Attraversare le contingenze allargando le prospettive

10/06/2011
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Opinioni sulla Biennale


Da New York, Berlino, Parigi, Ginevra, Zurigo, San Marino, Milano... artisti e curatori, arrivati a Venezia per l'inaugurazione, molto spontaneamente qui esprimono i loro pareri a caldo su quello che vedono.
Frastornati dalla quantità di proposte (e rallentati dalle lunghe file di persone), respinti dalla spettacolarità o dalla freddezza degli allestimenti, dalla cipria sulle croste (delle situazioni), attratti dai padiglioni svizzero, austriaco, spagnolo, dell'est e del nord... Ci vuole il fisico per partecipare alla maratona dell'opening.
Comunque Barbara Fässler e Zane Oborenko hanno raccolto le loro opinioni che forse potranno essere utili a chi visiterà la Biennale e le sue mostre con calma



Barbara Fässler e Zane Oborenko attraverso il lavoro di Fischli-Weiss



Ghada Amer



Irène Hug



Francesca Marianna Consonni



Sigrid Pawelke



Una Szeemann



Marco Meneguzzo



A constructed world - Jacqueline Riva



Patrick Gosatti



Dorothea Strauss



Sophie Usunier



Pier Paolo Coro



Wawrzyniec Tokarski



Stefan Banz



Cora von Zezschwitz



Giancarlo Norese



A constructed world - Geoff Lowe




Ghada Amer, artista, New York

Il padiglione che mi piace di più è quello americano. Sono molto sorpresa, perché sembra la prima volta che criticano apertamente la propria cultura. Di solito parlano di bellezza e quant’altro, ma questa volta si parla di politica degli Stati Uniti e sono molto impressionata e felice di vedere questo. La mostra di Bice Curiger, la trovo molto fredda, specialmente la parte che si trova nei Giardini.



Irène Hug, artista, Berlino

È difficile dire qualcosa in generale. Globalmente l'arte contemporanea sembra troppo debole o faticosa di fronte alla città di Venezia, sempre meravigliosa e incantevole. Mi chiedo se l'arte davvero sia diventata più noiosa e meno sorprendente o se io mi sia abbrutita con gli anni.
Una mia impressione molto soggettiva è che tanti artisti avrebbero un nuovo messaggio da comunicare, ma lo “imballano” in un vocabolario artistico consueto, da cui gli spettatori dovrebbero decifrarlo. Perché costruire un'installazione così laboriosa come quella nel padiglione britannico? Perché ricostruire 1:1 una vecchia casa turca per ottenere un effetto come di galleria degli orrori, con una foto di Atatürk che somiglia al conte Dracula? Mentre nel padiglione del Bangladesh si può visitare una vera antica casa con una vera officina e vere opere d'arte?
Il padiglione che nettamente mi piace di più è quello della Repubblica Ceca, perché è molto strano. Si entra in una sorta di orto, c'è odore di vecchia accademia d'arte, ci sono in giro mobili passati di moda. A guardare meglio si scopre ad esempio una scultura non finita che si tiene su con delle stampelle, ha il collo avvolto nella plastica e una testa completamente inadeguata rispetto il resto del corpo. Da un'altra parte c'è invece una donna che cerca il suo cane sotto il tavolo e per fare ciò attraversa il piano del tavolo con le braccia. Si tratta di sculture del padre dell'artista, combinate con diversi elementi. Questo lavoro molto ironico tematizza in modo molto intelligente le mode cangianti dell'arte. Per quanto riguarda il Padiglione Polacco – molto controverso – stiamo ancora discutendo…



Francesca Marianna Consonni, curatrice, Gallarate (va)

Io di solito subisco tutto, la mia sensibilità viene massacrata dai lavori, invece quest’anno io mi sento a posto perché comincio a vedere gli artisti che tirano fuori tutta questa crisi e ci riflettono. Ieri abbiamo visto Andorra, padiglione molto interessante. La Spagna finalmente si è tolta da quel monumento terrificante che è postumo all’idea di crisi, ma che è una copertura schifosa, come mettere la cipria sopra le croste. Invece adesso riusciamo a vedere non solo le croste ma anche le proposte di cicatrizzazione.



