Attraversare le contingenze allargando le prospettive

20/03/2009
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Luoghi di carattere


Il genius loci è una Roland Ultra del '69, l'unica macchina da stampa che è rimasta nella vecchia tipografia in via Assab 1 a Milano. E' un luogo che ha preso il nome dalla prima mostra che qui si svolse nel 2002: Assab One.
Uno spazio che divenne poi associazione non profit, in cui molti artisti hanno sperimentato e realizzato istallazioni e progetti: musica dalla polvere, slittamenti di ruolo, cieli stellati 24 ore su 24... a volte debordando nel quartiere circostante, una periferia multietnica e problematica.
"La nostra volontà è stata anche quella di entrare in questo contesto cercando di sottolinearne attraverso l'arte gli aspetti 'poetici', le risorse" dice Nora Bertolotti, raccontando storia e iniziative future...



Assab One, cortile. Foto Santi Caleca




Sala Roland. Foto Santi Caleca




Sala Roland, stanza del caporeparto. Foto Santi Caleca




Kristine Alksne, Lucia Ciocia, Assab One 2002. Foto Marta Dell'Angelo




Davide Bertocchi, Spaziorama, 1998. Assab One 2002




Pierluigi Calignano, 13 con un po' di calma. Assab One 2002




Letizia Cariello, Labiryntho, Assab One 2002. Foto Ela Bialkowska




Marta Dell'Angelo, Assab One 2002




Claudia Losi, Manta, Assab One 2002. Foto Pio Tarantini




Margherita Morgantin, Petrol Swing. Assab One 2002




Goldiechiari, Welcome. Assab One 2004




Luca Trevisani, Il reggimento sostiene la caverna. Assab One 2004




Elena Nemkova, GameGround, work in progress. Assab One 2004




Peter Wuethrich, Angeli di Cimiano, 2005




Federico Pietrella, Assab One - da lunedì 27 marzo a lunedì 3 aprile 2006




Marcello Maloberti, Via Padova 138, 2008




Giorgio Pandini, Processo: Equilibrio #1, 2008. Foto Gjoke Gojani




Peter Wuethrich, Angeles de Madrid, 2008




Fabiana de Barros e Michel Favre, Ultra Non Stop, 2008




Andrea Mastrovito, Giardini di libri, 2009




Assab One
Intervista a Nora Bertolotti, responsabile dell'organizzazione e coordinamento progetti dell’associazione


A cura di Michela Gulia

Assab One nasce nel 2002 in una fabbrica appena dismessa alla periferia di Milano, con una mostra alla quale presero parte 23 giovani artisti, e che vide tra i suoi protagonisti lo spazio stesso, la sua identità e specificità. Puoi parlarmi di questo esordio?

Nel 2002 quando si decise di realizzare la prima edizione della mostra Assab One. La generazione emergente dell'arte in Italia l’occasione nacque in modo molto spontaneo: Elena Quarestani - che è la proprietaria dello spazio e la presidente dell’associazione fondata successivamente - aveva a disposizione la tipografia della sua famiglia, già in dismissione e quindi momentaneamente vuota in attesa che la sua funzione futura venisse definita.
Non si sapeva ancora che sarebbe diventata uno spazio stabile per l’arte contemporanea, e questo ha influito sulla forma che ha preso la mostra.
Elena aveva lo spazio e Roberto Pinto l’idea di mostra, così sono stati invitati 23 giovani artisti a produrre dei lavori, quasi tutti site-specific o realizzati per l’occasione. Chiaramente ognuno di loro aveva una sua poetica e un differente modo di relazionarsi con lo spazio, e del resto questa condizione era più un invito che una condicio sine qua non. In questa prima esperienza espositiva sicuramente è stata cruciale la natura del luogo; la dismissione e lo smontaggio delle macchine tipografiche e l’ingresso degli artisti avvenivano simultaneamente: alcuni si sono confrontati con la natura architettonica dell’edificio, altri con il suo passato industriale ed umano.
La prima edizione di Assab One è stata così un’esperienza unica e irripetibile. Nel 2002 lo spazio era in un certo senso vergine, e in quel momento l’insediamento degli artisti poteva anche essere considerato un evento del tutto estemporaneo. Invece nel 2004, quando si è scelto di ripetere la mostra con una diversa selezione di artisti, è stata presa la decisione di farne un luogo permanente per l’arte e in generale per la cultura, ed è in quest’ottica che è stata creata l’associazione.
In occasione di Assab One. La generazione emergente dell'arte in Italia venne sviluppato da UnDo.Net un progetto web parallelo che – in tempi in cui la rete non era una realtà diffusa e scontata come oggi – raccoglieva tracce che delineavano un’idea di mostra, e andavano oltre la semplice documentazione. Le voci degli artisti che raccontavano i propri progetti erano già on-line prima che questi fossero stati realizzati, chi ascoltava poteva cominciare a immaginare e a crearsi un’aspettativa... Successivamente si sono aggiunti testi e immagini delle installazioni. I contenuti aumentavano man mano che la mostra cresceva e prendeva forma, gli eventi venivano “raccolti” e restituiti attraverso il sito in tempo reale.
L’esperimento riuscì alla perfezione e venne ripetuto anche per l’edizione del 2004. Entrambi i progetti sono ancora visibili all’indirizzo www.undo.net/assabone

