Ad Personam Pavilion
di Pierfabrizio Paradiso - Milano
“Se è la mia biennale questa, lei sa chi è Damien Hirst? Che ha esposto delle compresse? Ora
potrò io esporre il culatello? Saranno cazzi miei? E’ la mia biennale o è la sua? E’ la mia; si faccia
la sua; si faccia la sua, non è la vostra; è la mia, non è la sua, non è la sua.”
(dal testo della Performance – atto 3: Calling the Audience – la conferenza).
Progetto Performativo per il Padiglione Italiano alla 54° Mostra Internazionale d’Arte di
Venezia.
Con la partecipazione straordinaria di Vittorio Sgarbi.
Progetto suddiviso in 4 macro aree e 4 momenti temporali differenti:
1) Calling Me – La convocazione
2) Calling anyone – La selezione
3) Calling the Audience – la conferenza
4) Calling the imprisoned Lions – L’evento
“Mi affiancheranno critici e studiosi per esaminare la grande quantità di materiali
che arriveranno al la mia attenzione. Dunque "et et", lontani dall "aut aut" cui i
criticicuratoriinfermieri ci hanno obbligati fino a oggi”.
Quando ho chiesto a Vittorio di collaborare per il mio lavoro per il Padiglione italiano a
Venezia mi è sembrato alquanto perplesso, ma confesso curioso al tempo stesso.
Che un paese compia 150 anni di unità nazionale, in effetti, può sembrare qualcosa di
alquanto eccezionale, in particolar modo quando la tendenza più dilagante in quel paese per
determinare un totalitarismo è delineare le forme delle cose, non più i contenuti, demandati
ad essere sempre di più alienati dalla vita pubblica.
Mi è sembrato interessante per il mio intervento, quindi, ragionare sul processo delle cose,
piuttosto che sulla forma finale di esse, sperando di poter porre maggior accento sul
contenuto che questo processo può sprigionare.
Sempre più anche la comunicazione politica viene assimilata ai messaggi commerciali: si
tratta dunque di vendere “messaggi”, di trovare leader “fotogenici”, di sviluppare la
personalizzazione politica. Ho scelto Vittorio come portavoce esemplare di questo
atteggiamento svuotante del senso e del contenuto per quanto riguarda l’Arte e la Cultura. Per
la massa, Vittorio è il Critico. Non solo dell’Arte.
Ma anche della società, della vita, del costume, dell’anti'conformismo conformista.
Il media televisivo lo rende "vicino alla gente", dunque onesto, tralasciando il suo nozionismo
vomitato a vanvera ed incontrovertibile che gli permette di creare la solita gerarchia verticale
del potere della conoscenza nel quale: “se tu non sai, devi credermi perché io so e, quindi, ti
comando”.
Ovviamente, dando per implicito che quello che sai tu è sbagliato o falso.
Nell'esperienza estetica, invece, la piccola autonomia della sua esperienza deve rimanere
quella piccola libertà di fare una contemplazione dove la prima reazione è "non capire". Ma
questa è una condizione necessaria e sincera dell'esperienza estetica, per poi sedimentare la
riflessione e capirne il contesto e la riflessione successiva sul contesto.
La performance si articola in 4 momenti principali, il cui ultimo sarà proprio la reale
produzione del Padiglione Italiano attraverso le direttive di un performer che svolgerà le
funzioni del “curatore”, assumendone tutte le forme, dal momento della chiamata alla
realizzazione relativa inaugurazione dell’evento con tutti gli apparati di un evento reale
(titolo, comunicati e tutto il suo corollario); ma ne dissacra i contenuti.
E’ la parodia di una Post-Democrazia
( 1 ): dove da una parte si afferma una democrazia sempre
più formale,caratterizzata soprattutto dalle elezioni, che però sono dominate ed orientate dai
poteri forti, definita “liberale” (nel senso che deve evitare di interferire con l’economia), e
dove la possibilità di partecipare delle masse è sempre più ridotta. Le forme della democrazia
rimangono in vigore, ma sono sempre di più le èlites privilegiate ad assumere il potere.
Vittorio, performando il ruolo del curatore del Padiglione, realizzerà una meta‐mostra
ufficiale del padiglione italiano in cui sovvertire la logica del senso con il quale si costruisce un
evento culturale: realizzare una mostra che sia innovativa e democratica nelle sue forme, ma
che celi nei suoi contenuti la svalorizzazione qualitativa del discorso artistico, attraverso
“l’uomo non particolare, ma qualunque”
( 2 ), determinandone la morte degli spazi critici e di
libertà che questa potrebbe creare come strumento sociale per una riflessione critica del
presente.
Il nodo centrale del discorso che ho chiesto di fare a Vittorio affronta, da un punto di vista
della forma, il tentativo di disinnescare il meccanismo elitario del sistema artistico attraverso
una liberalizzazione del ruolo del “curatore”. Questo, all’interno del discorso performativo,
non prevede una specificità professionale ma implode semplicemente nell’atteggiamento del
gusto personale, delegando questo ruolo quindi all’ambito della passione viscerale,
dell’hobby, della perdita di tempo.
La messa in crisi della figura del curatore, specialmente quello indipendente, parola assai
pericolosa negli ultimi anni nel nostro paese, è la chiave di volta di attivazione del lavoro. E’
anche, lo ammetto, la strada più breve e veloce per determinare le forme di una libertà
democratica e anti-elitaria apparente, delle quali però si sono connotati nuovamente i
contenuti, sovvertendoli.
Ecco cosa ne rimante tra forma e contenuto:
Invitare chiunque a segnalare un artista qualunque, che è inserito senza criterio di selezione
all’interno della mostra, rappresenta la forma di una meta‐democrazia.
Come ascoltare un crogiuolo di voci indistinte, dove ognuno parlando sopra l’alto, non dice
niente.
Annullare il valore qualitativo del lavoro artistico riducendolo a una banalità che chiunque
possa svolgere, al di là delle proprie capacità e competenze, ne distrugge il senso, il valore e
l’importanza. Ne distrugge il riconoscimento come forma di lavoro autentico. Ne distrugge il
potere sovversivo di sprigionare un discorso critico, di attivare il pensiero. Semplicemente ne
annienta il contenuto.
Come, al contrario, dare a voce a delle forme costruite sulla base del senso permette di
iniziare ad aprire un dialogo, nel quale ognuno può in seguito prendere la parola.
Le finalità di questo progetto performativo sono tese innanzitutto a svelare la problematica
fondamentale che sta alla base del nostro paese, assunta come modello ramificato in tutti gli
ambiti della vita quotidiana:
Esistono solo delle forme di cui sono stati annientati i contenuti.
Basta una forma che produca un senso superficialmente condivisibile, che genera il consenso,
distrugge la capacità critica, e ci vuole stanchi nelle nostre case ad annuire passivamente alla
distruzione della Libertà.
Si ringrazia Vittorio Sgarbi, l’intero personale e i 2000 artisti figuranti coinvolti per la collaborazione alla
performance e mi scuso per chi abbia preso sul serio le parole dei miei performer e ne scuso di conseguenza
l’ingenuità.
L’artista:
Pierfabrizio Paradiso
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1) Post-Democracy è un concetto coniato da Colin Crouch.
2) Giorgio Agamben, La comunità che viene, Bollati Boringhieri, Milano
Stefano Questioli - Chicago
Francesco Lucifora - Modica (Ragusa)
Stefano Romano - Bergamo/Tirana
Amerigo Nutolo - Venezia