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Segno Anno 31 Numero 213 maggio-giugno 2007



Dall'aria di Parigi alle illusioni della 52esima Biennale

Gabriele Perretta



Attualità internazionali d'arte contemporanea


74/77 Artisti in copertina
H.H. Lim, Buongiorno Mondo, 2007
courtesy Piomonti Arte Contemporanea, Roma
testo di Achille Bonito Oliva

3/51 Anteprima Mostre&Musei
Anteprima - news/worldart - news italy
Appuntamenti e attività nei grandi musei, istituzioni, gallerie private, spazi alternativi in Italia e all’estero a cura di Lucia Spadano e collaboratori

14/21 Speciale Biennale di Venezia
• Gli artisti invitati
• Le partecipazioni nazionali
• Le mostre collaterali
• Intervista con l’artista Angelo Filomeno a cura di Antonella Marino
Dall’aria di Parigi alle illusioni della 52a Biennale di Gabriele Perretta

52/97 Tematiche espositive, recensioni
Group Show / Antologie / Personali / Interviste
Vertigo, Apocalittici e integrati, Timer, Enzo Cucchi, Thomas Strüth, Gilberto Zorio, Mario Merz, Hermann Nitsch, Haim Steinbach, Berlinde de Bruyckere, Meschac Gaba, H.H.Lim, Luigi Mastrangelo, Vittorio Corsini, Luisa Raffaelli, Pino Pinelli, Alfredo Pirri, Salvo, Marco Gastini, Paolo Radi, Michele Chiossi, Alberto de Braud, Enzo Forese, Riccardo Guasmaroli, L’Arte c’est moi, Anonimo, Koei Nawa, Gianluca Capozzi, Gabriele Basilico e Francesco Jodice, Bruno Ceccobelli, Gerardo Di Fiore, Robert Barry, Günter Brus, Laura Pugno, Luigi Ghirri, Donato Bruno Leo, Fathi Hassan, Francesco Simeti e Derek Rowleiei, Michelangelo Consani, Nello Teodori, Alan Charlton, Carlo Cecchi, Sol LeWitt.

Contributi e letture critiche di:
Daniela Del Moro, Paola Ugolini, Achille Bonito Oliva, Maria Marinelli, Gabriella Serusi, Sebastiano Deva, Stefania Meazza, Marcella Anglani, Laura Rainone, Viviana Siviero, Matteo Galbiati, Alessandro Trabucco, Lorella Scacco, Giorgio Caione, Valentina Riccuti, Cristina Petrelli, Francesca Ganzenua, Stefano Taccone, Fuani Marino, Barbara Meneghel, Thomas Ackermann, Lucia Desiderio, Gabriele Tinti, Lucia Spadano.
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Duchamp
Air de Paris

