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17/02/2008
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ARGOMENTI

Vincenzo Agnetti al Mart. Intervista ad Achille Bonito Oliva
Macchina drogata, Libri dimenticati a memoria, Autotelefonate, Progetto per un Amleto politico, Surplace, Foto-graffie. Questi sono alcuni titoli di opere che Vincenzo Agnetti realizza fra gli anni '60 e il 1980 e che sono esposte al Mart di Rovereto fino al 1 giugno 2008.
Protagonista di ricerche radicali nel campo delle arti visive, Agnetti e' considerato il maggior esponente italiano dell'arte concettuale. Dagli anni '60 ha intrapreso e sviluppato una sua guerra contro le convenzioni del linguaggio, contro la pacifica comunicazione del cliche', contro la falsa comunicazione.
Achille Bonito Oliva, che ha curato la mostra insieme a Giorgio Verzotti, lo ha chiamato "Il Marte dei malcontenti". Ci parla di lui in questa intervista.
Al Mart ha inaugurato contemporaneamente "Il corpo come paesaggio", un'antologica con installazioni e progetti incompiuti di un altro grande artista che ha sempre lavorato sul tema dell'eterna incomprensione: Chen Zhen. Anche su di lui ABO dicet








Intervista a cura di Elvira Vannini

La mostra al Mart costituisce una disamina critica del percorso radicale, e in fondo poco conosciuto di Vincenzo Agnetti, tra i piu' puri esponenti del concettuale italiano, col tentativo, mi sembra, di un riposizionamento internazionale del suo ruolo di precursore di tutte quelle istanze di investigazione linguistica sullo statuto dell'arte e sull'analisi speculativa dei processi creativi. In che misura Vincenzo Agnetti puo' essere considerato il vero concettuale italiano?

Intanto farei una differenza tra il concettualismo anglosassone, o americano, e quello europeo. Quello anglosassone tende sempre alla tautologia; quello europeo, in particolare quello di Vincenzo Agnetti, ha un risvolto metafisico e letterario. In Agnetti l'investigazione sul linguaggio tende a dimostrare l'impossibilita' del linguaggio di possedere tutta la realta'. Quindi c'e' una vena culturale che parte da una grande tradizione e c'e' anche sostanzialmente, dietro questo concettualismo, paradossalmente, una forma di nichilismo attivo di stampo nietzschiano.

Dopo gli esordi nella direzione dell'informale, i viaggi e l'intensa attivita' di scrittore e teorico dell'arte, Agnetti inizia una ricerca artistica sul finire degli anni 60, che si snoda sul piano linguistico. Com'e' documentato questo passaggio in mostra e dove inizia il percorso espositivo?

Diciamo che Agnetti passa dalla geografia alla storia dell'arte alla fine degli anni '60.
Posso dire di essere stato il critico che ha avuto la fortuna di intercettarlo al suo ritorno dai viaggi in Sudamerica e di invitarlo a mostre come "Vitalita' del negativo" nel '70 al Palazzo delle Esposizioni di Roma o a "Contemporanea" sempre a Roma, nel 1973/74, a Villa Borghese che fu una sintesi di tutti i linguaggi del decennio, una mostra internazionale in cui Agnetti eccelleva, diciamo, come presenza artistica per complessita' in relazione ad autori come Joseph Kosuth, come Bruce Nauman, come Daniel Buren, anche nei confronti di minimalisti come Carl Andre e Sol LeWitt.
La poetica di Agnetti ha avuto sempre la peculiarita' di portare dentro di se' non solo un'investigazione del linguaggio visivo, ma anche una qualita' di scrittura. Agnetti e' un artista per natura multimediale e le sue installazioni, che gia' precorrevano i tempi negli anni '60, portavano sempre al centro - non come paradosso, ma come protagonista - il libro. Uno spazio mentale entro cui e' sintetizzata un'idea di cultura e dello scibile umano ma anche di conoscenza futura. Quello di Agnetti e' un linguaggio che e' passato attraverso l'uso di materiali differenziati tra loro: il feltro, il metallo, la carta, la tecnologia; per interrogarsi su cosa sia la comunicazione in relazione all'arte, su cosa produca la trasmissione di un messaggio dall'emittente al consumatore.
E in questa domanda, e ancora una volta Agnetti anticipa i tempi, precorre l'esplosione della pubblicita', del sistema della moda, che in fondo e' una comunicazione senza centro.

