Attraversare le contingenze allargando le prospettive

21/12/2010
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Per colpa di un muro


L'opera che Blu aveva dipinto in soli 6 giorni sulla gigantesca fiancata esterna del Geffen Contemporary at MOCA è stata altrettanto rapidamente cancellata.
Eppure non si trattava di un intervento abusivo, ma della risposta all'invito di Jeffrey Deitch, chiacchierato direttore del museo di Los Angeles. Stefano Questioli racconta la vicenda e i suoi interessanti risvolti



Blu, Murales, Geffen Contemporary At MOCA, 7 dicembre 2010 (monumneto GO FOR BROKE in basso a sinistra)





Blu, Murales, Geffen Contemporary At MOCA, 7 dicembre 2010





Cancellazione Murales, 9 dicembre 2010





Cancellazione Murales, 9 dicembre 2010





Blu, Murales (dettaglio), Geffen Contemporary At MOCA, 7 dicembre 2010



La scorsa settimana la notizia della censura ad opera del Museum of Contemporary Art di Los Angeles del murales di Blu ha attraversato il mondo dell’arte non solo americano.( 1 )
Ora che il susseguirsi di informazioni, più o meno accurate, va affievolendosi, si apre lo spazio per una riflessione più profonda su temi relativi alla libertà dell’arte ed all’autenticità del suo messaggio.

Ma innanzitutto è necessario fare chiarezza relativamente a quanto accaduto fra il 1 e il 9 dicembre 2010. Il resoconto che segue si attiene al reale svolgimento dei fatti.

Il nuovo direttore del Museum of Contemporary Art di Los Angeles, Jeffrey Deitch, ha programmato una grande mostra dedicata al fenomeno, assai attuale, della street art per il prossimo aprile 2011. L’esposizione si intitolerà “Art in the streets”, e sarà la prima occasione per Jeffrey Deitch di farsi conoscere al pubblico di Los Angeles nelle vesti di curatore. Nella mostra figureranno numerosi artisti di talento che lo stesso Deitch ha promosso nella sua nota galleria, Deitch Project di New York, fra i quali si ricordano Barry Mcgee, Os Gemeos, Shepard Fairey, solo per citarne alcuni.

É necessario premettere che la nomina di Jeffrey Deitch alla direzione del MOCA è stata alquanto discussa negli ambienti culturali della città. Le ragioni di tale controversia si rivolgono soprattutto al suo passato di mercante d’arte. É questo infatti il primo caso negli Stati Uniti in cui un proprietario di una galleria privata a scopo commerciale assurge alla direzione di una prestigiosa istituzione artistica.
Inoltre la nomina di Deitch è stata platealmente sostenuta dall’ingombrante Eli Broad, salvatore finanziario del L.A. MOCA nel 2008, ed ormai padre-padrone dell’intero sistema museale di tutta Los Angeles.( 2 )

L’artista italiano Blu, nonostante non faccia parte della scuderia di Deitch Project, è stato invitato a prendere parte alla mostra in quanto esponente di primo piano della street art internazionale. Blu, che non ha mai nascosto la sua la riluttanza a portare la sua arte al chiuso di un Museo ha fatto esplicitamente richiesta di una parete esterna da poter dipingere. Così Deitch, a cui la presenza di Blu alla mostra di aprile stava particolarmente a cuore, gli ha offerto quello che a suo dire è il più importante muro d’America, ovvero la gigantesca fiancata esterna del Geffen Contemporary at MOCA nel centralissimo quartiere di Little Tokyo.

Blu, pur acconsentendo alla proposta, si è potuto recare a Los Angeles solo all’inizio di questo dicembre, ben 4 mesi in anticipo sull’apertura della mostra.
Approfittando della leggerezza della direzione del Museo, che non ha fatto esplicita richiesta di un bozzetto preparatorio, Blu ha iniziato a dipingere indisturbato il suo gigantesco murales. L’assenza di gran parte dello staff del L.A. MOCA, Deitch compreso, volato a Miami per la fiera d’arte Art Basel, ha concesso a Blu una settimana di totale libertà creativa.

