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FMR (2006-2008) Anno 24 Numero 15 ottobre-novembre 2006



Tra Picasso e Velazquez

Francisco Calvo Serraller





MAPPA MUNDI
La vita dolce di Chang’an

“Una libellula a volo si posa / sullo spillone di giada”: il Canto di primavera di Liu Yuxi è l’introduzione migliore al clima
di una mostra cinese fatta di trasparenze dell’occhio e del cuore. Un’arte impastata di leggerezza e splendore, un’idea nitida di cosa la bellezza possa essere.

Cultura Tang a Napoli
di Lucia Caterina
Fotografie
di Luciano Pedicini


PRESENZE
Tutti i libri del mondo

Grande fotografa della Scuola di Düsseldorf, Candida Höfer per anni ha scrutato con occhio solo in apparenza freddo e distaccato la biblioteca come luogo dell’umano per eccellenza, in cui la dimora dello spirito si fa segno concreto, nella storia, di un’idea del sapere.

Le biblioteche di Candida Höfer
di Walter Guadagnini
Fotografie
di Candida Höfer


ICONOGRAPHIA
Seicento padano

Nelle brume del delta padano, lontano dalle dorate luci levantine di Venezia, il tempio della Beata Vergine del Soccorso di Rovigo, conosciuto come Rotonda, è un gioiello provinciale di straordinaria ricchezza, tra classicismo e sensuosi fumi barocchi.

Pitture alla Rotonda di Rovigo
di Franco Barbieri
Fotografie
di Paolo Terzi


OLD MASTERS
Tra Picasso e Velázquez

Padre dell’avanguardia cosmopolita e dell’International style in pittura, Pablo Picasso mai smentisce una consanguineità radicale con la tradizione spagnola da cui nasce: a cominciare dal rapporto con Velázquez, celebrato in una mostra al Prado, nel segno di una geniale intuizione della storicità dell’arte.

Picasso e l’arte spagnola
di Francisco Calvo Serraller


WUNDERKAMMER
Narciso e lo specchio

“Fabro di legnami” nel cuore del Seicento genovese, Filippo Parodi ha lasciato alla Villa Faraggiana di Albissola Marina il suo capolavoro: una fastosa specchiera dorata che, in sottile gioco concettuale e nella luce metafisica dell’oro, svolge il mito di Narciso allo specchio.

Filippo Parodi, natura e meraviglia
di Lauro Magnani
Fotografie
di Giovanni Ricci Novara


FIL ROUGE
Lo stile è il cane

Un vecchio detto popolare assicura che prima o poi il cane prende a somigliare al padrone. “Doppio” dell’uomo nella nostra idea di animale, il cane irrompe di diritto nella ritrattistica storica, luogo topico dell’identità, restituendoci una galleria di fervida curiosità.

Storie di cani e padroni
di Giorgio Celli
Fotografie
di Massimo Listri
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Basilico. Uno sguardo lento
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Pablo Picasso (1881-1973), studi dalla serie Las Meninas, eseguiti tra l’agosto e il dicembre 1957

Pablo Picasso (1881-1973),Le donne di Algeri, 1955.Olio su tela, cm 114 x 146,4. Collezione privata

Pablo Picasso (1881-1973), studi dalla serie Las Meninas, eseguiti tra l’agosto e il dicembre 1957

