Attraversare le contingenze allargando le prospettive

16/11/2008
stampa   ::  




Politiche: paralleli e meridiani


In questo scorcio di nuovo secolo l'orizzonte culturale diventa sempre più europeo. I centri non profit di diversi Paesi spesso cercano di creare opportunità di incontro e lavoro comune che mettano in opera le differenti potenzialità e prospettive socio-economiche. Questo approccio trans-nazionale ha molti sviluppi già da qualche anno, ma in alcuni Paesi si stanno solo ora creando gli interlocutori per avviare un dialogo e progetti condivisi. Fra questi anche l'Italia.
"L'idea è di costruire qualcosa di partecipato a diversi livelli" sostiene Gabriele Gaspari che, insieme a Sabrina Vedovotto, in questa intervista ci parla di Politiche: il progetto ideato dal non profit 26 cc di Roma di cui fanno parte.
Sarà una tre giorni di incontri con una lista di invitati per la maggior parte provenienti dall'Est Europa: Press to Exit di Skopje, P74 di Ljubljana, Tranzit e Futura da Praga, Space da Bratislava, ma ci sono anche Casco di Utrecht, Sparwasser HQ di Berlino e Platform Garanti di Istambul. "La scelta è stata indirizzata soprattutto verso attività la cui storia anticipa ciò che anche noi vorremmo fare qui".
L'obiettivo è la creazione di nuove modalità operative, perchè se è vero che le opere d'arte sono beni di lusso, è pur vero che l'arte in sè è un patrimonio della società.



Lee Wen durante la performance More China than you # 4. Foto Manuela De Leonardis





Lee Wen durante la performance More China than you # 4. Foto Manuela De Leonardis





AnGie Seah durante la performance Marco Polo makes me confused. Foto Manuela De Leonardis





Jason Lim durante la performance Last Drop. Foto Manuela De Leonardis





Da sx: Lee Wen, AnGie seah, Kai Lam, Jason Lim, Myriam Laplante. Foto Manuela De Leonardis





Platform Garanti, Istanbul





Sparwasser HQ, Berlin. Un opening nella sede di Torstrasse 131





CASCO Office for Art, Design and Theory, Utrecht. Veduta della galleria





Press to Exit Project Space, Skopje





Tranzit, Praga. L'ingresso della mostra di Jan Mancuska





Intervista con Gabriele Gaspari e Sabrina Vedovotto, 26 cc - Association for contemporary art

A cura di Michela Gulia

Partirei da due dei punti principali che animano Politiche, ossia i concetti di innovazione e cooperazione. Se la costituzione di un network all’interno del quale lavorare e sperimentare nuove forme di progettualità è certamente una delle esigenze più avvertite dagli spazi indipendenti, pensate che questa modalità sia in grado di produrre dei cambiamenti in un sistema, soprattutto quello italiano, ancora sostanzialmente legato a circuiti di produzione e di promozione più ‘tradizionali’ come gallerie, musei ecc…?

Gabriele Gaspari: Abbiamo deciso di avviare questo progetto perché per noi è essenziale costruire un network di collaborazioni con l’estero, che serva anche a superare una certa debolezza istituzionale italiana. Non possiamo basarci solo su quello che il nostro contesto ha da offrirci, sia dal punto di vista dei rapporti che da quello del sostegno, ed è così che è nata l’idea di Politiche.
Per quanto riguarda la possibilità di un cambiamento, credo che sia soprattutto un discorso di competenze, nel senso che quello che chiamiamo il “sistema dell’arte” ha i suoi luoghi, i suoi soggetti, le sue componenti ben stabilizzate… la galassia del non profit guarda più al settore della ricerca, che attualmente in Italia - dal sistema dell’arte - viene seguito poco.
Credo che settorializzare l’attività degli spazi indipendenti nell’ambito di un discorso legato alla ricerca gli dia in qualche modo una posizione che è al contempo dentro il sistema e fuori, perché questo discorso viene articolato attraverso modalità differenti da quelle dei circuiti tradizionali.

