Di Matilde Cerruti Quara
Alla seconda edizione di
Art14, giovanissima e già imperdibile art fair che si svolge dall'anno scorso a Olympia Grand a Londra, la rappresentanza nazionale non mancava. Tra le 180 gallerie
presenti da 40 Paesi diversi, ben 8 erano italiane.
Ma il nostro essere popolo di artisti e di trasmigratori non è certo una novità. Il talento italiano trova ampio consenso nel
mondo dell'arte contemporanea, anche se spesso viene riconosciuto prima "fuorisede": dalla
scultura alla pittura e alle installazioni, dal cinema alla fotografia.
Ed è proprio nel tumulto degli apparecchi digitali affollatisi all'opening di Art14 a fine
febbraio (hashtag obbligatori: #art14 #art14london #art14openingnight, eccetera), che un
incontro fortuito, e fortunato, ha fatto sì che il mio focus personale si posasse su mc2gallery, la
galleria milanese di Claudio Composti che, dal 2009, cura il talento fotografico di Renato
D'Agostin.
Classe 1983, la passione per il viaggio e la necessità di cogliere le "situazioni" intorno a sé.
E poi la scelta dell'analogico, l'amore per il bianco e nero, l'armonia degli spazi vuoti nelle
inquadrature e la delicatezza delle tecniche di una volta.
A conoscere il trentenne veneto che
sta conquistando grande attenzione in America con il suo enlarger e continua a ritoccare le sue stampe fotografiche
a mano, sembra che l'analogico al tempo del digitale abbia davanti a sé ancora infinite
possibilità di esplorazione.
Prospettiva interessante questa, alla luce - o meglio, della luce - di un mondo dove, con un filo
di (auto)ironia, chiunque possieda un i-Phone può sentirsi il Robert Capa delle proprie
battaglie quotidiane.
Oltre al fenomeno social network, la percezione generale è di una
crescente abitudine a considerare la fotografia contemporanea espressione prevalentemente
digitale e ipersatura di colori, paragonabile ad un'esplosione di pixel piuttosto che di pura
luce. In tutto questo, non fraintendetemi, non vi è nulla di male.
E' la naturale evoluzione delle
cose, del mezzo tecnologico, spesso con risultati di altissima qualità. Ma è davvero tramontata
l'era dell'analogico?
Dal lavoro - e dal successo - di Renato D'Agostin, sembrerebbe che gli
appassionati del genere possano tirare un sospiro di sollievo. Nella stessa concezione del
fotografo, la camera oscura non è che una sorta di prosieguo della luce impressa su pellicola,
un luogo di sospensione dove si transita da luce a luce.
Molto poetica l'immagine che ne
deriva, quella di uno scultore della luce stessa.
Ad Art14, D'Agostin ha portato una laguna bellissima, sdoganata dai cliché dei turisti in
gondola.
Proponendo la sua versione, o meglio, visione di Venezia (dalla serie intitolata
appunto The Beautiful Cliché), il risultato su pellicola è di una città surreale, sfuggente e
onirica, quello che in verità Venezia è e sa essere per chi la conosce a fondo.
A qualche
spanna di distanza, i turisti fotografati in fila indiana nel corso di un'arrampicata sul vulcano
Etna (Tourists walking on volcano Etna, 2012), sembravano metaforicamente aprire la fila
all'omonima personale dell'artista, inaugurata a Madrid a qualche giorno di distanza dalla fine
di Art14, e tutt'ora in corso presso la Galeria Mondo.
La serie Etna include una serie di
fotografie scattate nel 2012, già esposte a Milano e pubblicate nel quinto libro dell'artista.
Infine, a Parigi correva l'anno 2005. Fotografia, questa, che si scopre essere tanto efficace a
livello personale quanto allo sguardo esterno dello spettatore. Pare ritrarre una figura
svuotata dalla pesantezza del presente, che trova ragion d'essere nel divenire un'ombra
sfuggente e sfumata, in virtù della messa a fuoco del passante metallico in primo piano.
Tuttavia, oltre la sua apparente atemporalità, Paris si rivela punto di partenza per la linea del
tempo della pratica artistica di D'Agostin, che scattò questa foto ancora ventiduenne e, riguardandola nel suo enlarger capì che in quell'ombra, in quel tempo senza tempo,
risiedevano l'inizio e la fine, il percorso da seguire e il punto d'arrivo del suo lavoro.
L'arte del bianco e nero e l'uso proprio dell'analogico, rimangono indiscutibilmente uno dei
passaggi chiave per l'esplorazione della pratica fotografica, anche nell'ampiezza delle sue
sfaccettature attuali.
Parallele al digitale, dove ogni cosa è illuminata dalla luce dello schermo
e l'immagine si sviluppa lontano dall'isolamento della camera oscura.
Così procedono le
diverse esplorazioni di sé prescelte da fotografi come D'Agostin, che fanno del buio della
camera oscura e dell'assenza di colore lo spunto per la presenza di qualcos'altro, lasciando
spazio - negli spazi creati - ad altre sensazioni.
Immagini cortesia di Renato D'Agostin
Matilde Cerruti Quara, classe 1991, dopo essersi laureata all'Università Bocconi di
Milano sta attualmente seguendo un MLitt (Magister Litterarum) in Arte Moderna e
Contemporanea presso Christie's Education, a Londra. Durante la 55esima Biennale di Venezia (2013), ha lavorato come assistente per il duo curatoriale Francesco Urbano
Ragazzi nell'ambito del Padiglione Internet di Miltos Manetas. In parallelo ai suoi
articoli per UnDo.Net, contribuisce come London Editor per The Collector Tribune. Da
sempre legata all'arte, e alle forme di espressione creativa, ha lavorato per alcuni
mesi in una delle maggiori compagnie d'opera canadesi a Toronto (Opera Atelier,
2010), aiutando a realizzare le campagne di marketing per la stagione 2011/2012. Nei
prossimi anni, punta ad affermare la sua pratica curatoriale, insieme al suo lavoro
di esplorazione personale nel campo della fotografia.
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