In soli 6 giorni il muro del Geffen è stato quasi completamente portato a termine. L’opera di Blu é assai semplice da descrivere: una infinita serie di bare coperte da una banconota da un dollaro in riferimento diretto alle immagini dei soldati americani morti in conflitto trapelate negli ultimi anni, nonostante il divieto del governo americano.

Al suo rientro da Miami, Jeffrey Deitch, di fronte a quei cinquecento metri quadrati di pittura, ha immediatamente capito di trovarsi di fronte ad un serio problema. La decisione di cancellarlo è stata presa all’istante.

Le giustificazioni ufficiali del Museo ( 3 ) fanno riferimento alla presenza del Palazzo dei Veterani proprio di fronte al muro incriminato, e soprattutto alla presenza del vicino monumento “Go For Broke”. Questo memoriale celebra i caduti nippo-americani della seconda guerra mondiale che combatterono per gli Stati Uniti nonostante la popolazione giapponese residente in California in quegli stessi anni fosse oggetto di deportazioni di massa da parte americana.

Deitch, in evidente imbarazzo, ha offerto a Blu la possibilità di dipingere sullo stesso muro un nuovo soggetto, meno provocatorio che, a suo dire, potesse invogliare la gente ad entrare al museo. Ma tale proposta è stata prevedibilmente declinata, così come quella di dipingere un muro in un altro luogo della città il prossimo marzo.
A Blu è stato persino chiesto di firmare un comunicato congiunto con il MOCA in cui avrebbe dovuto avallare la cancellazione della sua opera.

A dovere di cronaca la reazione di Blu non è stata né di rabbia né di protesta, come erroneamente hanno riportato alcuni giornali, tantomeno si è trattato di una messa in scena a scopo promozionale. Non è di certo la prima volta che un murales di Blu viene cancellato ( 4 ); molti suoi interventi abusivi hanno tra l’altro vita ancor più breve.

Resta da osservare che né i veterani né la comunità giapponese si è mai ufficialmente lamentata con il Museo. D’altro canto numerosi pareri di quanti passavano di fronte al quel muro mentre l’artista era al lavoro, erano di diverso tenore. Molti veterani di guerra infatti sembravano apprezzare quella forte presa di posizione antimilitarista.
La decisione della cancellazione è stata dunque presa unilateralmente dal direttore del Museo e così il muro di Blu è stato imbiancato lo scorso nove dicembre.

La posizione ufficiale di Blu, dopo numerose richieste di chiarimento, é arrivata con qualche giorno di ritardo, il 15 Dicembre tramite uno scarno comunicato:

Il mio pezzo non intendeva offendere nessuno, né il MOCA né il Direttore né la comunità nippo-americana, né i veterani.
Ho cercato di dare il meglio su quel muro e mi sarebbe piaciuto avere qualche giorno in più a disposizione per alcuni ritocchi, per migliorarlo. Spesso dipingo soggetti forti, ma lascio sempre l’interpretazione aperta allo spettatore e questo spesso genera la discussione.
La reazione della gente è la cosa che più mi interessa. Considerare il mio pezzo offensivo è stata la personale interpretazione di Jeffrey Deitch, ma non l’unica possibile. Lui ha voluto intenderla così ed ha deciso di cancellare il muro anche se non ha ricevuto lamentele ufficiali. Non sono arrabbiato con nessuno ma questo non significa che io sostenga la censura del mio pezzo e non voglio avere nulla a che fare con quella decisione, che nega l’idea stessa del mio lavoro.


La dimensione monumentale dell’opera di Blu sulla parete del Geffen aveva il potere di amplificare un messaggio che nella sua sana ovvietà non avrebbe suscitato altrettanto scalpore in un contesto differente. Il murales riusciva ad impressionare l’osservatore grazie all’efficacia del suo stile caricaturale, ma soprattutto grazie alla sua grandezza fuori scala. La sua abilità di fondere la progettualità del disegno e l’ estensione architettonica lo ha reso famoso non solo nel piccolo universo della street art.