Sigrid Pawelke, Ph.D. Curatrice, ricercatrice, docente, Parigi

Stiamo ancora esplorando la Biennale, questo pomeriggio siamo state al padiglione messicano: Melanie Smith, decostruzione dell’architettura. È praticamente architettura utopica nella giungla, disegnata durante gli anni Settanta e Ottanta e poi abbandonata. È un progetto molto intelligente su come vedere e pensare lo spazio, il tempo e l’ambiente.
D’altra parte mi interessano molto le conferenze, prima c’era l'attivista indiana dei diritti umani, Vandana Shiva, che parlava. Purtroppo c’era un pubblico scarso rispetto all’importanza del personaggio. Abbiamo inoltre visitato il Padiglione dei Rom, organizzato dall’UNESCO, fatto molto importante, perché tematizza i modi in cui si possono affrontare le questioni della contemporaneità. Questa è la parte che mi ha colpito di più.  



Una Szeemann, artista, Ascona

Trovo che sia una bella Biennale, interessante ma sento la mancanza della passione. E se parliamo di “highlights” per me il padiglione svizzero con Thomas Hirschhorn è assolutamente tra i migliori perché c’é di tutto dentro, ha una forza incredibile. Anche adesso siamo nel padiglione austriaco di Markus Schinwald, che mi è sempre piaciuto, e sono di nuovo contenta di vedere questo bel lavoro. Tra i lavori nella mostra curata da Bice mi sono piaciute molto le foto di David Goldblatt; eccezionale!



Marco Meneguzzo, critico d’arte e curatore, Milano

Il fatto che ci siano tanti Paesi in più dell'ultima volta è un segno che effettivamente l’arte contemporanea è diventata un sistema per rientrare nel consenso internazionale. Ci troviamo qui nel padiglione dell’Asia Centrale e tra artisti che non sappiamo nemmeno dove trovare sulla carta geografica, però hanno un linguaggio che è molto simile, forse un po’ più ingenuo di quello che vediamo a Palazzo Grassi, per esempio. Questo significa però che c'è una specie di “koiné”, una specie di dialetto che coinvolge un po’ tutti. Questo dialetto non crea differenze ma crea omologazione, si rischia l'appiattimento su modelli che in verità sono egemoni.
Faccio sempre l’esempio del padiglione dell’Asia Centrale: in realtà tutti vorrebbero essere nel palazzo accanto, che è Palazzo Grassi. E allora in qualche modo costruiscono le loro opere secondo quel modello. Ma questo non è un problema della Biennale è un problema del mondo, una conseguenza della globalizzazione.  



A constructed world - Jacqueline Riva, artista australiana, Parigi

Quest’anno c’è davvero molto da vedere, anzi quasi troppo, davvero, ma siamo abituati a questo e quindi si entra in un padiglione, poi si gira e si riconosce qualcosa molto velocemente. Non ci sono molte situazioni in cui vorrei rimanere nello spazio più a lungo, magari perché lo spazio non è molto accogliente. Questo è forse un aspetto che si è perso in questa Biennale. Poi naturalmente ci sono cose fantastiche da vedere: il padiglione polacco, il padiglione tedesco con riferimenti storici molto interessanti: a Joseph Beuys o Fluxus.
Penso che sia strano il fatto che per alcuni anni le fiere d’arte hanno cercato di essere come biennali e ora, invece, è la Biennale che tenta ad essere come una fiera d’arte. Una conversione davvero buffa.  



Patrick Gosatti, curatore, Locarno e Ginevra

La mia impressione generale per quanto riguarda la Biennale è positiva. ILLUMInations è abbastanza interessante anche se un po’ lineare e piattina. Per ora non ho ancora visto il Padiglione Internazionale, qui nei Giardini, però l’Arsenale mi è piaciuto.
Per quanto riguarda i padiglioni, ci sono come sempre degli “highlights” e poi invece i padiglioni “di passaggio”. Tra i primi ci sono l’Austria e l’Inghilterra. Poi trovo veramente impressionante la Gran Bretagna, non si riconosce più il padiglione.  



Dorothea Strauss, direttrice e curatrice del “Haus Konstruktiv” a Zurigo

In questo momento ci troviamo davanti al padiglione svizzero, rappresentato da Thomas Hirschhorn che mi piace tantissimo. Un altro padiglione molto interessante è quello francese con Christian Boltanski.
Ma anche il lavoro video dell’artista finnico Vesa-Pekka Rannikko mi è piaciuto molto. Il padiglione tedesco è molto interessante nonostante la difficoltà di fare ora una mostra con Christoph Schlingensief, ma penso che si tratti di un’occasione unica per capire il suo lavoro.



Sophie Usunier, artista francese, Milano

Sono stata molto sorpresa da Boltanski, perché mi aspettavo qualcosa di diverso, una sorta di déjà vu, invece mi è piaciuta molto la sua installazione, piena di senso dell'umorismo. Poi mi è piaciuto molto il lavoro di Han Hoogerbrugge: la sua animazione nel Padiglione Danimarca. Thomas Hirschhorn, Padiglione Svizzero, è molto forte! Ha vinto lui per il suo impegno politico.  