Infatti questo approccio multimediale di Agnetti e' evidente sin dalla sua prima attivita' letteraria col romanzo "Obsoleto" iniziato in Argentina nel 1967.
In mostra ci sara' anche una parte archivistica e documentaria su questa "migrazione disciplinare"?


Naturalmente questo aspetto sara' attraversato, insieme a quella parte dell'opera che Agnetti ha compilato con la figlia Germana, ossia delle lunghe didascalie, delle riflessioni in forma di titolo di un gruppo di lavori. Da questa disamina si evince ancor di piu' quanto nel lavoro di Agnetti non si possa distinguere quale sia l'opera e quale sia il titolo proprio perche' il suo lavoro e' un innesto tra pensiero teorico, pensiero analitico e atteggiamento sintetico della scrittura.

Immagino che anche il catalogo costituira' un punto di riferimento essenziale per ricostruire tutta la letteratura critica sull'opera di Agnetti...

Esattamente, perche' effettivamente c'e' anche una qualita' di scrittura che e' molto evidente nel rileggere le pagine di Agnetti, che peraltro comincia, non dimentichiamo, come teorico e scrittore con Azimuth, compagno di strada di Piero Manzoni ed Enrico Castellani.

In mostra al Mart anche un lavoro presentato alla Biennale di Venezia del 1980, un anno prima della sua morte, che e' stato anche l'anno cruciale della "Strada Novissima" per l'architettura postmoderna e di "Aperto80", in cui lei presentava la Transavanguardia e si accingeva a intuire e teorizzare un nuovo corso dell'arte...

Veramente l'avevo gia' anticipato a meta' degli anni '70 con una mostra da Cannaviello intitolata "disegno/trasparenza", avevo gia' scritto un libro sul manierismo pubblicato con Feltrinelli nel '76 ("L'ideologia del traditore") e avevo gia' impostato il discorso sulla citazione in quanto teoria che supera l'idea dell'arte come invenzione e come necessita' dell'uomo. Poi avevo gia' organizzato nel '78 una mostra con Chia e Cucchi da Mazzoli a Modena.
Ma certamente il 1980 e' stato l'anno in cui ho curato all'interno di "Aperto80" la mostra che aveva come titolo "Transavanguardia internazionale" quindi era in qualche modo la sistemazione di questa teoria in un ambito senza confini geografici.
Il rapporto con Agnetti e' continuato, fino alla fine, anche perche' Agnetti era un intellettuale e capiva benissimo che la cultura sviluppa un valore che e' la coesistenza delle differenze, il confronto, qualche volta anche doloroso e che puo' sviluppare conflitti, ma pacifici, di idee.
Senza dubbio sono d'accordo con lei che l'80 segna attraverso un'esposizione internazionale come la Biennale di Venezia una svolta epocale che incide su tutto il sistema dell'arte.

Allora, oggi, dopo gli svolgimenti che tutti conosciamo e che in una decina d'anni hanno stravolto le fenomenologie dell'arte, qual'e' la sua complicita' con Vincenzo Agnetti?

La complicita' resta intatta e si evince anche dal titolo del mio saggio "Il Marte dei malcontenti", che poi e' una frase tratta da Shakespeare, che io riprendo per affermare "Vincenzo Agnetti, il Marte dei malcontenti. Dio dell'arte e della guerra". Lui ha sempre intrapreso e sviluppato una guerra contro le convenzioni del linguaggio, contro la pacifica comunicazione del cliche', contro lo standard del linguaggio comune, contro la falsa comunicazione; oggi resta intatto il mio rapporto con Agnetti anche perche' come critico io vado alla ricerca proprio di questi artisti cosi' complessi e difficili, ma anche, sostanzialmente, cosi' amanti della vita, perche' Agnetti attraverso questa guerra in fondo voleva coniugare arte e vita.