Nel dicembre del 1919, lasciando Parigi per New York, Duchamp porta con sè un dono per Louise e Walter Arensberg: un ready-made, dall'originale variazione dada sul tema del souvenir, denominato Air de Paris.
Duchamp prende un'ampolla di vetro per usi medici (con l'indicazione Serum physiologique) e, facendosi aiutare da un farmacista parigino, la svuota del suo contenuto e la riempie con 50 cc di aria di Parigi. Prendendo ad esempio quanto gli amici di Duchamp hanno sfruttato il tema del souvenir, potremmo dire che Air de Paris diviene un paradigma, una rievocazione senza riconoscimento, una criptomnesia, che si offre come un'idea sempre nuova.
Philippe Soupault, fondatore del surrealismo con Breton, nel 1944 ottenne un discreto successo con Souvenirs de James Joyce, in cui racconta l'esperienza della traduzione come un'allegoria viva dell'Ulisse di Joyce e del senso della trasposizione e delle procedure del ricordo. Questo lavoro di estensione memoriale, che rimette in circolo le vecchie idee di Bergson, è stato recentemente tentato da M. Pacquement, che con la mostra Airs de Paris celebra i 30 anni del Centro Pompidou. Questa vasta esposizione pluridisciplinaire riunisce Çsoixante-treize artistes et crèateurs contemporains (paysagistes, designers et architectes).
Il titolo dell'esposizione fa riferimento a Marcel Duchamp, con il quale nel '77 - in una prima retrospettiva - venne inaugurato l'ormai celebre Museo. In effetti, oggi, a distanza di trent'anni, l'immagine del Pompidou potrebbe essere considerata un clone del ready-made e, quindi, un simbolo dell'evoluzione artistica del '900. Scegliendo come data di inizio il 1970, Airs de Paris presenta in due sezioni opere ed installazioni di artisti attivi fino all'oggi, privilegiando il tema della villè e della vie urbaine.
Airs de Paris, aggiungendo una 's', che solo i più acuti sostenitori del ready-made apprezzeranno, è una mostra che ha inaugurato il conflitto elettorale delle presidenziali della ville lumiere, tra consensi e ostilitˆ di una destra ingannevole e pericolosa e una sinistra debole e confusa. Il richiamo a Duchamp e al souvenir è uno spunto per raccontare la capitale francese di oggi, attraverso scultura, pittura, arti plastiche, design e video. Numerose opere sono state realizzate come site specific, estendendosi in maniera rapida e fresca attraverso le 'yeux des artistes', 'les mutations technologiques', le condizioni economiche e sociali della metropoli che le nuove comunità e culture urbane e 'les nouvelles perceptions de l'espace et du temps' hanno provocato e vissuto.
L'esposizione 'aborde' la questione della 'sociètè du risque et de l'ècologie urbaine' e cerca di proporre responsi e dimensioni progettuali 'sur la place de l'individu et de sa redifinition dans l'espace urbainè'. A tal proposito gli artisti esposti agiscono in presa diretta con la storia del Pompidou: Marcel Duchamp, Gordon Matta-Clark, Chris Marker, Gèrard Gasiorowski, Raymond Hains.
Con pari dignità viene poi presentata la nuova produzione di Tatiana Trouvè, Carsten Hòller, Stèphane Calais, Jean-Luc Moulène, Daniel Buren, Sa‰dane Afif, Dominique Gonzalez-Foerster, Nan Goldin ed altri. La sezione di architettura, design, paesaggio e urbanistica, propone al visitatore 'un espace scènographique hèlicoìdal', che si estende fino al parcheggio della grande struttura. Si tratta di quattro intersezioni che offrono una reprèsentation des imaginaires contemporains de la mètropole (passata, presente e futura), per mezzo dei lavori di Patrick Blanc, Ronan et Erwan Bouroullec, Campement Urbain, Gilles Clèment, Didier Fautino, Zaha Hadid, HeHe, Bruno Latour, Jasper Morrison, Philippe Rahm. Nella necessità di cogliere il movimento dinamico del centro urbano verso la periferia, du sol vers l'atmosphère, il gioco di rapporti spazio-temporali tra esterno ed interno entre le paysage intèrieur de l'òme humaine et l'univers, Airs de Paris si trasforma in una grande testimonianza sulla vita urbana che verrà. Essa disegna un itinerario sul gioco e la ricerca della 'crèation' architettonica, sull'andamento e la successione del paesaggio e delle correspondances ludiques.
Airs de Paris su più di 2.000 m2, con un bouquet di circa 150 opere, attraverso la voce del curatore dell'evento Alfred Pacquement, dichiara: Le sujet, c'est l'art et les artistes, les mutations du monde contemporain et la faèon dont elles sont abordes par les artistes, pas obligatoirement francais, qui ont vècu, vivent et travaillent à Paris.
L'esposizione secondo Pacquement exprime l'ide d'un air de Paris qui n'est pas figè, que l'on peut transporter.
A differenza del lavoro di Robert Storr per la Biennale di Venezia, M. Pacquement afferma il bisogno dell'idea, della filosofia e della scienze sociali; infatti, conclude dicendo Airs de Paris n'est ni un hommage ni un bilan, mais un point de vue du Centre sur la scène contemporaine.
