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Extrart (2006-2009) Anno 7 Numero 31 estate 2007



Quattro domande a Regina José Galindo

Mario Savini

Intervista



iniziative coordinate per l'arte contemporanea
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Regina José Galindo
XX, 2007
Courtesy Prometeogallery, Milano

In Guatemala, il peso profondo di parole come violenza, ricatto, stupro, linciaggio, morte è ormai struttura ben radicata nel linguaggio quotidiano. L'aggressione alla vita e alla libertà delle donne da parte di gruppi di misogini è diventata assordante e non lascia spazio a respiri di altro genere. Nello stesso contenitore trova anche forza la pulizia sociale o l'assassinio di bambini. La brutalità di certe scene rimane impunita e la risposta delle autorità è troppo debole. Questo silenzio ha spinto i guatemaltechi ad accollarsi precauzioni che, di conseguenza, partoriscono ingovernabilità ed ulteriori disordini. Qui, dove il distacco tra ricchi e poveri è perfettamente lucido, lo sforzo di vivere e di proseguire una via di sviluppo democratico è davvero difficile. Dai tonfi di un fango così oppressivo, il lavoro di Regina José Galindo, figlia di questa terra stridente, si impone come luogo di riflessione. È denuncia alle libertà violate e ai varchi crudeli che hanno anche imposto la trasposizione del concetto di morte: In paesi come il Guatemala, - dice l'artista - non si rispetta più la morte, che ha cessato di essere un rituale supremo, per trasformarsi in un atto volgare e quotidiano”. In un contesto completamente oscurato, dove agli uomini è stata sottratta qualsiasi possibilità di darsi luce, l'intera opera di Regina José Galindo sembra incarnare i troppi volti che continuano a volgere lo sguardo verso l'alto, forse ancora in cerca di un bagliore che possa definitivamente accecare il male.



La performance “Recorte por la Línea ” (2005) è stata realizzata con la collaborazione di un importante chirurgo plastico, il dottor Billy Spence. Lui ha indicato sulla tua pelle le aree da “modificare” per ottenere un corpo perfetto in riferimento ai canoni “imposti” dalla nostra società. “Nel perseguire ciò che per noi è bellezza, - dice James Hillman – ci è di impedimento la parola stessa: bellezza . All'orecchio suona così languida, così inefficace, vezzosa ed eterea, così distante dalle drammatiche urgenze dell'anima.” Qual è per te la vera immagine della “bellezza”?

Penso che ogni essere umano abbia un proprio concetto di bellezza. Non ritengo giusto proporre un concetto di bellezza che si uniformi a quello della maggioranza, che sia il risultato della massificazione: pensare come pensano gli altri, apprezzare quello che apprezzano gli altri e disprezzare quello che disprezzano gli altri. È un sistema di valori che, in un certo modo, ci impone di apprezzare e preferire determinate cose… Devo ammettere che anch'io appartengo a questo sistema e ne sono condizionata. Spesso, infatti, non amo il mio aspetto. Ovviamente, non sono una donna che potrebbe essere definita “bella”, sono alta un metro e mezzo, con un naso che occupa metà del viso, sono piena di cellulite e ho la pancia flaccida per la gravidanza appena terminata.


Camisa de fuerza” (2006): il tuo corpo è stato rinchiuso per tre giorni in un ospedale psichiatrico di Bruxelles. Hai indossato una camicia di forza mentre un'infermiera sostituiva le tue mani. Qual è l'importanza che riveste “l'altro” nella nostra società?

L'altro svolge e ha sempre svolto un ruolo essenziale alla sopravvivenza dell'essere umano. L'uomo è un essere sociale e dipende dagli altri per sopravvivere. Il semplice atto di riflettersi nello sguardo dell'altro ci fa sentire vivi, ci fa dimenticare la nostra solitudine.


Nella performance “Tanatosterapia” (2006), una truccatrice di cadaveri di un'agenzia di pompe funebri “ritocca” il tuo viso. È un lavoro che fa esplicito riferimento alle violenze che si registrano in Guatemala. La morte viene associata ad una migrazione finale senza possibilità di ritorno…

La morte è un concetto universale. Da qualsiasi parte la osservi, la morte è la morte, il finale ineluttabile per tutti gli esseri umani, in ogni paese, cultura o società. In paesi come il Guatemala, non si rispetta più la morte, che ha cessato di essere un rituale supremo, per trasformarsi in un atto volgare e quotidiano. Siamo abituati a contemplare la morte da vicino, nelle fotografie, sui giornali o nei notiziari televisivi, o anche all'angolo di casa nostra. La vediamo senza maschera o ornamenti. La maggior parte delle volte succede senza preavviso, frutto di violenza, contrassegnata da sangue, rabbia e impotenza da parte di chi osserva.


Marc Augè afferma che “il mondo della globalizzazione economica e tecnologica è un mondo del passaggio e della circolazione – tutto su base consumistica”. Facendo riferimento al titolo di un tuo lavoro, qual è il “peso” del corpo in questo contesto?

Per quanto la società perda di vista i valori esistenziali di base, per quanto il denaro sia alla base di tutto… alla fine, l'essere umano continua a vivere. Il peso della vita farà sempre pendere la bilancia dalla propria parte; il giorno in cui questo cambierà, sarà il giorno dell'addio finale, ma non credo che succederà mai.