Sabrina Vedovotto:
Penso che sia importante fare una specifica riguardo gli spazi che abbiamo invitato per Politiche, costituiti da artisti e curatori insieme, soprattutto rispetto ai non profit che abbiamo incontrato tempo fa a Berlino per Art Swap Europe, che erano quasi tutti costituiti da artisti. Abbiamo notato delle differenze nell’iter e nei discorsi che si fanno. Probabilmente è molto più difficile tenere insieme artisti e curatori perché se ci sono forti momenti di coesione ci sono anche forti momenti di tensione. Inoltre la progettualità e la pratica curatoriale sono, a mio parere, due cose completamente diverse.
Questo diversifica certamente i non profit tout court da quelli ideati, curati e gestiti da gruppi misti come il nostro. Da noi non sono solo i curatori a scegliere gli artisti, ad esempio Robert Carter è stato individuato da Luana Perilli. C’è una interdisciplinarietà che non abbiamo riscontrato in spazi costituiti esclusivamente da artisti.

G.G.: Io credo che la curatela sia qualcosa di vicino ad una pratica dello spazio più che ad una teoria dell’arte, quindi sia un qualcosa di strettamente connesso alla creazione e all’ideazione di un progetto artistico. E’ qualcosa che si costituisce come una sorta di medium tra la pratica artistica e il contesto dove si va ad intervenire.
Capisco, e trovo che sia un fenomeno molto interessante, il fatto che gli artisti si stiano avvicinando sempre più alla curatela. In generale chi fa il curatore si prende un po' la responsabilità di misurare l’impatto sociale dell’arte attraverso un progetto.
In questo senso l’esempio di Press to Exit a Skopje, uno degli spazi che abbiamo invitato per Politiche è molto interessante: si tratta di uno spazio nato dall’iniziativa di due artisti, Yane Calovski e Hristina Ivanovska, per condurre una pratica di ricerca che va avanti ormai da cinque anni coinvolgendo curatori e artisti di tutta Europa che di volta in volta vengono invitati in residenza per confrontarsi con il contesto assolutamente particolare di Skopje, capitale della Macedonia vicinissima al Kosovo. L’indicazione di un artista viene quindi recepita e lavorata ricevendo un numero sempre crescente di contributi esterni.

S.V.: Io ho visto anche mostre nelle quali non c’era il curatore e in cui questa assenza si notava, perché spesso l’artista ha bisogno di qualcuno che coaguli l’idea della mostra nell’allestimento. È un lavorare molto insieme che richiede da parte del curatore una conoscenza approfondita dell’artista e un dialogo pregresso che poi permetta la nascita di una mostra.

A proposito di Politiche, pensate che i nuovi spazi non profit italiani siano più coinvolti anche ‘socialmente’, rispetto ad altri snodi della produzione culturale? Oppure rappresentano una componente, che, seppur nuova, lascia le cose così come sono?

G.G.: Tornerei sul discorso della ricerca, dal momento che il lavoro di un’associazione come la nostra è anche indirizzato a valorizzare il contesto italiano in ambito internazionale, cosa che attualmente viene fatta solo attraverso i canali e le partnership classiche. Una cosa che ci ha fatto riflettere a Berlino è che uno spazio non profit italiano era visto come un qualcosa di anomalo. In effetti cinque anni fa esistevano pochissime realtà non profit indipendenti, fra cui Undo, Careof e Base, che sono stati i precursori dell'attuale fioritura avvenuta negli ultimissimi anni.
E’ infatti una realtà nuova, che porta avanti il lavoro attraverso un circuito autonomo rispetto al mercato e alle dinamiche politiche dell’arte. In Italia esistono meccanismi di produzione culturale legate a circuiti tradizionali, quelli dei Musei e delle Fondazioni. Quest’ultime spesso sono a loro volta legate ai collezionisti, con legami quindi di prima o seconda mano con l’economia e con il mercato.
Il lavoro che è stato fatto con gli artisti italiani negli ultimi dieci anni è piuttosto evidente, e si nota soprattutto nelle grandi mostre internazionali, dove ogni volta siamo lì a chiederci perché gli italiani siano così pochi.
In questo senso credo che lo spazio d’azione che le organizzazioni indipendenti sono in grado di creare possa portare nuova linfa al sistema dell’arte attraverso la creazione di nuove modalità operative, ma non modificarne la struttura. Per questo credo sia importante l’autonomia.
In altri luoghi, ad esempio nell’Europa dell’Est, il ruolo delle iniziative indipendenti testimonia una grande capacità di cambiamento ma va inquadrata però in un contesto politico del tutto differente. Si tratta di luoghi che hanno vissuto dinamiche diverse dalla nostra, soprattutto in passato quando gli artisti erano tali per status sociale e non c’era nessun tipo di competitività, nessuna dimensione che non fosse il regime. Si pensava e si creava arte all’interno di uno schema statalizzato.
Caduto questo schema, l’iniziativa degli artisti è stata fondamentale, basta che andiamo a guardare gran parte di ciò che succede, ad esempio in Romania, o in Polonia, o nell’ex Cecoslovacchia o ex Jugoslavia.
Qua da noi, più che riscrivere le regole, si tratta di costruire un proprio modello operativo. Credo che un aspetto interessante sia la possibilità di valorizzare un contesto secondo modalità diverse, cercando anche una maggiore vicinanza con la società, attraverso la creazione di nuovi stimoli alla riflessione e al pensiero attraverso la pratica artistica.