Naturalmente, se siamo in grado di parlare con attenzione di ciò che abbiamo visto, sicuramente è più difficile l'anticipazione di ciò che ancora aspettiamo di vedere. Ma, scorrendo il programma, gli scritti e le immagini che abbiamo avuto modo di visionare in conferenza stampa, possiamo certamente sostenere che di tutt'altra natura e intenzione è questa 52ma Biennale di Venezia, intitolata in maniera un pò balzana Pensa con i sensi - Senti con la mente. L'arte al presente, curata da Robert Storr. La mostra centrale internazionale propone un centinaio di artisti provenienti da tutto il mondo e il panorama internazionale è affiancato e arricchito dalle mostre dei 76 Paesi (numero record di questa edizione), dal nuovo Padiglione Italiano e dalle ulteriori iniziative collaterali. Ma, come al solito, in Biennale le mostre che non dipendono dalla costruzione diretta del direttore sono sempre eventi marginali, l'esposizione centrale resta quella di Storr, un curator (artista) americano DOC che ha pensato bene di staccare definitivamente l'arte dalle espressioni teoriche, per farla 'compiere' in presa diretta con una storia di escatologia ed altri intrugli vari. Infatti, Storr definisce la sua anthology: Una mostra che guarda al futuro ma non al passato, pensando ad un ingrandimento quantitativo più che ad uno studio dettagliato su linee-guida che scaturiscono da un'ampia ricognizione, dimostrando che il punto di vista del curatore porta in sè l'ideologia della discriminazione verso qualsiasi forma di esercizio critico teorico, additandolo come la principale fonte di malesseri del '900. Inoltre, Storr di questa biennale spiega che non si basa su una proposta ideologica o teorica onnicomprensiva. Piuttosto si fonda su un atteggiamento di base nei confronti dell'arte, rivolto a supporre che le dicotomie analitiche tra il percettivo e il concettuale, tra pensiero e sentimento, piacere e dolore, intuizione e riflessione critica, troppo spesso oscurano o negano la presenza complessa di tutti questi fattori nella nostra esperienza del mondo, nonchè la presenza di tutte queste dimensioni nell'arte che ne deriva. Ogni opera sarà lì a parlare per sè. Insieme, le corrispondenze tra le opere - che siano esse armoniose o dissonanti - solleciteranno l'attenzione del pubblico, io credo, verso la diversità di emozioni, materiali, temi e modi di coinvolgere il visitatore, che caratterizzano opere d'arte create in linguaggi diversi, e tutti, ciò nondimeno, coniugati al presente.
Naturalmente, parlando così, Storr non si è accorto di ciò che nel mondo è successo dal secondo dopoguerra in poi e quanto la realtà economica emergente abbia cambiato le sorti economiche dell'intero occidente. Storr si fa veicolo di quella leggerezza liberale americana, che oggi domina e che si è trasformata in pensiero unico ed a questo principio associa anche la discriminazione verso un'arte che potrebbe essere portatrice di filosofia e di scienze sociali. Vorremmo ricordare a Storr che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si è sviluppato un processo di globalizzazione, ovvero un'integrazione tra le economie della maggior parte dei paesi del mondo e, con l'aumento del commercio internazionale e la diffusione delle imprese multinazionali, le borse e gli altri mercati finanziari si sono largamente diffusi, grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche. Questi cambiamenti hanno favorito speculatori e investitori che acquistano o vendono ingenti quantità di titoli o di moneta, per trarne un guadagno smisurato, cercando di anticipare i cambiamenti della domanda e dell'offerta.
Lo stesso fenomeno lo si può riscontrare nel mercato dell'arte, in cui l'elite delle gallerie nordamericane stabilisce quali sono gli artisti di punta e le strategie economiche che li accompagnano. Allora, se si guarda con attenzione da dove provengono, il centinaio di artisti, invitati alla 52ma, è facile capire che la maggioranza deriva dalle aree sostenitrici del Capitale finanziario concentrato, mentre per la Turchia o l'arte africana contemporanea possiamo pensare solo allo sviluppo di un discorso di finanziarizzazione degli eventi. Il requisito della globalizzazione finanziaria dell'arte e di tutti i prodotti dell'attività culturale ha condizionato completamente il nuovo corso della produzione simbolica mondiale. Infatti, il nuovo gigantismo espresso dalla moda delle istallazioni è il risultato più evidente di questo meccanismo. Anche Storr fa l'errore di ricorrere ad un'estensione delle quantitˆ: la Biennale è più bella incrementando il numero dei partecipanti, il pluralismo è più efficace se permettiamo a più paesi di essere acclusi al pacchetto! Questa idea, mossa da un buonismo dal sentore colonialista, finisce per non spingere verso un'arte democratica, ma ad un sistema totalitario. Spesso la democrazia, invece di dare spazio alle differenze, esprime le inclusioni, somigliando sempre di più ai regimi totalitari. Un esempio potrebbe essere la logica espressa dalle intenzioni di Vezzoli per il lavoro Democracy (video istallazione), che tentando di mostrare i meccanismi comunicativi delle campagne elettorali, potrebbe finire per accontentare sia Bush che Clinton, sia i neocon che i repubblicani.