Pier Paolo Coro, artista, San Marino

Io spero che sia l’ultima volta che il Padiglione Italia viene affidato alla politica. Deve finire questa cosa. Per me il padiglione più bello è quello dei danesi, sono vincenti anche quest'anno. Hanno fatto un lavoro che parla di pluralità dell’apprendimento dell’arte da diverse prospettive nel mondo e questo è molto interessante. È veramente l’unica cosa illuminante di questa Biennale.
È molto bello anche il padiglione spagnolo perché si può dire che per questi giorni sia il padiglione italiano in esilio. Poi c’é un'inizio fortissimo all'Arsenale con il lavoro di Roman Ondak che è straordinario, ma poi poco a poco tutto sciama nel nulla.



Wawrzyniec Tokarski, artista polacco, Berlino

Di solito percepisco la Biennale come se fosse il concorso della canzone Eurovision, che per me è molto politico e dove le canzoni sono soltanto un pretesto. In passato, vedere un artista come Liam Gillick rappresentare la Germania era una cosa straordinaria, ma oggi sembra che sia diventata una cosa normale.  



Stefan Banz, artista, Cully

Sono molto stupito del lavoro di Thomas Hirschhorn nel Padiglione Svizzera. Per me è sicuramente uno degli “highlights” della Biennale e devo dire che non sembra per niente un contributo svizzero. Questa installazione ha un contenuto molto forte ed è ugualmente forte visualmente, davvero interessante, anzi più che interessante direi che è toccante. Mi piace molto anche il padiglione austriaco con Markus Schinwald, una presenza molto tranquilla, calma, un lavoro molto ben fatto e pieno di riflessioni, un lavoro concettuale. Nella mostra Illuminations, invece, mi piace particolarmente il lavoro di Luigi Ghirri: fotografie piccole ma molto belle.  



Cora von Zezschwitz, artista e designer canadese, Parigi

Sono arrivata stamattina e ho molto apprezzato il lavoro di Melanie Smith nel padiglione messicano, perché I suoi objets de curiositè inglobano lo spazio e con ciò mostrano il modo in cui lavora l’artista. Si vede quali oggetti la ispirano per creare dei meta oggetti con le cose che ci circondano. Penso che sia fatto davvero bene e che si tratti di un modo interessante per mostrare la contemporaneità.



Giancarlo Norese, artista, Novi Ligure

La mia impressione è che mi perdo sempre qualcosa, quando vado alla Biennale.



A constructed world - Geoff Lowe, artista australiano, Parigi

Penso che sia la peggiore delle Biennali che abbia mai visto, in parte perché non ci si riesce a concentrare poiché tutto è troppo ed è quindi travolgente, molto duro da seguire con questa marea di eventi in giro, ma anche molto interessante, perché è come se l’arte fosse deregolata. Così sembra che ci siano più progetti collaterali che progetti ufficiali ed è molto difficile considerare tutto. In un certo senso questo lo rende anche interessante.
Probabilmente la parte più disturbante è il Padiglione Italiano, una cosa assolutamente da pazzi. Due anni fa sembrava già pessimo, ma quest’anno è davvero impronunciabile, ti lascia bocca aperta. Per noi è impossibile capire perché qualcuno come Dario Fo, Bernardo Bertolucci o altre persone di questo livello abbiano potuto partecipare al gioco.
Sembra che tradizionalmente la Biennale si occupi di cose poco note o che almeno tenti di lavorare con il nuovo, ma ciò che si fa in questa mostra è quello che già si conosce, è una massa indistinta che travolge tutto. È una sorta di passione per l’ignoranza, una forma di distruzione.



Barbara Fässler e Zane Oborenko


Barbara Fässler, artista zurighese, formatasi alla Villa Arson a Nizza, opera prevalentemente con i linguaggi della fotografia, del video e dell'installazione. Dagli anni '90 cura mostre per varie instituzioni (ProjektRaum a Zurigo, Istituto Svizzero a Roma, Belvedere Onlus a Milano). Scrive regolarmente per la rivista d'arte contemporanea "Studija" di Riga e insegna 'Arti visive' al liceo della Scuola Svizzera di Milano.

Zane Oborenko è laureata all'Accademia di Belle Arti di Brera, dal 2009 collabora con la rivista d'arte contemporanea "Studija" di Riga. Attualmente sta conseguendo un master in cinema d'animazione a Tallinn.




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