. Anche se saltellare da una dimensione all'altra ti mette una certa confusione nel cervello. Vedremo.
Stiamo facendo una bella vita. La vita più di merda che poteva capitarci, incatenati tra le nostre ossessioni e la costruzione zoppicante che facciamo su queste, ma pur sempre una bella vita.
E la facciamo con più coerenza di tanti altri. Anche se non credo che questo sia necessariamente un merito. Forse non è nemmeno vero.
Ieri sera, ho visto la seconda parte del documentario "Battle of Chile" di Patricio Guzman, girato tra il '75 e il '79, al cinema comunale Gloria, un cinema meraviglioso, che non ha niente a che vedere con l'estetica tedesca (vivaddio). Le poltrone sono grosse e hanno uno spazio apposito di fronte per posare birra e bevande. Che, nel bar del cinema, costa solo 2,50 euro. Comunque, quando ci sono arrivato, per come stavo avrebbe potuto costarne anche 25, e tu sai che li avrei pagati tutti pur di continuare a sbronzarmi come un cane morto. 
Il documentario, in bianco e nero, aveva una fotografia e una regia impressionanti, ti piacerebbero molto. E' raro, nei documentari di controcultura (soprattutto nei documentari di controcultura), trovare una camera a mano che passa dai cordoni della polizia alla linea dei manifestanti, per poi ritornare dietro e poi avanti. È come se Guzman si fosse dotato di un cameramen invisibile, o almeno, lo credi per tutta la prima parte, "The Isurrection of the Bourgeoise", fino a quando, sul finale, un poliziotto, nel mezzo degli scontri con gli operai delle miniere di rame, punta direttamente in camera la pistola, intima di allontanarsi, e spara.
Il colpo parte e a me, per un attimo, viene in mente "The great train robbery", ma è giusto un'istante, la camera che oscilla prima a sinistra e poi a destra, lentamente, lasciandomi il tempo di misurarne il patetismo, e di convincermi che lì, davvero, stavo assistendo alla morte.
Ho visto la gente morire nei film, ho visto il corpo di un motociclista sfracellato e la sua striscia di sangue lunga più di tre metri. Ho visto il fake di Capa, e i documentari sui campi, e le pile di cadaveri eccetera. E quel senso del tragico, di solito, non lo riesco a provare. I miei sentimenti nei riguardi della morte, sono sempre virati come una lente particolare dallo sguardo (est)etico che ho nei suoi confronti.
Ma non questa volta. Perché questa volta non c'era un corpo svuotato da analizzare, uno sguardo spento da studiare, per cercare di capire. C'erano i miei occhi, che guardavano, e la morte, che arriva lenta e inesorabile come l'asfalto contro cui sbatte la telecamera.
Adesso, ripensandoci, mi viene in mente un capitolo di Underworld (DeLillo), quello della ragazzina con la videocamera che riprende casualmente l’omicidio di un automobilista.
Sai bene che non sono propriamente sensibilissimo a queste cose, ma l'estremo realismo con cui tutto il documentario è realizzato ti porta a pensare sempre che sia tutto opera di un’entità supra partes, e quello sparo ti riporta sulla terra, con un’iniezione di carne, solo percepita, ma abbastanza forte da darti un assaggio. E il messaggio è il più vecchio del mondo: la vita è una merda, e poi si muore.
Ridevamo, qualche tempo fa, sul fatto che a furia di ripetere "che vita di merda", stessimo cominciando a pensarlo davvero. Beh, il fatto è che se hai la sensibilità per capire certe cose, la vita non sarà mai bella.
Gli ignoranti hanno il privilegio di essere felici. A noi è toccato altro.
La seconda parte l'ho vista ieri sera. Non è certo uno spoiler dire che Allende, classe 1908, dopo aver tentato (con tutte le leggerezze, gli errori, e la stupidità, ok, so cosa pensa un veteromarxista come te) di salvaguardare la democrazia e di appianare gli squilibri tra gli spaccapietre e i grandi ricchi, tra chi aveva tutto e chi (tutt’oggi) non ha niente, viene ucciso. La lezione morale del suo gesto, rimanere a La Moneda fino alla fine, non è in ogni caso da buttare via, quantomeno da un punto di vista umano.
Perché, il punto di vista umano, è qualcosa di non trascurabile. Anche quando riguarda la Rivoluzione. Mi viene in mente il tuo racconto sull'Europa che è uscito poco tempo fa su Nuovi Argomenti. La Rivoluzione la fanno, e la faranno, sempre, gli uomini. E questo ha a che vedere pure con ...And ...And ...And.
Ho provato, nel corso di un dibattito, a spiegare che non sono mai esistite transazioni pacifiche tra una forma di governo e un'altra.
Pensare di uscire dal capitalismo in maniera non violenta, è qualcosa, per me, di semplicemente assurdo. E, sebbene più invecchio più divento un vecchio cattolico, reazionario e monarchico, sebbene tu condivida con me la passione per quel crepulone di Kissinger, non posso non pensare che, confrontata con tante altre esperienze di "lotta", il gesto di Allende rimanga un momento di orgoglio sociale. Pertini ha detto che è andato in contro al suo destino come Matteotti. Io credo che non sia del tutto vero, sebbene le dinamiche non siano dissimili.
C’è da dire che, almeno riguardo questo episodio, l’Italia ha avuto uno sprazzo di dignità politica, non riconoscendo per tutti i 17 anni di regime il governo Pinochet, e mantenendo in carica gli ambasciatori scelti da Allende.

Stasera ti avverto mi sento un poco sentimentale. Mi preparo già ai tuoi insulti, ma ascolterò comunque una volta "La carrettera austral" dei Modena.
"La historia es nuestra y la hacen los pueblos". E questo è il punto. Ovunque mi giro, non vedo più popolo, ma solo folla. E la folla, il suo clamore, il suo calore, è l'unica cosa che comincio a volere.
E tu, tu, vecchio porco di un veteromarxista arrugginito imbolsito e corrotto, spera che la Rivoluzione non arrivi, perché a me fucileranno, ma a te, oh, a te, fucileranno non una ma venti volte.
Fai il bravo. Un abbraccio. 

S.S.