Le modalità di approccio al pluralismo appaiono distorte come quelle che in Occidente provocano le preoccupazioni per il digital divide. A tutto ciò poi si aggiungono le accuse che Storr muove al pensiero filosofico. Imputazioni che, secondo il suo fittizio pragmatismo, balordamente miscelato con un basso profilo alla R.G. Collingwood (quindi alla maniera crociana), non sa se affermare o negare l'autonomia dell'arte. Ma forse con questi riferimenti alla filosofia ho offeso il nostro Storr, visto che il suo testo introduttivo al catalogo recita proprio così: Da Platone in poi, in modo più o meno esplicito, i filosofi hanno separato e diviso in compartimenti stagni la coscienza umana, contrapponendo una facoltˆ all'altra: la mente al corpo, la ragione all'irrazionalità, il pensiero al sentimento, lo spirito critico all'intuizione, l'intelletto ai sensi, il concettuale al percettivo. Nel migliore dei casi, queste dicotomie sono servite ad affinare la comprensione delle diverse capacita' a nostra disposizione per capire e collocarci nel mondo; nel peggiore, ci hanno deprivato di alcune di queste abilità, stabilendo false gerarchie che ci spingono ora a sottovalutare l'una in favore dell'altra, ora a diffidare di molte in favore solo di alcune.
Secondo Storr è ancora utile opporre alla razionalità filosofica e alle scienze sociali l'immaginazione. Quasi come se la fantasia non avesse niente del pensiero e dell'idea, o quasi come se il concetto e il modello astratto e conoscitivo servissero solo a condizionare la catena inventiva dell'individuo!
Ma cosa sarebbe questa immaginazione? Facoltà di rappresentare oggetti, persone e situazioni indipendentemente dall'esperienza sensoriale? Fin dalle origini della filosofia, il tema dell'immaginazione (o fantasia, termine spesso usato come sinonimo) è stato oggetto di studio. Il tema dell'immaginazione fu adeguatamente affrontato da Gaston Bachelard, che operò un cambiamento terminologico, introducendo il concetto di 'immaginario' e sottolineando in questo modo lo spostamento dell'attenzione dall'attività immaginativa ai prodotti di questa stessa attività, in termini di simboli e creazioni in parte comuni a tutta l'umanità e in parte propri della storia individuale. Tale visione tratteggia già il tentativo di affrontare, a partire da ogni ambito scientifico o umanistico che sia, quello che sarebbe - secondo Storr - il compito esclusivo dell'arte. La tragedia contemporanea pare proprio questa, forse è proprio l'arte quella che non riesce a rappresentare nessuna eccedenza, non si capisce in quale opera l'arte scava i canali capaci di ricollegare coscienze un tempo isolate. Storr, preoccupato di ribadire una energica autonomia dell'arte, ricorda che essa è stata, il mezzo tramite cui gli esseri umani prendono coscienza del proprio essere in tutta la sua complessità.
Per Storr la filosofia, le scienze sociali e la politica sono piu' magiche dell'arte, l'arte in altri termini è l'unica disciplina che riesce a dare un senso alle cose, cogliendo la piena complessità sul piano intellettuale, emotivo e percettivo. Ma è sicuro che la complessità contemporanea è fatta di una trilogia tra intellettuale, emotivo e percettivo? E la tecnologia che ruolo ha avuto? Non sembra che sia proprio Storr a schematizzare sottraendosi al confronto critico? Inoltre, come si fa ad inveire contro l'arte grottesca e dire che il dadaismo e le culture dell'assurdo sono solo ostaggio del nonsenso, mentre quasi l'ottanta per cento degli artisti invitati sono cloni delle avanguardie primo-novecentesche? Secondo Storr bisogna stare dalla parte dell'immaginazione, e credere che il bello stia nell'attesa di un attimo da cogliere; inoltre bisogna affidarsi ad un fantomatico empirismo alla Joyce confidando nel contingente, senza il supporto di 'mappature esaustive'.
Tutto questo serve a giustificare 'l'immediatezza della sensazione' , la caducità della vita e l'energia dell'arte nell'affrontare la morte. Robert Storr affida il ruolo ultimo dell'arte ad una stregoneria, che nella vita moderna forse si è spostata altrove, adoperando non tanto gli artisti che dovrebbero apparire controcorrente, ma quegli stessi protagonisti del mercato che spesso si limitano a rappresentare l'apologia del capitale da cui si vuole futilmente rifuggire.