Attraversare le contingenze allargando le prospettive

07/03/2014
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Che cosa è andato storto?

di Lorenzo Baldi



Gina Pane, Azione Sentimentale, 1973




Cattelan, L.O.V.E., 2010. Foto di Zeno Zotti




Marcel Duchamp, Scolabottiglie, 1914-1964. Ferro galvanizzato, 59 x 37 cm




Dirk Reinhartz, Richard Serra - Sculptures Afangar Island, 1991




Anais Nin




Un fiume carsico attraversa il secolo scorso: sgorga nelle caverne della filosofia tedesca, affiora in larghe pozze con la produzione e la biografia delle avanguardie, si riversa poi in superficie all'alba del 21° secolo.

Il sessantotto è una risorgiva, un luogo di affioramento: non quello politico, che è un pezzo di guerra fredda, il sessantotto della musica, della critica dei ruoli sessuali, della fascinazione orientale, degli esiti ambientalisti.
Il sessantotto della contaminazione tra alta e bassa cultura, delle riletture semiotiche e psic(o)analitiche. Il sessantotto, anche, della mostra di Berna.
Ora che le acque ipogee sono quasi del tutto riemerse, vediamo scomparire all'orizzonte il trascendente, il soggetto identificarsi al corpo e il bene al ben-essere, la struttura sostituire la natura, come il genere il sesso.
Nel corso di un quarto di secolo una nuova ideologia ha creato i presupposti per sostituire millenni di inculturazione greco-cristiana.
Il sessantotto ha inseguito utopie, creato nuovi ruoli e linguaggi, travolto barriere, ma subito ha visto i suoi temi stravolti in una torsione invincibile, operata dai dispositivi della tecnica e della comunicazione.

Mentre l'occidente è pervaso da un senso di colpa che ne rende vana la forza e il pensiero più debole, tra gli anni sessanta e i settanta comincia a venir meno l'etica pubblica.
Ne prende il posto la coscienza individuale, limitata soltanto dal non recar danno altrui: Nanà non dà più scandalo (ma, forse, a Parigi, tra poco, non potrà esercitare).
Nel sessantotto, cultura di massa e avanguardia fanno cortocircuito: da desiderio, l'aspirazione di un'identità non accademica tra vita e arte tenta di trasformarsi in prassi. Sembra il trionfo dell'avanguardia, l'uscita da una prigione elitaria: invece, nel corso di pochi anni, si congela in un paradigma, crea istituzioni e, acquistando valore patrimoniale, negozia aiuti di stato.
Alla fine, mentre Wall Street si fa un baffo di Occupy, Piazza Affari colloca a listino il dito alzato di Maurizio Cattelan.
Nel passaggio trionfa il banale: la body art si fa piercing, tatuaggio. Henry e Anaïs ci traghettano da Liala ad Erika Leonard. Mentre Arthur scolora nello sposatissimo Elton, Bruce Chatwin va troppo spesso a Sharm e Jules, con Jim e Catherine, si iscrivono al Club Privée.
Fa molto sessantotto, ma al rovescio, che talvolta il movimento inverta direzione: dalle stalle alle stelle, il sistema dell'arte, della musica o del vestire spesso raccolgono, amplificano e commercializzano ciò che nasce per strada.
Vietando divieti ci siamo trovati rinchiusi in un conformismo peggiore: la dittatura della coscienza lascia un vuoto, riempito da un corpus sempre crescente di regole minuziose.
La trasgressione o è nella norma o, fuori di essa, è reato; ogni zona grigia tende a scomparire e, immemore di Brassens e del gorilla, la legalità sostituisce ogni responsabilità. Chiesto l'impossibile, senza ottenerlo, resta il disincanto alla base di un non-rapporto con la realtà.

Tornare dunque al sessantotto, ma per scoprire che cosa è andato storto.
Interpretare Duchamp come la messa in scena della volontà di potenza che impone, per convenzione, l'orinatoio alle piazze (come fontana) e ai musei (come opera d'arte): fondando così, fuori dal fondamento, l'industria autoreferenziale dell'arte.
Leggere la materia di Beuys e i cavalli di Kounellis come resistenza della realtà al linguaggio che la ri-vela: esposizione del noumeno, inconoscibile forse, ma, almeno, vivo. Osservare le lastre di Serra come obelischi pre-cristiani ai quali si aggrappa un senso non ancora andato del tutto perduto.
Pensare l'arte concettuale come un omaggio alla spaventosa bellezza della ragione umana: che ci ha portato fin qui.

Lorenzo Baldi


Questo testo è parte del dibattito "Voglia di '68?" avviato da Ermanno Cristini sulle pagine di UnDo.Net, a cui stanno contribuendo artisti e curatori...

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Lorenzo Baldi, a 62 anni, è ancora un dilettante, in senso strettamente etimologico. Dopo aver rischiato una carriera nel mondo dell’arte, organizzando qualche mostra e scrivendo su qualche catalogo o rivista, to make a living si è dedicato alla comunicazione d’impresa. Così si ri-crea, oltre che con una kawasaki verde ed una Nikon, realizzando video per amici artisti (recentemente la mostra Ascesa per Ascesi di Franco Marrocco). Senza aver perso del tutto, con gli anni, il vizio di parlar d’arte fino alle ore piccole.