Attraversare le contingenze allargando le prospettive

16/03/2014
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Da luce a luce

L'italiano che ha portato l'acqua alta a Londra assieme alle ceneri dell'Etna. Renato D'Agostin e l'analogico ai tempi del digitale.



Renato D'Agostin, Paris, 2005


Renato D'Agostin, Venezia dalla serie The Beautiful Cliché, esposta per la prima volta nel 2011


Renato D'Agostin, Venezia dalla serie The Beautiful Cliché, esposta per la prima volta nel 2011


Renato D'Agostin, Etna, 2012


Renato D'Agostin carica la sua macchina fotografica, Madrid, 2014. Foto di Claudio Composti


Di Matilde Cerruti Quara

Alla seconda edizione di Art14, giovanissima e già imperdibile art fair che si svolge dall'anno scorso a Olympia Grand a Londra, la rappresentanza nazionale non mancava. Tra le 180 gallerie presenti da 40 Paesi diversi, ben 8 erano italiane.
Ma il nostro essere popolo di artisti e di trasmigratori non è certo una novità. Il talento italiano trova ampio consenso nel mondo dell'arte contemporanea, anche se spesso viene riconosciuto prima "fuorisede": dalla scultura alla pittura e alle installazioni, dal cinema alla fotografia.

Ed è proprio nel tumulto degli apparecchi digitali affollatisi all'opening di Art14 a fine febbraio (hashtag obbligatori: #art14 #art14london #art14openingnight, eccetera), che un incontro fortuito, e fortunato, ha fatto sì che il mio focus personale si posasse su mc2gallery, la galleria milanese di Claudio Composti che, dal 2009, cura il talento fotografico di Renato D'Agostin.

Classe 1983, la passione per il viaggio e la necessità di cogliere le "situazioni" intorno a sé.
E poi la scelta dell'analogico, l'amore per il bianco e nero, l'armonia degli spazi vuoti nelle inquadrature e la delicatezza delle tecniche di una volta.
A conoscere il trentenne veneto che sta conquistando grande attenzione in America con il suo enlarger e continua a ritoccare le sue stampe fotografiche a mano, sembra che l'analogico al tempo del digitale abbia davanti a sé ancora infinite possibilità di esplorazione.

Prospettiva interessante questa, alla luce - o meglio, della luce - di un mondo dove, con un filo di (auto)ironia, chiunque possieda un i-Phone può sentirsi il Robert Capa delle proprie battaglie quotidiane.
Oltre al fenomeno social network, la percezione generale è di una crescente abitudine a considerare la fotografia contemporanea espressione prevalentemente digitale e ipersatura di colori, paragonabile ad un'esplosione di pixel piuttosto che di pura luce. In tutto questo, non fraintendetemi, non vi è nulla di male.
E' la naturale evoluzione delle cose, del mezzo tecnologico, spesso con risultati di altissima qualità. Ma è davvero tramontata l'era dell'analogico? Dal lavoro - e dal successo - di Renato D'Agostin, sembrerebbe che gli appassionati del genere possano tirare un sospiro di sollievo. Nella stessa concezione del fotografo, la camera oscura non è che una sorta di prosieguo della luce impressa su pellicola, un luogo di sospensione dove si transita da luce a luce.
Molto poetica l'immagine che ne deriva, quella di uno scultore della luce stessa.

Ad Art14, D'Agostin ha portato una laguna bellissima, sdoganata dai cliché dei turisti in gondola.
Proponendo la sua versione, o meglio, visione di Venezia (dalla serie intitolata appunto The Beautiful Cliché), il risultato su pellicola è di una città surreale, sfuggente e onirica, quello che in verità Venezia è e sa essere per chi la conosce a fondo.
A qualche spanna di distanza, i turisti fotografati in fila indiana nel corso di un'arrampicata sul vulcano Etna (Tourists walking on volcano Etna, 2012), sembravano metaforicamente aprire la fila all'omonima personale dell'artista, inaugurata a Madrid a qualche giorno di distanza dalla fine di Art14, e tutt'ora in corso presso la Galeria Mondo.
La serie Etna include una serie di fotografie scattate nel 2012, già esposte a Milano e pubblicate nel quinto libro dell'artista. Infine, a Parigi correva l'anno 2005. Fotografia, questa, che si scopre essere tanto efficace a livello personale quanto allo sguardo esterno dello spettatore. Pare ritrarre una figura svuotata dalla pesantezza del presente, che trova ragion d'essere nel divenire un'ombra sfuggente e sfumata, in virtù della messa a fuoco del passante metallico in primo piano.
Tuttavia, oltre la sua apparente atemporalità, Paris si rivela punto di partenza per la linea del tempo della pratica artistica di D'Agostin, che scattò questa foto ancora ventiduenne e, riguardandola nel suo enlarger capì che in quell'ombra, in quel tempo senza tempo, risiedevano l'inizio e la fine, il percorso da seguire e il punto d'arrivo del suo lavoro.

L'arte del bianco e nero e l'uso proprio dell'analogico, rimangono indiscutibilmente uno dei passaggi chiave per l'esplorazione della pratica fotografica, anche nell'ampiezza delle sue sfaccettature attuali.
Parallele al digitale, dove ogni cosa è illuminata dalla luce dello schermo e l'immagine si sviluppa lontano dall'isolamento della camera oscura.
Così procedono le diverse esplorazioni di sé prescelte da fotografi come D'Agostin, che fanno del buio della camera oscura e dell'assenza di colore lo spunto per la presenza di qualcos'altro, lasciando spazio - negli spazi creati - ad altre sensazioni.

Immagini cortesia di Renato D'Agostin

Matilde Cerruti Quara, classe 1991, dopo essersi laureata all'Università Bocconi di Milano sta attualmente seguendo un MLitt (Magister Litterarum) in Arte Moderna e Contemporanea presso Christie's Education, a Londra. Durante la 55esima Biennale di Venezia (2013), ha lavorato come assistente per il duo curatoriale Francesco Urbano Ragazzi nell'ambito del Padiglione Internet di Miltos Manetas. In parallelo ai suoi articoli per UnDo.Net, contribuisce come London Editor per The Collector Tribune. Da sempre legata all'arte, e alle forme di espressione creativa, ha lavorato per alcuni mesi in una delle maggiori compagnie d'opera canadesi a Toronto (Opera Atelier, 2010), aiutando a realizzare le campagne di marketing per la stagione 2011/2012. Nei prossimi anni, punta ad affermare la sua pratica curatoriale, insieme al suo lavoro di esplorazione personale nel campo della fotografia.

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