S.V.: La differenza tra un non profit ed una galleria sta anche nella possibilità di un approfondimento che quest’ultima non può fare. Forse in questo gli spazi non profit si avvicinano a quello che hanno fatto fino adesso le fondazioni, perché si parte da un discorso economico diverso. Una fondazione non fa mostre per vendere e quindi può permettersi una maggiore ricerca.
Negli spazi non profit si parla tanto - basta pensare agli incontri che si sono tenuti da noi o anche a quelli da Nosadella2 o da 1:1 projects - rispondendo così alla necessità di vincolare quello che si fa non solo all’arte contemporanea ma anche alla realtà che ci circonda

Pensate che un effetto legato alla crescita dei non profit possa essere la produzione di una diversa e più diffusa “socialità” dell’arte legata anche alla volontà di far emergere lentamente un pubblico nuovo, non convenzionale?

G.G.: Io credo che un compito importante da portare avanti sia quello di far capire che l’arte non è semplicemente un meccanismo economico, un pregiudizio che spesso ha chi non segue l’arte contemporanea. Se è vero che le opere d’arte sono beni di lusso che vengono vendute ad un pubblico benestante, d’altra parte è pur vero che l’arte in sé non è un bene di lusso, ma un patrimonio della società. Per questo penso, ad esempio, che sia interessante intervenire nello spazio pubblico. C’è da dire che la caratteristica principale di uno spazio non profit è quella, appunto, di non concepire la proposta culturale solo nei termini della mostra.
Lavorare sulla didattica, sulla formazione e nello spazio pubblico vuol dire stimolare una certa partecipazione al discorso artistico. Un approfondimento su un artista è dedicato – senza dubbio – soprattutto a chi frequenta e conosce l’arte, ma una cosa è andare a vedere una mostra e un’altra è ascoltare l’artista che racconta il suo lavoro.
Cambiano i modi di diffusione dell’arte: ad esempio stiamo proponendo un progetto all’interno del quale invitiamo gli artisti, per adesso romani, a parlare del proprio lavoro piuttosto che esporlo, stimolando nel pubblico un interesse all’approfondimento. L’idea è di costruire qualcosa di partecipato a diversi livelli.

Leggendo la lista degli invitati a Politiche si nota una significativa partecipazione di spazi provenienti dall’Est Europa come Press to Exit, P74 di Ljubljana, Tranzit e Futura da Praga, SPACE da Bratislava. Cosa ha motivato questa scelta e in generale cosa vi ha indirizzato verso determinati non profit e non altri?

G.G.: La scelta è stata indirizzata soprattutto verso attività la cui storia anticipa ciò che anche noi vorremmo fare con 26cc. L’idea della conferenza nasce dalla volontà di capire quello che è stato e viene fatto fuori del nostro Paese, per cogliere l’esperienza di altre persone ed avere la possibilità di costruire delle collaborazioni.

