Where are we going, baby? Una galleria di ritratti che mette a confronto due diverse entita' femminili e due differenti approcci alla fotografia. Le sue immagini, riflettendo sulle possibilita' di slittamento percettivo che la lettura della quotidianita' produce, invitano a riconsiderare il rapporto realta' finzione.
Where are we going, baby?
A cura di Emanuela Nobile Mino
Concepita come una galleria di ritratti che mette a confronto due diverse entita' femminili e due differenti approcci alla fotografia, la mostra presenta la recente serie di lavori fotografici dell'artista romana EPVS, volti a suggerire un ribaltamento dei tradizionali canoni della visione. Le sue immagini, riflettendo sulle sorprendenti possibilita' di slittamento percettivo che la lettura della realta' quotidiana sempre piu' esso produce, invitano a riconsiderare il rapporto realta' finzione che, oggi piu' che mai, sembra affrancarsi attraverso fenomeni di interscambio tra dato reale e dato fittizio ed influire in modo preponderante sulla ridefinizione del concetto di identita'.
Se gli anni '90 hanno visto l'arte contemporanea ampiamente impegnata a fare i conti con questioni legate all'ambiguo rapporto realta' finzione, e gli artisti operare in una zona intermedia, in cui espedienti tecnici e supporti tecnologici entravano in modo piu' o meno visibile nella rappresentazione costituendo gli strumenti necessari alla creazione di modelli iperbolici, di ibridazioni fisiche, sessuali ed estetiche (Orlan, Matthew Barney, Yasumasa Morimura, Cindy Sherman, Inez van Lamsweede), a meta' strada tra il disumano e l'iperrealistico (Chris Cunningum, i Chapmann, Paul Mac Carthy, ecc.), oggi l'arte, pur continuando a riflettere sulla connessione sempre piu' inestricabile tra vero e falso, sembra non sentire piu' la necessita' di ricorrere a forzature formali ne' di esprimersi attraverso visioni artificiose ed improbabili.
La direzione attuale delle ricerche che scelgono di avventurarsi in questo territorio appare, infatti, piuttosto orientata ad avvicinare la realta' in modo diretto e sfrontato, ad assumerne i linguaggi per raccontare l'evoluzione delle sue ritualita' attraverso l'imprevedibile galleria delle sue icone, dei suoi miti, delle sue ossessioni (Jenny Saville, Damien Hirst, ecc.). Ma non tanto per riferire di inquietanti presagi sulle possibili corruzioni dell'identit?quanto per far luce, in modo lucido e disincantato, sull'effettivo stato delle cose.
La quotidianita' appare quindi il piu' fornito dispensatore di materiali iconografici e la piu' produttiva fucina di fenomenologie legate all'essere umano e al suo rapporto con le liturgie connesse all'immagine. La strada, la televisione, la stampa sono i testimoni piu' attendibili dei fenomeni di trasfigurazione dell'immagine e dell'alterazione della percezione visiva, la realta' stessa che sembra spacciare gli esempi piu' variegati e conturbanti di conversione di immagini reali in icone fittizie e viceversa. Basti pensare alla tecnologia, che si affatica ad umanizzare entita' virtuali, mettendo a punto creature quanto piu' verosimili e capaci di emulare movimenti ed espressioni talmente conformi a quelle umane, da apparire, in alcuni casi, potenzialmente sostitutive. O alla chirurgia e alle cure estetiche e al sofisticatissimo lavoro di ricerca che, piu' che finalizzato alla conquista di un dominio sui processi di invecchiamento, sembra intenzionato a competere con l'alta cibernetica e delineare esemplari estetici di stampo transgenico attraverso innesti di elementi artificiali, sottrazione di quelli naturali e paresi delle muscolature.
Ed e' proprio partendo dall'osservazione delle ambiguita' congenite della realta' attuale e simulando alcuni suoi processi "degeneranti" (di umanizzazione da un lato e di disumanizzazione dall'altro) che EPVS riapre oggi il dibattito tra esistenza e spettacolo, tra realta' e finzione, conferendo a quest'ultima un compito significativo nella presa di conoscenza del reale. Facendo proprie le nuove leggi dell'immagine, l'artista assume in questo suo ultimo progetto fotografico il ruolo di deus ex machina che, con garbo ed ironia, mette in scena la complessa questione dell'identita' attraverso una rappresentazione orchestrata su un intrigante gioco d'inversione di ruoli e peculiarita' dei soggetti femminili immortalati (una donna reale, Lexi; una "pupa" di plastica, Madame A.).