Nel 1899, lo stesso anno in cui Picasso compiva i 18 anni, fu celebrato con insolita pompa ufficiale il terzo centenario della nascita di Diego Velázquez. Fu l’occasione per collocare con maggior risalto i molti dipinti conservati al Museo del Prado, e si assegnò una stanza intera aLas Meninas, per esaltare il suo notevole effetto verista. E fu allora che davanti all’ingresso del Museo si eresse la statua dell’artista nel punto che occupa tuttora: era la consacrazione del pittore sivigliano come supremo maestro della Scuola Spagnola.
Senza sminuire questo pubblico omaggio, è il caso di segnalare che, come accade sovente nella patria dell’omaggiato, esso fu tributato relativamente in ritardo. Vero è che Velázquez poteva difficilmente essere conosciuto e apprezzato fuori di Spagna prima della fondazione del Museo del Prado nel 1819, perché le sue opere principali appartanevano alla famiglia reale spagnola, con le cui collezioni fu creata l’istituzione; ma si dovette anche attendere qualche decennio perché il viaggio in Spagna diventasse un’attrattiva turistica, e nel contempo venisse valorizzata in generale la fino allora quasi ignorata Scuola Spagnola. Comunque la svolta che mutò il giudizio internazionale su Velázquez avvenne nel 1865 con la visita del pittore Manet a Madrid e al Prado: da allora nessuno mise in discussione il fatto che il pittore sivigliano, era non solo il maggior rappresentante dell’arte spagnola, ma uno dei maggiori della moderna tradizione occidentale. A partire da quella data si susseguirono le monografie sull’artista spagnolo e gli elogi dei pittori contemporanei, che si ispirarono alla sua opera. E fu questa reazione internazionale a produrre con tanto ritardo l’entusiastica reazione dei suoi compatrioti.
Non si può prescindere da tutto ciò quando si affronta il tema del rapporto tra Picasso e Velázquez, per diversi motivi. In primo luogo perché Picasso, figlio di un professore di belle arti e pittore occasionale, fu allevato ed educato nel contesto di tale crescente fervore per il suo ancestrale collega; e come ho detto all’inizio, perché l’entusiasmo nazionale per Velázquez giunse all’apice quando l’ancora quasi adolescente artista in erba compiva i 18 anni.
Peraltro, benchè giovanissimo, il Picasso del 1899 risiedeva già da quattro anni nella cosmopolita Barcellona, ed era già ben introdotto nell’allora vigorosissima avanguardia locale, il che gli servì tra l’altro per ribellarsi all’autorità paterna e ai suoi gusti artistici conservatori, e per decidere il suo futuro orizzonte come artista innovatore. In tal senso non si può ignorare che all’interno del circolo modernista catalano, proprio in quell’ultimo scorcio dell’Ottocento, si era verificata la rivalutazione di un altro grande artista della tradizione spagnola ancora poco conosciuto e stimato, El Greco, che divenne il simbolo del rinnovamento artistico contemporaneo, il quale contrapponeva già al naturalismo “accademico” di Velázquez il diverso e relativamente più stimolante stile spiritualista e fantasiosamente arbitrario del Greco.
È dunque comprensibile che il giovane Picasso mutasse a favore del cretese il suo atteggiamento di ammirazione fino allora incondizionata per il sivigliano; e che in parte non rendesse esplicito, pittoricamente parlando, un nuovo cambiamento nella sua stima per quei due grandi maestri del passato fino a mezzo secolo più tardi, quando, nel 1957, realizzò la sua serie dedicata a Las Meninas.
A grandi linee è questa la sostanza del problema trattando del binomio Velázquez-Picasso. Tuttavia, com’era inevitabile, e come è stato notato dagli specialisti che se ne sono occupati, è evidente che almeno fin dagli Anni Venti Picasso aveva mutato parere sulla sua anteriore preferenza accordata al Greco rispetto a Velázquez, come aveva dichiarato nella famosa intervista concessa a Marius de Zayas nel 1923, senza contare che l’influenza del maestro sivigliano, come di nuovo è stato indicato da alcuni studiosi, era visibile in alcune opere fondamentali dipinte molto prima, fra le quali le stesse Demoiselles d’Avignon. Comunque, il vero momento del nuovo incontro artistico fra Velázquez e Picasso risale agli Anni Cinquanta, quando l’artista malaguegno entrava nel settimo decennio della sua esistenza.