Così come sostiene lo stesso Blu, la cosa più interessante di questa vicenda è nata a cancellazione avvenuta. Il dibattito che ne è scaturito sui giornali e nei mille blog sparsi in rete ha toccato argomenti controversi quali la libertà d’espressione e il rispetto delle complesse sensibilità di una società multiforme come quella americana.
L’impertinenza artistica di Blu ha fatto scaturire anche salutari discussioni in merito alla assurdità delle guerre in corso, troppo spesso dimenticate dalle stesse democrazie che le perpetrano.

Tutto ciò è inoltre la prova lampante che la street art preserva la propria autenticità finchè resta libera. Il tentativo di ‘deportare’ la street art nel museo è ad alto rischio di fallimento: se tale forma d’arte ha valore quando è si manifesta nel paesaggio urbano diventa niente più che una non troppo originale pop art se ingabbiata nello spazio espositivo.
Invece il gesto di Blu, benchè su un muro appartenete ad una Istituzione, resta un gesto intransigente. La moltiplicazione di questa immagine attraverso il mezzo digitale e la conseguente notorietà che ne é derivata rappresenta il giusto risarcimento al tentativo troppo sbrigativo dell’eliminazione del problema.
Forti dubbi sulla partecipazione alla mostra di aprile iniziano poi ad essere mossi dagli stessi artisti invitati. Della faccenda a Los Angeles non resta che un noioso muro bianco ed un notevole imbarazzo.

É doveroso inoltre ricordare che la cancellazione del murales segue di poche settimane una polemica che ha investito un’altra istituzione americana, la National Portrait Gallery, parte dello Smithsonian Institution di Washington, dopo che un video dell’artista David Wojnarowicz, "A Fire in My Belly," è stato rimosso dalla mostra "Hide/Seek," su pressioni di una sedicente associazione religiosa.( 5 )

Ma di certo ciò che è accaduto a Blu ci riporta indietro al lontano 1934 quando Nelson Rockefeller decise di cancellare il murales che lui stesso commissionò a Diego Rivera per via del ritratto del rivoluzionario Lenin.
Quell’episodio, esattamente come questo, lascia purtroppo gli Stati Uniti se non meno liberi sicuramente meno belli.

Stefano Questioli


(1) Ne hanno parlato oltre al Los Angeles Times anche il New York Times, (Cfr. http://artsbeat.blogs.nytimes.com), L’Huffnington Post, il Guardian e numerossissimi altri blog.
(2) cfr. Connie Bruck, The Art of the Billionaire- Eli Borad’s investment in L.A., The New Yorker, Dec. 6 2010. pp. 50-62.
(3) Cfr www.latimes.com
(4) Uno degli esempi più eclatanti è stato la rimozione del murales di Blu realizzato a San Paolo del Brasile nel 2007, in cui il Cristo del Corcovado si trovava letteralmente sommerso di armi da fuoco. Cfr. blublu.org
(5) www.washingtonpost.com



Stefano Questioli, critico e curatore indipendente, vive a Chicago dove collabora con il Museum of Contemporary Art e con l'Istituto Italiano di Cultura. Si occupa di street art ed arte abusiva a partire dal 2003, di cui ha scritto su riviste quali New York Art e Juxtapoz Magazine. Ha di recente curato la prima mostra personale di Gianluigi Toccafondo negli Stati Uniti. Questo articolo nasce dalla sua presenza in prima persona con Blu a Los Angeles.




APPROFONDIMENTI:

Questo video, girato con una telecamera a infrarossi, documenta l'esecuzione di uno dei tre lavori illegali di Blu ed Ericailcane prodotti da Spaziorazmataz in occasione della mostra curata da Lorenzo Giusti e Stefano Questioli nel luglio del 2008 a Prato.

Raids notturni (Arte abusiva parte 2): intervista a Stefano Questioli