Il lavoro si sviluppa quindi in due diversi momenti, ognuno dei quali appare studiato per favorire un capovolgimento dei consueti canoni percettivi e per creare nello spettatore un duplice effetto di disorientamento. Se il ciclo di lavori dedicati alla biondissima "doll" (due immagini di grandi dimensioni e due trittici di scatti sequenziali) ci appare stilisticamente concepito come serie di pics rubati illecitamente, in cui la parziale messa a fuoco dell'immagine non fa che ribadire il principio dell'"illegalita' dello scatto, avvallare l'idea di figura in movimento (il che giustifica la spontaneita' e l'involontarieta' delle sue pose), e conferire al giocattolo sembianze umane e proporzioni e vezzi di una carnosissima fanciulla; il lavoro che vede protagonista la donna reale presenta invece soluzioni formali tese a suggellare lo stato di segregazione e di limitata mobilita' del soggetto ritratto. L'effigie della donna, reiterata con inflessioni diverse sia sulle facciate del parallelepipedo trasparente che sulle aggettanti scatole a parete (anch'esse in plexiglass), appare come un segno grafico etereo, irreale, sospeso e destinato a restare intrappolato sottovuoto nella dimensione paralizzata e circoscritta del suo stesso contenitore. Il raro esemplare di "donna al naturale" i cui sintomi di genuinita' dello guardo ammiccante, gli atteggiamenti giocosi) sono preservati dalla confezione sigillata, ci appare come un campione di realta' che sopravvive esclusivamente nel suo riflesso bidimensionale, inafferrabile. Un simulacro di umanita' costretto negli sterili canoni di un'estetica sintetica, uniformante, artificiosa, di bambola.
Esaltando da un lato l'attendibile veridicita' del falso (in Madame A.) - attraverso l'adozione di tinte calde e tagli fotografici dinamici - ed evidenziando, dall'altro, la capziosa artificiosita' del reale (in Lexi in the box) - per mezzo di inquadrature fisse e pose da photo call - l'artista arriva a costruire un immaginario nuovo e spiazzante, giocato sullo scarto tra due dimensioni di segno opposto. L'idea complessiva del progetto prevede non solo un confronto tra le due divergenti realta' ma una sorta di compenetrazione dell'una nell'altra, attraverso un vicendevole scambio di peculiarita' formali ed estetiche, capace di tramutare la visione in un miraggio.
L'intenzione di provocare un cortocircuito tra realta' e finzione era gia' evidente nella serie di lavori fotografici realizzati da EPVS in precedenza e che vedevano eletto a protagonista assoluto dei suoi set uno dei simboli della cultura materiale per eccellenza, la Barbie Mattel. In quel caso, pero' la catalogazione di diversi esemplari di "bellezze di plastica", dai canoni estetici sovrascrivibili a quelli delle adolescenti di ultima generazione, appariva piu' decisamente finalizzata a creare uno slittamento visivo all'interno dell'opera stessa e a suggerire un nuovo modo di rappresentare il sentire e l'apparire degli oggetti, delle cose.
In questa ultima serie di lavori, EPVS sembra ancor meno intenzionata ad intervenire direttamente sull'idea di simbolo e sulle faziose letture cui esso facilmente si presta, apparendo semmai propensa ad approfondire, in modo puntuale e con l'effervescenza che contraddistingue la sua cifra espressiva, i fenomeni generati dall'intreccio mediatico delle simbologie. E, ragionando sui curiosi effetti che la sempre piu' frequente promiscuita' tra originale e copia, modello e imitazione, prototipo e riproduzione e' in grado di provocare sulla percezione dell'immagine, l'artista giunge ad attribuire al suo lavoro nuovi paradigmi cognitivi atti, da un lato, a scardinare radicalmente i tradizionali schemi della visione, dall'altro a costringere lo spettatore ad una presa di coscienza sul bisogno urgente di illusione che, in ognuno di noi, l'esperienza della realta' accresce, giorno dopo giorno. (Emanuela Nobile Mino)
ARABIA SAUDITA - La polizia religiosa ha lanciato una campagna contro le bambole Barbie, simbolo della "decadenza occidentale" e una minaccia per la morale islamica. Barbie e' vietata in Arabia Saudita, ma si trova al mercato nero per 100 rial (24 euro). L'agenzia di stampa Ap riferisce che le Barbie vengono sequestrate e i negozianti multati. In molti Paesi arabi sono gia' state prodotte Barbie in versione "ortodossa"". (Ansa 2003)
"Barbie is not just a children's doll; it's an adult cult and aesthetic obsession. Examples include Pamela Anderson Lee; the psycho woman who has spent her life savings paying for plastic surgery that will make her look just like a human Barbie (as seen on 60 Minutes and various talk shows); and endless fashion magazine spreads featuring Barbie look-alikes".
Immagine: Autoritratto
Inaugurazione: 23 novembre ore 19.00
ScZeroDue
Piazza de' Ricci 127/128 - Roma
Orari: lun./sab. 15,30-19,30. La mattina su appuntamento