In ogni caso, prima di analizzare il problema, non è inutile segnalare alcuni parallelismi biografici fra questi due grandi artisti. Anzitutto, nonostante i tre secoli di distanza che li separano, la nascita di entrambi in due grandi città andaluse, Siviglia e Málaga, due importanti porti commerciali cosmopoliti, perché, com’è noto, la capitale andalusa, benchè non si affacci direttamente sul mare, ha sempre disputato a Cadice il ruolo di grande porto atlantico della Spagna grazie alla navigabilità del Guadalquivir. Dunque due metropoli marittime, con tutto ciò che la cosa comporta; ma anche due città antichissime, rispettivamente capoluoghi delle zone orientale e occidentale della vasta e ricca regione spagnola. E parliamo della loro antichità non per fare della facile retorica sulla loro grande ricchezza di tesori archeologici, ma per indicarne la memoria antropologica stratificata da secoli e immensamente proficua. Dal punto di vista artistico, è vero che la tradizione sivigliana è relativamente assai superiore; in campo pittorico basta citare i nomi dello stesso Velázquez, di Zurbarán, Valdés Leal e Murillo, glorie della scuola locale insieme con tanti altri minori. In questo senso il mercato artistico sivigliano si nutrì più e meglio delle novità provenienti dall’Italia – fu una delle più evidenti vie d’accesso del caravaggismo in Spagna – ma anche di quelle che venivano dai Paesi Bassi, per non parlare del suo ruolo di irradiazione della pittura spagnola nelle Americhe e in altri paesi europei, il che spiega, per esempio, che un pittore come Murillo fosse eccezionalmente conosciuto, prima dell’Ottocento, in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi.
Ma per il resto, al margine del senso strategico di questa geopolitica dell’arte, non c’è dubbio che tra Velázquez e Picasso vi siano altri parallelismi biografici per nulla secondari, come l’uso professionale del cognome materno invece di quello paterno, il che conferma tra l’altro una tendenza matriarcale molto spagnola. In questo senso è vero che sappiamo ancora molto poco sulla vita familiare di Velázquez durante l‘infanzia e l’adolescenza a Siviglia, molto meno che su quella di Picasso, segnata da una forte presenza femminile, perché nel focolare paterno convivevano tre sorelle della madre, ed egli ebbe due sorelle (benchè la minore Conchita, morisse in tenera età).
Le nozze precoci di Velázquez con Juana, figlia di Francisco Pacheco suo maestro e mentore, misero subito termine a qualsiasi velleità del pittore, il quale peraltro si prese qualche libertà ogni volta che potè, anche se questo avvenne solo nella maturità e fuori di Spagna. Il che ci conduce a un altro punto in comune nelle biografie di entrambi: il loro soggiorno in Italia e l’impronta che lasciò sulle rispettive opere. Ai tempi di Velázquez il viaggio in Italia non era normalmente alla portata degli artisti spagnoli, ma Picasso per compierlo non volle approfittare del canale accademico ufficiale. Voglio sottolineare con questo che entrambi si recarono in Italia nella piena maturità. Sappiamo per certo che Velázquez fece in Italia due lunghi soggiorni: il primo, decisivo per la sua formazione, nel 1629, all’età di trent’anni, e il secondo vent’anni dopo, sulla cinquantina, quando era già un maestro riconosciuto. Dal canto suo Picasso compì il suo viaggio nel 1917, a 36 anni, già considerato un artista dell’avanguardia di notevole prestigio. In ogni caso, per entrambi la visita all’Italia ebbe come risultato una forte impronta classica.
Ma sono solo queste relative coincidenze biografiche a legare Picasso a Velázquez, prima che l’artista malaguegno settantaseienne realizzasse la famosa serie dedicata a Las Meninas nel 1957, in occasione del terzo centenario del grande dipinto? Anche se c’è ancora molto da dire sulle possibili analogie formali fra i quadri dipinti da entrambi, fra l’altro perché la più che provata capacità di assorbire l’arte del passato da parte di Picasso è ben lungi dall’essere definitivamente indagata, e conosciamo le sue visite al Museo del Prado dal 1895, prima del suo fervido dialogo con il capolavoro di Velázquez non ci sono prove conclusive in merito; o almeno non nella forma esplicita con cui stabilì un rapporto con altri maestri antichi. D’altra parte, fino agli Anni Cinquanta Picasso non eseguì serie incentrate sul commento artistico monografico a determinate opere di maestri storici come Courbet, Manet, Delacroix, Poussin, Ingres o naturalmente Velázquez.
