Attraversare le contingenze allargando le prospettive

01/06/2011
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Ad Personam Pavilion



di Pierfabrizio Paradiso - Milano

“Se è la mia biennale questa, lei sa chi è Damien Hirst? Che ha esposto delle compresse? Ora potrò io esporre il culatello? Saranno cazzi miei? E’ la mia biennale o è la sua? E’ la mia; si faccia la sua; si faccia la sua, non è la vostra; è la mia, non è la sua, non è la sua.”

(dal testo della Performance – atto 3: Calling the Audience – la conferenza).

Progetto Performativo per il Padiglione Italiano alla 54° Mostra Internazionale d’Arte di Venezia.

Con la partecipazione straordinaria di Vittorio Sgarbi.

Progetto suddiviso in 4 macro aree e 4 momenti temporali differenti:

1) Calling Me – La convocazione
2) Calling anyone – La selezione
3) Calling the Audience – la conferenza
4) Calling the imprisoned Lions – L’evento

“Mi affiancheranno critici e studiosi per esaminare la grande quantità di materiali che arriveranno al la mia attenzione. Dunque "et et", lontani dall "aut aut" cui i critici­curatori­infermieri ci hanno obbligati fino a oggi”.

Quando ho chiesto a Vittorio di collaborare per il mio lavoro per il Padiglione italiano a Venezia mi è sembrato alquanto perplesso, ma confesso curioso al tempo stesso.

Che un paese compia 150 anni di unità nazionale, in effetti, può sembrare qualcosa di alquanto eccezionale, in particolar modo quando la tendenza più dilagante in quel paese per determinare un totalitarismo è delineare le forme delle cose, non più i contenuti, demandati ad essere sempre di più alienati dalla vita pubblica.

Mi è sembrato interessante per il mio intervento, quindi, ragionare sul processo delle cose, piuttosto che sulla forma finale di esse, sperando di poter porre maggior accento sul contenuto che questo processo può sprigionare.

Sempre più anche la comunicazione politica viene assimilata ai messaggi commerciali: si tratta dunque di vendere “messaggi”, di trovare leader “fotogenici”, di sviluppare la personalizzazione politica. Ho scelto Vittorio come portavoce esemplare di questo atteggiamento svuotante del senso e del contenuto per quanto riguarda l’Arte e la Cultura. Per la massa, Vittorio è il Critico. Non solo dell’Arte.

Ma anche della società, della vita, del costume, dell’anti'conformismo conformista.

Il media televisivo lo rende "vicino alla gente", dunque onesto, tralasciando il suo nozionismo vomitato a vanvera ed incontrovertibile che gli permette di creare la solita gerarchia verticale del potere della conoscenza nel quale: “se tu non sai, devi credermi perché io so e, quindi, ti comando”.

Ovviamente, dando per implicito che quello che sai tu è sbagliato o falso.

Nell'esperienza estetica, invece, la piccola autonomia della sua esperienza deve rimanere quella piccola libertà di fare una contemplazione dove la prima reazione è "non capire". Ma questa è una condizione necessaria e sincera dell'esperienza estetica, per poi sedimentare la riflessione e capirne il contesto e la riflessione successiva sul contesto.

La performance si articola in 4 momenti principali, il cui ultimo sarà proprio la reale produzione del Padiglione Italiano attraverso le direttive di un performer che svolgerà le funzioni del “curatore”, assumendone tutte le forme, dal momento della chiamata alla realizzazione relativa inaugurazione dell’evento con tutti gli apparati di un evento reale (titolo, comunicati e tutto il suo corollario); ma ne dissacra i contenuti.

E’ la parodia di una Post-Democrazia ( 1 ): dove da una parte si afferma una democrazia sempre più formale,caratterizzata soprattutto dalle elezioni, che però sono dominate ed orientate dai poteri forti, definita “liberale” (nel senso che deve evitare di interferire con l’economia), e dove la possibilità di partecipare delle masse è sempre più ridotta. Le forme della democrazia rimangono in vigore, ma sono sempre di più le èlites privilegiate ad assumere il potere.

Vittorio, performando il ruolo del curatore del Padiglione, realizzerà una meta‐mostra ufficiale del padiglione italiano in cui sovvertire la logica del senso con il quale si costruisce un evento culturale: realizzare una mostra che sia innovativa e democratica nelle sue forme, ma che celi nei suoi contenuti la svalorizzazione qualitativa del discorso artistico, attraverso “l’uomo non particolare, ma qualunque” ( 2 ), determinandone la morte degli spazi critici e di libertà che questa potrebbe creare come strumento sociale per una riflessione critica del presente.

Il nodo centrale del discorso che ho chiesto di fare a Vittorio affronta, da un punto di vista della forma, il tentativo di disinnescare il meccanismo elitario del sistema artistico attraverso una liberalizzazione del ruolo del “curatore”. Questo, all’interno del discorso performativo, non prevede una specificità professionale ma implode semplicemente nell’atteggiamento del gusto personale, delegando questo ruolo quindi all’ambito della passione viscerale, dell’hobby, della perdita di tempo.

La messa in crisi della figura del curatore, specialmente quello indipendente, parola assai pericolosa negli ultimi anni nel nostro paese, è la chiave di volta di attivazione del lavoro. E’ anche, lo ammetto, la strada più breve e veloce per determinare le forme di una libertà democratica e anti-elitaria apparente, delle quali però si sono connotati nuovamente i contenuti, sovvertendoli.

Ecco cosa ne rimante tra forma e contenuto:

Invitare chiunque a segnalare un artista qualunque, che è inserito senza criterio di selezione all’interno della mostra, rappresenta la forma di una meta‐democrazia.

Come ascoltare un crogiuolo di voci indistinte, dove ognuno parlando sopra l’alto, non dice niente.

Annullare il valore qualitativo del lavoro artistico riducendolo a una banalità che chiunque possa svolgere, al di là delle proprie capacità e competenze, ne distrugge il senso, il valore e l’importanza. Ne distrugge il riconoscimento come forma di lavoro autentico. Ne distrugge il potere sovversivo di sprigionare un discorso critico, di attivare il pensiero. Semplicemente ne annienta il contenuto.

Come, al contrario, dare a voce a delle forme costruite sulla base del senso permette di iniziare ad aprire un dialogo, nel quale ognuno può in seguito prendere la parola.

Le finalità di questo progetto performativo sono tese innanzitutto a svelare la problematica fondamentale che sta alla base del nostro paese, assunta come modello ramificato in tutti gli ambiti della vita quotidiana:

Esistono solo delle forme di cui sono stati annientati i contenuti.

Basta una forma che produca un senso superficialmente condivisibile, che genera il consenso, distrugge la capacità critica, e ci vuole stanchi nelle nostre case ad annuire passivamente alla distruzione della Libertà.

Si ringrazia Vittorio Sgarbi, l’intero personale e i 2000 artisti figuranti coinvolti per la collaborazione alla performance e mi scuso per chi abbia preso sul serio le parole dei miei performer e ne scuso di conseguenza l’ingenuità.

L’artista:
Pierfabrizio Paradiso

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1) Post-Democracy è un concetto coniato da Colin Crouch.

2) Giorgio Agamben, La comunità che viene, Bollati Boringhieri, Milano



Stefano Questioli - Chicago

Francesco Lucifora - Modica (Ragusa)

Stefano Romano - Bergamo/Tirana

Amerigo Nutolo - Venezia