La ‘fisicità’ di Assab One è interessante anche in relazione al fatto che a partire dagli anni ’90, con l’affermarsi dell’arte pubblica, tra le altre cose si puntava a superare lo spazio ‘privato’ e asettico della galleria o del museo…


Spesso gli artisti sono invitati a collocare il proprio lavoro in uno spazio più neutro di questo, che è stato volontariamente lasciato con tutti i segni del tempo. Questo luogo conserva le tracce - visive, fisiche, ma anche quelle invisibili, concettuali - del suo passato, del passaggio umano, e quasi tutti gli spazi hanno mantenuto la loro conformazione originaria, definita dall’uso che se ne faceva.
Anche ora chiamiamo gli spazi con il loro vecchio nome: magazzino della carta, reparto composizione etc. Ricordarci la loro funzione originale è un valore, ci piace, fa parte di un’affettività che si sviluppa vivendoli, respirandoli. Ancora è possibile vedere dove erano collocate le macchine, anche se non ci sono più, fatta eccezione per la Roland Ultra del ’69, una macchina da stampa, che è ancora qui ed è una sorta di genius loci, quasi sacra.
Spesso incuriosisce gli artisti, che ne riconoscono la presenza e una certa “autorevolezza”. Nel 2002 Luca Pancrazzi fu il primo a valorizzare la sua presenza, con Luca Gemma, Steve Piccolo e Gak Sato, in Polvere contemporanea (CMYK). Quartetto per tecnologia obsoleta e fuori registro: la macchina stampava un manifesto di Pancrazzi, che veniva distribuito al pubblico mentre i musicisti elaboravano i suoni prodotti dagli operai nella regolazione dei registri. Il pubblico partecipava tenendo accesi i propri mangiacassette (esistevano ancora) replicando e disperdendo il suono prodotto dalla rotativa...
Queste presenze e preesistenze sono delle risorse, ma possono rappresentare anche una difficoltà, perché confrontarsi con uno spazio così ricco di segni, rende necessario lo stabilirsi di una relazione, una mediazione, in modo tale che il lavoro non venga “schiacciato” dalle interferenze, ma le sfrutti.
Questa ambiguità vale anche per l’associazione: da un lato il lusso di avere a disposizione questo luogo, dall’altro la difficoltà intrinseca di gestirlo e il pericolo che il suo lato industriale diventi l’unico elemento a identificarti, che ti incaselli. Per questo credo si debba assecondare il cambiamento, una naturale trasformazione che non ti renda prigioniero di un passato di cui comunque riconosci il grande valore.

E in relazione al contesto che vi circonda? La posizione periferica degli spazi non profit è spesso una delle loro note distintive. Che tipo di sinergie si sono venute costituendo con il territorio in cui operate? E quanto incide, se incide, questo aspetto nel vostro modo di lavorare?

Assab One si trova in un quartiere periferico - Cimiano - che pur essendo molto vicino e ben collegato al centro della città, non ha avuto negli anni una spinta alla riqualificazione urbana ed è escluso da una chiara progettualità istituzionale, ma è molto ricco di stimoli. Sia a causa di questa nostra collocazione, sia per una volontà intrinseca, ci siamo interessati al territorio, a quello che stava fuori da qui.
Assab One non affaccia sulla grande arteria di via Padova, ma l’area d’influenza è quella. E’ una zona fortemente multietnica in cui convivono molte popolazioni, ad esempio, a meno di un chilometro da qui si trova la Casa della Cultura Islamica che è anche una delle moschee temporanee di Milano. Contemporaneamente è una zona che viene spesso citata dalla stampa o nella retorica politica come un luogo poco sicuro e degradato, non si sentono quasi mai – se non dalla popolazione, dal basso - discorsi propositivi, proposte concrete per un miglioramento.
La nostra volontà è stata anche quella di entrare in questo contesto cercando di sottolinearne attraverso l’arte gli aspetti ‘poetici’, le risorse, ed è così che abbiamo sviluppato alcuni progetti in diretta relazione con il territorio. L’arte può essere un perfetto strumento sia di osservazione che di dialogo.