Benchè, come si sa, Picasso citasse in un modo o nell’altro molte opere di maestri storici praticamente fin dagli inizi della sua carriera artistica, le cosiddette “grandi serie” degli Anni Cinquanta e dei primi Anni Sessanta sono evidentemente un’altra cosa, perché si tratta di molteplici glosse pittoriche a partire da un’opera.
Naturalmente né l’idea della serie né la sua applicazione come parafrasi di un’opera precedente erano in sé una novità nell’arte conemporanea. Il problema è dunque di capire la ragione di questo accesso quasi maniacale durante la fase finale dell’artista. Non è sorprendente che si siano avanzate interpretazioni d’ogni genere su questa estrema fissazione: che fu il risultato della sua passione per determinati maestri, per esempio, o anche che mostrava un’intenzione parodistica. La prima affermazione è banalmente ovvia, ma la seconda è assai poco convincente in generale, e più ancora trattandosi di un artista in età ormai avanzata. Di conseguenza è più logico attribuire a ragioni strettamente pittoriche queste parafrasi di quadri celebri, soprattutto se pensiamo che Picasso, ormai considerato come l’incarnazione del mito dell’artista innovatore-distruttore del Novecento, avrebbe potuto essere tentato durante il suo ultimo periodo di confrontare modernità e tradizione, mostrando i loro dialettici innesti storici, specie in un momento in cui era chiaro che egli stesso era un grande maestro della storia.
Comunque nel 1957 per cinque mesi Picasso si chiude nel suo atelier de La Californie per procedere a un esauriente commentario de Las Meninas di Velázquez. Risultato di questa fatica, durata dall’agosto al dicembre di quell’anno, è una sessntina di quadri, la maggior parte dei quali dedicati al dipinto di Velázquez, mentre il resto tratta di colombe, compagne abituali durante l’esecuzione della serie e tema ricorrente nella sua opera, con non poche connotazioni familiari, perché era l’idea ossessiva di suo padre. Perlatro Picasso aveva già manifestato cone diverse dichiarazioni a proposito de Las Meninas e di Velázquez, prima di intraprendere la serie, fino a che punto li considerasse indiscutibili pietre miliari nella storia dell’arte.
Per esempio nel 1950 aveva anticipato a Sabartés non solo il suo desiderio di lavorare a partire dal grande quadro di Velázquez, ma anche il modo in cui avrebbe voluto farlo: “La prova mi indurrebbe certamente a modificare la luce o a cambiarlo mutando posto a un personaggio.
Così, a poco a poco, dipingerei della Meninas che sembrerebbero detestabili al copista di mestiere, non più quelle che costui crederebbe di aver visto nella tela di Velázquez; però sarebbero le mie Meninas”. E questo è esattamente ciò che fece sette anni dopo, perché Picasso cambiò completamente la penombra di Velázquez in una raggiante luminosità mediterranea e continuò a mutar posto alle figure, benché per lo più centrasse la propria attenzione su quelle dello stesso Velázquez e dell’Infanta Margarita. Sulla serie, datata con precisione giorno per giorno, sono stati pubblicati interi libri e articoli monografici intesi a sviscerarne le variazioni e i possibili motivi di ciascun dipinto in rapporto al modello originale.
Qui non possiamo entrare nel merito di quei prolissi commenti, che tuttavia riguardano essenzialmente quanto aveva già accennato Picasso: la sfida alla luce del quadro di Velázquez, quella che a giudizio di tutti gli specialisti generava l’atmosfera “magica“ delle Meninas, e la ricollocazione delle figure, la cui ubicazione, dimensioni e senso avevano parimenti generato infiniti commenti critici d’ogni sorta.

Del resto, che questa esperienza picassiana a partire dal celeberrimo dipinto di Velázquez abbia avuto una lunga serie di conseguenze per l’artista malaguegno, è comprovato dalla sua opera posteriore, che praticamente si impernia su Velázquez e Rembrandt, i quali vengono sovente sovrapposti. Quindi ha senso ciò che Kahnweiler confessò a Brassai nel 1962: che la passione giovanile di Picasso per El Greco si era progressivamente trasferita durante la maturità su Velázquez, che senza discussione considerava come il miglior pittore spagnolo di tutti i tempi. In questo senso Picasso confermò l’opinione di Manet, che quasi un secolo prima delle Meninas picassiane, sostenne che i tre assi fondamentali della Scuola Spagnola erano El Greco, Velázquez e Goya, e che in successione il secondo guardò al primo e il terzo al secondo. Picasso naturalmente guardò dal canto suo a tutti e tre, benché alla fine concedesse il primato al maestro sivigliano.