Un'ultima considerazione critica sull'intenso percorso di Chen Zen, con cui piu' volte ha lavorato e che sara' esposto al Mart in un'ampia retrospettiva contemporanea a quella di Agnetti...

Ho esposto molte volte Chen Zen, dagli anni '80 in avanti, non solo in Italia ma anche in mostre internazionali che ho curato all'estero, in quanto Chen Zen rappresenta veramente il ponte, il collegamento tra oriente e occidente. E' un artista che tende a somatizzare l'opera, a riprodurre nell'opera il suo sistema nervoso, le forme organiche di un corpo di cui prende possesso e conoscenza attraverso la creazione. Quello che e' interessante in Chen Zen e' proprio l'articolazione, il lavorare attraverso innesti e attraverso un sistema combinatorio: questa e' la sua modernita'. Un sistema combinatorio che da' l'idea di un universo complesso che gioca tra il macro e il micro, tra il dettaglio e la forma universale.

(intervista del 14/2/2008)



Questa intervista in formato PDF da stampare

In questo PDF ulteriori informazioni sulla retrospettiva di Vincenzo Agnetti al Mart

Le mostre che inaugurano il 22 febbraio al Mart di Rovereto:

Vincenzo Agnetti. Retrospettiva (1967 - 1980)
A cura di Achille Bonito Oliva e Giorgio Verzotti. In collaborazione con Archivio Vincenzo Agnetti, Milano
Fino al 1 giugno 2008

Chen Zhen. Il corpo come paesaggio
A cura di Gerald Matt e la collaborazione di Ilse Lafer. Mostra co-prodotta con Kunshalle Wien
Fino al 1 giugno 2008

Capolavori del primo '900. Opere delle collezioni permanenti del Mart
A cura di Gabriella Belli
Fino al 31 agosto 2008

Nuove Acquisizioni. La collezione di libri d'arte di Vanni Scheiwiller
A cura di Giuseppe Appella, Alina Scheiwiller
Fino al 6 aprile 2008

Il comunicato stampa delle mostre pubblicato su Pressrlease

Comunicazione Mart: Responsabile Flavia Fossa Margutti
Ufficio stampa Mart:
Luca Melchionna 0464 454127 cell. 320 4303487
Clementina Rizzi 0464 454124
press@mart.trento.it


Immagine di copertina:

Vincenzo Agnetti, Autotelefonata (yes), 1972. Fotografie e inchiostro di china, cm 40,2 x 126,5. Collezione Emilio e Luisa Marinoni

In questa pagina:

Vincenzo Agnetti, Gli eventi precipitano (part.), 1974. 12 fotografie a colori, 6 bacheliti, misure varie. Milano, Archivio Vincenzo Agnetti
Vincenzo Agnetti, Libro dimenticato a memoria, 1970, Libro con copertina in tela, cm 70 x 100. Collezione privata
Vincenzo Agnetti, Progetto per un Amleto Politico, 1973, installazione. Collezione Franco Ignazio Castelli
Vincenzo Agnetti, Ritratto di filosofo, 1971, cm 118,5 x 79,5, Mart, VAF Stiftung
Vincenzo Agnetti, Scrittura cancellata dalla forma tradita dal contenuto, 1970. Feltro dipinto, cm 80 x 60. Milano, collezione Frea
Chen Zhen, Purification Room, 2000 (dettaglio). Oggetti trovati, argilla, muri, pavimento, 350 x 800 x 600 cm. Photo Ela Bialkowska

Immagini tratte dal sito www.mart.tn.it

Elvira Vannini e' storica dell'arte, critica e curatrice indipendente. Vive e lavora a Bologna.

staff@undo.net



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