Puoi parlarmi di alcuni di questi episodi?

Nel 2005 abbiamo prodotto Angeli di Cimiano, un progetto di Peter Wuthrich, un artista svizzero che usa spesso l’oggetto libro nelle sue opere, sia come modulo costruttivo che come idea/concetto.
Peter è stato qui per qualche settimana battendo il quartiere, soprattutto i luoghi più frequentati dai giovani, e ha chiesto loro di partecipare alla costruzione di un’opera d’arte, facendosi fotografare con addosso un particolare paio d’ali, così che si trasformavano in messaggeri alati. Le foto sono state raccolte in una mostra che ha avuto luogo ad Assab One e in un libro realizzato per l’occasione, ma sono state anche stampate su manifesti posti negli spazi delle affissioni comunali in tutta la città e in particolare in questa zona, con lo scopo di riportare in strada quello che dalla strada era venuto.
Un secondo progetto, Assab One - da lunedì 27 marzo a lunedì 3 aprile 2006, di Federico Pietrella, all’interno del format promosso dalla Provincia di Milano inContemporanea, la rete dell'arte, consisteva in una grande installazione ambientale in cui 40 proiettori per diapositive proiettavano una sorta di cielo stellato nello spazio che non era stato, volutamente, oscurato. Così, quando calava la luce, questo ‘cielo’ cominciava ad essere visibile per scomparire poi alle prime luci dell’alba.
La scelta di tenere lo spazio aperto per una settimana, 24 ore su 24, andava nella direzione di costituire nel territorio una presenza ‘continua’, in opposizione alla retorica sulla sua insicurezza, ricalcando anche – idealmente - l’apertura ininterrotta della tipografia.
Un terzo progetto, sempre all’interno del format di inContemporanea, ha coinvolto l’artista Marcello Maloberti, che vive in questa zona. Il video proposto, che ha avuto un impatto fortissimo a livello locale, si intitola Via Padova 138, ovvero il punto di partenza dell’artista per dare inizio ad un’incursione sulla via dove ha raccolto le voci delle persone sotto forma di interviste molto informali. Le persone parlavano di quello che gli stava a cuore, di quello che desideravano, dall’amore alle frustrazioni lavorative, al parrucchiere, qualsiasi argomento era concesso. Il quadro che ne esce è quello di un luogo in cui i colori, le voci, le lingue parlate sono tanti e mostra le differenze con una leggerezza che non nega però le difficoltà intrinseche di questa zona. Per noi è particolarmente importante il rapporto con il territorio proprio perché siamo in un contesto che non offre spontaneamente delle sinergie.
Si può decidere di chiudersi all’interno della propria roccaforte, collocandosi in una zona periferica senza costruire ponti. Oppure si può scegliere di uscire. L’ideale per noi sarebbe diventare un luogo riconosciuto sul territorio, con un’ identità non solo per il mondo dell’arte, ma anche per chi passa di qui tutti i giorni. Forse se Assab One si trovasse in un’altra città europea, sarebbe stato più semplice che venisse “assorbito” dalla collettività e anche dalle istituzioni.
Vorremmo incrementare il livello di partecipazione locale, ma ci rendiamo conto che si tratta di un lavoro a sè stante, difficile da seguire con continuità per la nostra struttura. Bisogna essere presenti su mille fronti, rimanendo a contatto con il mondo dell’arte, che è comunque l’interlocutore primario – artisti, curatori, collezionisti, pubblico – con quello delle istituzioni, che non è una realtà stabile nel tempo e si evolve a volte repentinamente, e infine essere presenti sul territorio.
Probabilmente se ci fossero più complicità istituzionali sarebbe più facile infittire e rendere più potenti i nostri interventi a livello locale.

Nel 2004 Assab One diventa associazione non profit, in un contesto, quello milanese, che già a partire dalla metà degli anni ’80 appare caratterizzato da una forte spinta alla sperimentazione artistica, resa possibile e/o favorita dalla nascita di spazi alternativi per l’arte accanto al sistema delle gallerie. Mi riferisco alla Casa degli Artisti e alla breve esperienza della Brown Boveri, seguita di lì a poco dalla nascita di Careof prima e di Viafarini poi.
Come si colloca Assab One all’interno di questo contesto? Quali sono le sue ‘specificità’?