Dietro Politiche c’è la curiosità di chiedere agli invitati quale sia la loro politica, come adesso noi abbiamo parlato della nostra. Ci auguriamo che tutti abbiano voglia di raccontarci il loro modo di vedere le cose, gli obiettivi e le strategie, quale sia il loro modo di operare, per arrivare poi all’incontro fisico, nel quale sia possibile sviluppare una vera e propria relazione.
Abbiamo guardato a realtà differenti tra loro anche se un elemento ricorrente è che, come area geografica dell’Europa, ci siamo indirizzati verso est, ma questa non è un prerogativa assoluta data la presenza di uno spazio di Berlino, uno di Utrecht ed anche uno di Istanbul. Luoghi differenti, contesti differenti e quindi situazioni del tutto specifiche.
Ovviamente queste differenze stanno anche nell’adozione di strategie ed obiettivi diversi: ad esempio Casco, un project space olandese di base a Utrecht è indirizzato ad una ricerca sui territori confinanti nell’arte con la volontà di articolare insieme più linguaggi. Mentre Platform Garanti è una realtà che ha svolto un lavoro importantissimo sulla scena dell’arte turca. Tra gli spazi non profit loro sono quelli che più si avvicinano ad essere “istituzione”; sono sponsorizzati e non indipendenti, questa è la prima cosa che ci hanno chiarito: Garanti è infatti il nome della banca che li sovvenziona. Resta il fatto che portano avanti un lavoro di ricerca sugli artisti turchi finalizzato al confronto con un contesto internazionale, anche attraverso una residenza ad Istanbul organizzata da loro; una dinamica di pubblico servizio che interessa anche noi.
Da Berlino verrà una curatrice danese, Lise Nellemann che ha avviato in maniera completamente indipendente Sparwasser HQ, uno degli spazi più vivi di Berlino dall’anno della sua fondazione nel 2001, ed anche una fucina d’artisti capace di coinvolgere un contesto già interessante in progetti che hanno uno stretto rapporto con l’attualità e con la politica, non solo dell’arte. L’idea di coinvolgere luoghi differenti è mirata anche a capire se si può parlare di un sentire comune capace di tradursi in pratica: ultimamente si sente molto lo slogan Think global, act local; vorremmo capire se questa pratica è reale.

Il programma di Politiche prevede anche un momento espositivo pensato come una testimonianza di opere e progetti che ciascuno dei partecipanti presenterà. Potete parlarmene?

G.G.: Abbiamo chiesto agli spazi invitati di portare la documentazione di un progetto che hanno realizzato, documentazione che può essere di qualsiasi tipo, ed anche noi presenteremo la traccia di un’iniziativa che abbiamo realizzato. Si tratta, in sostanza, di un modo di relazionarsi che passa anche attraverso la creazione di uno spazio comune. Qualcosa a metà tra il documentativo ed il visivo.


Le date di Politiche:
24 e 25 novembre 2008 incontri a porte chiuse
26 novembre apertura al pubblico e presentazione


26 cc - Association for contemporary art
Via Castruccio Castracane, 26-28a-30 - Roma.
Tel. 06 9818 2991
www.26cc.org
info@26cc.org


Le puntate precedenti della nostra inchiesta sui nuovi spazi non profit italiani:

Scambi d’arte ‘made in Europe’...
Oggi, ieri, domani
Farsi spazio
Il Lungomare di Bolzano
Abbasso Prospero e Robinson Crusoe
Meno veloce della luce
Il totale è più della somma…
Napoli bella e dannata

Qualcosa di nuovo a Milano #2

A Berlino, tra Biennale e sperimentazione

Qualcosa di nuovo a Milano #1
Ospiti di Nosadella.due
E’ la volta di 1:1projects
FormContent: profilo di uno spazio


Michela Gulia è laureata all'Università di Roma "La Sapienza" in semiologia dell'arte contemporanea. Ha lavorato presso la Fondazione Baruchello (Roma), dove ha partecipato a diversi seminari di ricerca , tra cui quello su "Roma '77" con Rogelio Lopez Cuenca, e "Senza titolo per parlarne" con Mauro Folci e Osservatorio Nomade. Attualmente collabora con UnDo.Net

staff@undo.net


pdfQuest'intervista in formato PDF da stampare