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Crudelia? (2006-2007) Anno 5 Numero 33 settembre-ottobre 2007



Mutanti e Movimenti

Daniele Fiacco

Karin Andersen



Contemporary Art Magazine


1. Cover life - Enrica Borghi

3. Buongiorno Arte - Editoriale di Ringo of Dakar

*4. - 6. Il fenomeno Hirshhorn di Irene Varano *

7. / Crudelia Critica - Street Art di Maria Grazia Torri

8-10 / L'INTERVISTA – Marta Massaioli ed Enrica Borghi

11 . / COLLECTOR – Stefano Ruggia e Marta Massaioli

12 – 15. / Graffiti e Street Art di Ludovico Minelli

16 – 17 / Malik Sibidè di Paola Romani

*18 – 19 / Piero e Giacomo Guidi / Per un estetica del contemporaneo
di Marta Massaioli *

20 . / Lo spirito Saturnino di Giorgio De Chirico

21. / Piero Guidi e Marta Massaioli

22. 23./ Oltre la soglia , riflessione in 4 tempi di Ludovico Pratesi

24. 26/ Crudelia's Art Village – Elisa Laraia Private Conversation

27. Discovery Asilo Bianco

28. Pilot

29. Aziensa Agraria Michele Massaioli

30. 31. PILOT

32. Malik Sibidè e Ringo of Dakar
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Buongiorno Arte
Ringo of Dakar
n. 33 maggio-giugno 2007

Guerrieri o Angeli Ribelli?
Marta Massaioli
n. 31 gennaio-febbraio 2007

Consigli per gli acquisti
Marta Massaioli
n. 29 luglio-agosto 2006


Il corpo traduce se stesso. Lo senti abbracciare nelle sue trasformazioni ogni corpo possibile. Lo vedi mentre si apre oltre la sua identità, comprendendo in sé le ragioni del suo essere altro. Lo vedi circondato dal ricordo di ciò che sarà. Lo vedi essenziale, definito, limpido nelle fattezze come chi raggiunge la perfezione per aver troppo visto, troppo saputo. Lo vedi riempirsi di sfaccettature, mentre il mondo circostante rivive in questo corpo.

Fin da bambina l'artista tedesca Karin Andersen lascia che certe caratteristiche fisiche animali si combinino alla rappresentazione del corpo umano. La sua opera ha inizio da questa spinta inconsapevole che la mette di fronte ad un atteggiamento creativo da sviscerare, occasione per scoprire la storia della metamorfosi nell'immaginario culturale. Spuntano orecchie di animali, si sprigionano sguardi colmi di memoria, ma le sembianze zoomorfe di questi corpi non sono regressioni verso le origini. Non sono irruzioni ancestrali. Esse riempiono quel vuoto di assenza che la cultura occidentale ha posto tra l'uomo e l'animale. Karin Andersen pone i suoi personaggi oltre questa frattura. Risulta difficile quindi avvertire conflitti dialettici o corpi estranei turbare l'aspettativa di chi osserva. Vengono da un altro mondo questi alieni, un mondo che sta nel guardare oltre se stessi. Nella loro sofisticazione ci sono accortezze biologiche che non sono riscoperta ma potenziamento. Gli alieni sono esseri umani decentrati, che assorbono in sé un altro potenziale d'essere e non c'è trascendenza in loro, non c'è santità, non c'è mistificazione, né demonizzazione. C'è in loro tutta la fragilità di un "qui" e un "adesso" che si fanno postura del corpo e atteggiamento della curiosità umana.

Le combinazioni linguistiche introducono al futuribile come intrinseca possibilità del presente umano. Le combinazioni non sono solo espedienti concettuali ma aperte modalità operative. La dimensione tecnica su cui si muovono queste opere è una fusione di pittura e fotografia digitale.
L'artista fotografa luoghi e personaggi, monta insieme le immagini, le stampa, e su di esse interviene con la pittura. Il procedimento non è mai meccanico. Quest’attenzione alle possibilità che software e manualismo possono creare si rifà sempre a un'idea che a volte precede l'elaborazione tecnica e a volte si delinea a poco a poco, nel compiersi dell'opera .

