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Take it easy MAGAZINE (2006-2009) Anno 3 Numero 10 marzo-maggio 2007



Un virtual banchetto

Claudia Meini

In memoria del poetronico Gianni Toti





03 redazionale + "la citazione"

04 index a cura di Gianluca Maria Sorace

05 intervista con la banda gastrica

07 parola di Geco | genesi di un mal di stomaco

08/09 Photo-Graf | Luca Righi | Soliera is like NYC

10 approfondimenti | intervista a Luca Righi

11 Amarcord & Block notes

12 Love Pics | Daniele De Battè

13 Maison Dumitru: sogni retrò | stringi Mami stringi!

14/15 video Arte | Un virtual Banchetto

16/17 Happy 10

18/19/20 Yemen un paese da vivere... di stomaco!


21/22 recensioni libri | Macchie di Inchiostro

23 racconto | wigwammo

24 R'N'R Pills | recensioni musica a cura di DNA music

25 recensioni musica | One self, one Hip Hop

26 recensioni Cinema |

27 intervista a... | Silvia De Maria | la vita vista all'altezza dello stomaco

28/29 Zodiaco in tavola

30 What's up | news dal web

31 con ricevuta di ritorno in redazione!
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Avrei dovuto dedicare questo articolo a video & cibo ma, mentre stavo raccogliendo materiale per scrivere il mio nuovo pezzo, mi è giunta la notizia della scomparsa del grande scrittore, autore, giornalista, regista e videoartista Gianni Toti (Roma, 1924). Era l’8 gennaio scorso.

Alcune culture celebrano la morte di una persona cara facendo un banchetto in suo onore, perciò ho pensato ad un “virtual-banchetto” in memoria del poeta elettronico (o, come preferiva autodefi nirsi Toti, “poetronico”), durante il quale rimarremo a stomaco vuoto ma ciberemo la nostra mente con le parole.

Gianni Toti amava le parole: scomporle, ricomporle, distruggere e creare neologismi, intrecci e scontri terminologici in un incredibile vortice semantico. Il suo modo anticonformista di creare un linguaggio musicale, irripetibile, nuovo pur utilizzando parole note, talvolta provenienti da culture differenti, mi ha sempre affascinata e qualche volta ammetto di aver tentato di imitarlo. Ho scoperto l’esistenza delle opere di Toti durante i primi anni di Università (al liceo con il programma di letteratura non si va mai oltre Montale o Saba) vedendo, ad una lezione di Storia delle Arti Elettroniche, i “videopoemetti” (Per una videopoesia, 1981) realizzati dall’artista negli anni ‘80, durante la breve stagione di sperimentazione televisiva in RAI. «Volevo fare una videopoesia – disse l’autore - cioè per la prima volta far diventare la poesia videale, farla diventare immagine». Gianni Toti iniziò in quel periodo a scoprire le potenzialità espressive offerte dal mezzo elettronico. Era già uno scrittore affermato (nel 1977 aveva pubblicato il suo secondo romanzo “Il padrone assoluto” ediz. Feltrinelli), un poeta d’avanguardia (“Chiamiamola PoeMetànoia”, 1975 e “Per il proletariato, o della poesicipazione”, 1977), un noto giornalista del quotidiano “L’Unità” e un inviato speciale in ogni parte del mondo.

Aveva partecipato alla Resistenza, conosciuto e stretto amicizia con Che Guevara e Salvador Allende, partecipato ai “cinegiornali liberi” insieme a Cesare Zavattini (1968-69). Era dunque anche un pensatore e un attivista politico, un “cosmunista” come preferiva definirsi lui stesso. Da coraggioso sperimentatore e temerario innovatore qual’è sempre stato, Toti decise di adottare il nuovo linguaggio dell’arte elettronica per continuare ad esprimere il proprio pensiero rivoluzionario. Il video gli permise di fare poesia non soltanto con le parole, ma anche con le immagini e con i suoni, avvicinandosi all’idea wagneriana di opera d’arte totale. L’autore, infatti, coniò il termine “VideoPoemOpera” per indicare la commistione e l’interazione tra poesia epica, arte elettronica, pittura, canto, recitazione, musica colta e popolare, ma anche teatro e cinema. In “Incatenata alla pellicola” (1983, 1h, “Trilogia majakovskijana”) ad esempio ricostruiva e dilatava con un accurato lavoro sulla materia fi lmica a disposizione (scritte, ingrandimenti, rallentamenti, ecc.) i due minuti superstiti del film omonimo del 1918 di Nikandr Turkin, nel quale comparivano l’artista Majakovskij e la ballerina Lili Brik.

Dalla fine degli anni Ottanta, Gianni Toti iniziò a realizzare opere video più complesse, grandi “architetture di parole” destinate non solo al piccolo schermo, ma anche alla proiezione su supporti di vaste dimensioni. Del 1988 è l’omaggio al poeta futurista sovietico Velimir Chlébnikov, intitolato “Squeezangezaúm” (il termine “squezoom”, un generatore d’effetti, si fonde con la parola “Zangesi”, opera di Chlébnikov, terminando con “zaúm”, il “linguaggio transmentale”), mentre del 1994 è l’opera in dieci lingue «sull’utopia negativa della conurbazione totale del pianeta» “Planetopolis” (126’).
Raccontare in poche righe queste opere di Gianni Toti sarebbe impossibile, non solo per la complessità delle costruzioni visive e sonore, per la densità di signifi cati ma soprattutto perché, come ha scritto Marco Maria Gazzano: «Nessun video è descrivibile, tantomeno a parole (poiché è qualcosa che si vede: “video”, “io vedo”)».

Posso soltanto invitarvi a cercare le opere di Gianni Toti nelle cine/ video-teche nazionali (per esempio al Cineclub Arsenale di Pisa). Dal 1997 al 2002 l’artista si è dedicato ad una trilogia di videopoemi (“Tupac Amauta”, “Gramsciategui, ou les poesimistes”, “La morte del trionfo della fi ne”), coprodotta dal CICV-Centre de Recherche Pierre Schaeffer (Montbéliard- Belfort, Francia) e dedicata, a partire dall’America Latina dove Toti visse e lavorò per parte della sua vita, allo «sterminio planetario di interi popoli nella cosiddetta era moderna - ancora preistorica però. E sulle idee, i sogni non più sognabili, le vitali disperazioni, i pessimismi di un pensiero che deve ri-formarsi, ri-vedere il passato, ricreare le immagini del presente in modo nuovo...» (le parole sono di Sandra Lischi, al cui testo “Visioni elettroniche” - Bianco&Nero, 2001 - si rimanda per una conoscenza più approfondita dell’Opera di Toti). Il 16 maggio 2003 il maestro poetronico venne al Dipartimento di Storia delle Arti di Pisa per incontrare gli studenti e presentare l’ultimo canto della sua trilogia, ispirato al “Trionfo della morte” di Buonamico Buffalmacco (1300-1340). Nella folla di universitari emozionati e incuriositi c’ero anch’io. Sebbene Toti fosse già anziano, la sua voce era giovane, squillante, dal tono deciso. Ascoltarlo fu un’esperienza unica. Ricordo che ci dette persino l’indirizzo del suo appartamento a Roma, perché lo andassimo a trovare muniti di idee. Quel giorno (ma continuerà a farlo con le sue opere) Toti ci ha invitati a pensare, ad osare, a lottare «contro i mostri dell’ignoranza e della morte».
Cerchiamo di non deluderlo.