Queste esperienze nascono in parte da una necessità, e costituiscono una sorta di tassello differente nel panorama dell’arte, alternativo al circuito delle gallerie.
A Milano inoltre manca uno spazio museale, che abbia al suo interno anche una parte di programmazione più legata alla sperimentazione, come accade in altre città europee dove alcuni musei, oltre ad ospitare ciò che è già accaduto altrove, cristallizzandolo, producono progetti che raccolgono quello che succede di nuovo.
Le associazioni non profit nel campo dell’arte vanno un po’ a coprire questa mancanza, e insieme offrono la possibilità agli artisti di realizzare progetti indipendenti dalle logiche di mercato. Una galleria commerciale deve fare una scommessa diversa sul loro lavoro, basata non solo sulla qualità intrinseca, ma anche su una sorta di “vendibilità”. Nel tempo i non profit hanno avuto un ruolo importante per la costruzione e la crescita del lavoro di alcuni artisti, permettendo loro di avere visibilità e uno spazio fisico e mentale in cui sperimentarsi e mettersi alla prova.
Il lavoro di Assab One è coerente con quanto fanno altri spazi come Careof o Viafarini, realtà che stimiamo molto e di cui apprezziamo il lavoro e la costanza, la cui specificità è però sicuramente legata anche alla presenza dell’archivio, ossia alla raccolta e all’organizzazione di una documentazione che fornisce materiale di studio a curatori, ricercatori e non solo e che nel tempo è cresciuto, fino alla nascita del DOCVA (Documentation Center for Visual Arts).
Quando è nata Assab One, non si è avvertita l’esigenza di intraprendere questa via. La nostra specificità è molto legata all’identità dello spazio, alla possibilità di utilizzarlo nei modi più diversi. Spesso veniamo individuati o scelti proprio per questo aspetto.

In che modo valuti la crescente fioritura degli spazi non profit in Italia e la necessità sempre più avvertita di costituire una rete?

Certo le collaborazioni ci sono. Le realtà non profit che si occupano di arte contemporanea sono molte. Però, per quanto, ad esempio, uno degli scopi della Provincia di Milano con le iniziative di inContemporanea sia quello di creare una rete, è molto difficile che questa rete sia reale, fisica.
Credo che in questo momento possa essere considerata più una rete ideale, dei punti su una mappa tra cui si possono tracciare dei collegamenti o trovare collaborazioni su singoli progetti, ma creare una rete vera è molto difficile.
Mi sembra che ognuno porti avanti una sorta di lotta per la sopravvivenza, e quindi non ci sono le condizioni migliori perché si possano costituire delle collaborazioni stabili. Per sviluppare dei progetti insieme e “fare sistema” occorrerebbe una maggiore tranquillità su tutta una serie di fronti, ma è un desiderio, un’intenzione e un obiettivo da continuare a perseguire. Forse sono state gettate le basi perchè un giorno questo accada.

In questi 7 anni di attività che tipo di collaborazioni o sinergie si sono venute costituendo?