L'immaginario di Karin Andersen attinge al contemporaneo. Non sente sue quelle manifestazioni teriomorfe che si ritrovano in alcune figurazioni dei primi cristiani, ad esempio, dove le fisionomie degli animali venivano utilizzate al fine di rappresentare il sacro e il demoniaco, entità di per sé astratte e inenarrabili. Non c'è simbolismo, non ci sono forme che veicolano concetti: i mutanti della Andersen stanno lì, sono il loro tutto e il loro nulla e guardano il nostro mondo coi loro occhi da decifrare. Hanno bisogno di un colloquio intimo, completamente libero da sovrastrutture filosofiche. Allo stesso tempo non c'è quella dimensione del mito presente nelle metamorfosi classiche. L'animalità non è dunque rappresentata nemmeno come "età dell'oro", vale a dire come segno di una purezza primigenia perduta nel tempo. Pensando a qualche esempio contemporaneo, la Andersen si distacca anche da quella tendenza che moralizza le fattezze del corpo. Penso all'orwelliano "Animals", album dei Pink Floyd e all'artwork di Storm Thorgerson, per citarne uno. In questo caso l’animale è il lato distruttivo dell'uomo, quello crudele, quello ingordo, quello vigliacco. Queste caratteristiche negative attivano una riflessione etica dove l'animale è inteso come metafora dell'inumano e del disagio che l'uomo vive. Non c'è valutazione morale nei mutanti della Andersen. Tutt'altra affinità potrebbero avere con l'immaginario dell'artista islandese Bjork. Penso al video di "Hunter" diretto da Paul White, dove la cantante completamente calva si trasforma in orso polare. In questo caso l'animale e l'uomo sono armonia e dinamismo poetico. Nessuno predomina sull'altro, ma si impastano tra loro in una danza che è istinto, vitalità e immediatezza. Prevale il senso della nudità, della bellezza estrema e rarefatta che ci proietta verso dimensioni surreali. La Andersen si differenzia anche in questo, poiché immette nel contesto esistenziale dei suoi personaggi il quotidiano a cui essi partecipano, un quotidiano fatto anche di abiti e accessori. Ma i riferimenti iconografici più calzanti possono ritrovarsi nei mutanti fantascientifici del cinema e della televisione tra gli anni '60 e '70.
"Star trek" in particolare, più volte citato dall'artista, riporta alla figura dell'alieno come superamento del "mostro", altro esempio di figura zoomorfa veicolo di inquietudini e terrori soprannaturali. Nell'alieno si condensano qualità altamente specializzate, che lontane dal rappresentare sopraggiunte grandezze, si rivolgono a una normalità che nella sua alchimia tra umano e animale allude all'intelligenza profonda di ogni possibile contaminazione.

Tutt’altra evoluzione segue l'esperienza artistica di Ringo of Dakar.
Nelle sue opere pittoriche c'è il graffitismo esuberante di Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, l'immediatezza selvatica di Jean Dubuffet, la pennellata sciolta di Pierre Alechinsky. La cultura occidentale della spontaneità si relaziona con la visceralità dell'arte africana. Da essa riprende simboli, onirismi, ambientazioni fiabesche, idoli e tensioni spirituali. Si creano codici comunicativi scambievoli tra due culture, dove non manca il desiderio di rivendicazione e di denuncia rispetto alle tendenze più antropocentriche dell'occidente. Le origini senegalesi dell'artista si sviluppano attraverso il viaggio. Quest'esperienza dello spostamento modula la manipolazione della forma, e le influenze si integrano tra loro in un linguaggio tanto eclettico quanto unitario sempre concentrato su uno stile minimale, volutamente infantile. La sua pittura è pittura di movimento, non tanto in senso fisico o descrittivo, quanto nel senso di un'acquisizione mentale continua. Vedi oggetti comuni, figure, animali, maschere, geografie segniche prendere forma attraverso accenni veloci, pennellate quasi calligrafiche in cui si concentra un'intimità diaristica.
Pulsa nella sua pittura il ritmo sostenuto di danze sciamaniche che si solleva nell'aria, acuminando quella leggerezza di fondo che è pura sintesi visiva. L’immediatezza del gesto è la condizione nomade del pensiero, la necessità di esclusione tanto dall'indifferenziato quanto dal particolarismo, la necessità di destabilizzare l'arte mettendola in movimento su un piano di scambio interculturale che moltiplichi i punti di vista del linguaggio. Ed è proprio questa pluralità inclusiva la qualità predominante delle sue opere. Riesci a individuare stili e temperamenti provenienti da più contesti, ma sembra sempre che questi quadri non appartengano a nessuna cultura in particolare. Non cercano la bellezza, non cercano la magia, non cercano la seduzione di un facile effetto, ma la problematicità di un dialogo tra diverse realtà. Non si fanno determinare da un contesto piuttosto che da un altro. C'è in esse il senso dell'abitare, il senso della superficie come luogo di un'azione estetica ed etica, l'assorbire spazio per farsi "spazio" e di conseguenza, la pittura come energia, spinta interiore verso quel lato della psiche dove le culture si mescolano. Non c'è il culto di un'identità personale esclusiva, ma un'identità allargata, progressiva, che si estende attraverso l'utilizzo di più linguaggi che spaziano dalla pittura all'installazione, dalla fotografia al video, costruendosi su accumuli di informazioni che si accostano tra loro attraverso l'equilibrio dell'interazione.

credits:

"La nostra vocazione animale", di Karin Andersen. Pubblicato su "la
repubblica delle donne "
Intervista l'artista", intervista a Karin Andersen, a cura di Luca Panaro .Pubblicato su www.intervistalartisa.com
"Animals", album dei Pink Floyd, 1977
"Animals", artwork a cura di Storm Thorgerson, 1977
"Hunter", videoclip del brano scritto da Bjork, diretto Paul White, 1997
"Star trek", serie televisiva ideata da Gene Roddenberry, 1966