Una realtà come Assab One non avrebbe senso senza collaborazioni, mentre la sua identità e la natura del luogo che ospita l’associazione le favoriscono.
E’ stato così che Acacia e Dena foundation hanno istituito i premi per gli artisti che partecipavano alla mostra Assab One 2004. La nuova generazione artistica in Italia, che La Fondazione Antonio Ratti e Isola Art Center hanno ambientato nei nostri spazi alcune loro mostre, che Art for the World ha ospitato ad Assab One la performance Italia in fumo di Antonio Scarponi e ha sostenuto la realizzazione della mostra di Fabiana de Barros e Michel Favre Ultra Non Stop, nessun luogo è vuoto, del 2008.
Sempre nel 2008 abbiamo partecipato a una iniziativa della Comunidad de Madrid realizzando Los Angeles de Madrid, un progetto di Peter Wuethrich nell’ambito della Noche de Los Libros.
Poi naturalmente, oltre a quelle con le istituzioni pubbliche, con le altre associazioni e fondazioni e con le gallerie private, ci sono le sinergie con gli artisti.
Per esempio nel 2008 abbiamo ospitato una mostra nata da un’idea di Filippo Berta e Stefano Romano nell’ambito del progetto CUNS, un format che riflette sull’idea di sistema realizzando eventi in cui le figure di artista, curatore, gallerista e collezionista si scambiano tra loro i ruoli in maniera sempre diversa.
Si trattava del primo evento della serie e i due ideatori del progetto si sono posti nel ruolo di curatori chiedendo a un gallerista, Sergio Casoli, e a un collezionista, Giorgio Pandini, di operare come artisti e di realizzare un lavoro per gli spazi di Assab One, trasformato per l’occasione da spazio non profit in galleria commerciale.
E’ stato un esperimento divertente, di cui erano totalmente imprevedibili gli esiti, ma la nostra presunta trasformazione temporanea in galleria commerciale non è riuscita appieno...
E’ molto difficile cambiare il proprio ruolo nel sistema e soprattutto il modo in cui si viene percepiti dall’esterno, ma è stato un buon esercizio e un pretesto per riflettere su questo tema. Penso che fosse proprio uno degli scopi del progetto.
Recentemente abbiamo partecipato al progetto Natura morta con autore, ideato dall’artista Flavio de Marco: una serie di incontri informali con autori provenienti da diversi campi della creatività (arti visive, letteratura, cinema, teatro, musica) invitati a presentarsi attraverso tre oggetti che ritenevano significativi per la propria ricerca. Assab One ha ospitato sei dei diciotto incontri complessivi, gli altri si sono svolti a Bologna al Sì e a Roma all’American Academy, luoghi e istituzioni molto diverse tra loro.
L’elemento di collegamento è stato il grande lavoro di Flavio, che è riuscito a coinvolgere autori e sedi degli incontri sinergicamente. L’esperienza è stata molto bella e speriamo si possa ripetere in futuro. Uno degli aspetti più stimolanti è stato la possibilità di sconfinare in ambiti nuovi, da noi poco frequentati...

Potresti anticiparmi qualcosa sui progetti per il futuro?

Anche quest’anno Assab One partecipa a inContemporanea la rete dell’arte, l’8,9 e 10 maggio alla Triennale, con un progetto che coinvolge Pierluigi Calignano, Alessandra Spranzi ed Enzo Umbaca e prevede incursioni e interventi sul territorio di Via Padova.
Il 18 aprile inaugurano due mostre: Case di cartone di Marissa Morelli e Max Rommel e Giardini di Libri, un’installazione di Andrea Mastrovito. La prima espone fotografie e video che i due artisti hanno realizzato tra il 2005 e il 2008 e documentano ciò che rimaneva di un villaggio di sfollati del Vajont, rivelando ciò che resta dell’identità di quei luoghi e della memoria privata e collettiva degli abitanti.
La seconda presenta un’installazione ambientale che utilizza come materia prima gli stessi oggetti prodotti dai vecchi macchinari tipografici: volumi di botanica e giardinaggio, ritagliati e disposti l’uno accanto all’altro sul pavimento, daranno vita ad aiuole di carta.
A fine maggio Assab One ospiterà una tappa di Balena Project, il progetto che Claudia Losi sta portando avanti dal 2002.
In ottobre, in collaborazione con la Comunidad de Madrid, produrremo una delle mostre di Made in Mad, un programma di eventi sulle eccellenze creative e culturali di Madrid.

Assab One
Ex stabilimento GEA, Via Assab, 1 - Milano
Tel. 02 2828546
Fax 02 26111752
info@assab-one.org
www.assab-one.org



Le puntate precedenti della nostra inchiesta sui nuovi spazi non profit italiani:
Mutevole Non
Voler essere uno dei tanti

Politiche: paralleli e meridiani
Scambi d’arte ‘made in Europe’...
Oggi, ieri, domani
Farsi spazio
Il Lungomare di Bolzano
Abbasso Prospero e Robinson Crusoe
Meno veloce della luce
Il totale è più della somma…
Napoli bella e dannata

Qualcosa di nuovo a Milano #2

A Berlino, tra Biennale e sperimentazione

Qualcosa di nuovo a Milano #1
Ospiti di Nosadella.due
E’ la volta di 1:1projects
FormContent: profilo di uno spazio


Michela Gulia è laureata all'Università di Roma "La Sapienza" in semiologia dell'arte contemporanea. Ha lavorato presso la Fondazione Baruchello (Roma), dove ha partecipato a diversi seminari di ricerca , tra cui quello su "Roma '77" con Rogelio Lopez Cuenca, e "Senza titolo per parlarne" con Mauro Folci e Osservatorio Nomade. Attualmente collabora con UnDo.Net



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