Inside Art Anno 6 Numero 58 ottobre 2009
Vince il Talent prize con Genera una scultura che “invita a guardare
E’ David Casini, trentaseienne aretino, ma faentino d’adozione, il vincitore della seconda edizione del Talent prize. Il premio dedicato agli artisti emergenti quest’anno ha superato le migliori aspettative per numero di partecipanti e livello qualitativo delle opere visionate. La giovane arte contemporanea italiana è in fermento e dribblando gli ostacoli di un mercato asfittico e spesso ghettizzante, accoglie come una boccata d’ossigeno un’iniziativa nata sotto l’auspicio della valorizzazione e promozione effettiva del talento. E David Casini di talento ne ha da vendere.
È incredulo al telefono, sinceramente emozionato per la notizia: «Sono felice, ho vissuto la partecipazione al Talent prize come una sfida, in Italia non esistono iniziative simili e poi sono contento anche per gli altri finalisti». Non sono parole di circostanza, si sente chiaramente dal tono della voce, impregnato di quella genuinità disarmante tipica della terra dalla quale proviene. Alle spalle un percorso personale di ricerca costante, dall’accademia vissuta tra limitazioni e stimoli, alla consapevolezza di voler realizzare fino in fondo i suoi progetti. L’approdo alla scultura avviene quasi per caso, ma il caso è sempre il fortuito e fortunato incastro di incontri, relazioni e propensioni personali. «Vengo da un’educazione pittorica – racconta Casini – avendo frequentato l’accademia di Belle arti di Firenze, attenta al classico e alla manualità del disegno. Il passo successivo è stato il desiderio di voler creare forme tridimensionali, con la scultura e l’installazione, ma in fondo la scelta del linguaggio dipende sempre dal tipo di progetto che volta per volta intendo realizzare. All’inizio non avevo un grande interesse per il contemporaneo. Poi la svolta. Negli ultimi due anni di accademia Claudio Marra, professore di fotografia, ha cambiato la mia visione dell’arte, non più centrata sulla pratica manuale, ma sulla teoria, sulla progettualità. Tutto è iniziato da lì. Alla fine degli studi ho cominciato a camminare da solo, spinto dal desiderio di voler realizzare i miei progetti».
Diviso tra l’Italia e la Svizzera, ha imparato ad assorbire i riferimenti ambientali e culturali dei due paesi, selezionando accuratamente le differenti visioni. «Mi piace vivere in Svizzera, è un paese protetto, con molte regole, ma artisticamente all’avanguardia. Lì trovo l’ispirazione, in Italia invece realizzo i miei lavori, è tipicamente italiana l’artigianalità insita nelle mie opere». L’attenzione al particolare diventa una costante. «La cura del dettaglio è sempre al centro del mio lavoro, sia quando si tratta di piccole sculture sia quando realizzo grandi installazioni – spiega l’artista – ciò che mi interessa in questo momento è creare opere dai connotati temporali non definiti, una stretta relazione tra due mondi opposti, macro e micro. Una sorta di camera spaziale neutra dalle forme geometriche perfette, macro, in cui convivono frammenti di pensieri e visioni personali, micro». Ha imparato e ripropone in forme nuove la lezione di Piero della Francesca. Quella fissità senza tempo nei quadri del maestro aretino, dove le figure non vanno né avanti né indietro, si coglie con sguardo diverso in questo artista che ricerca pignolo tra gli elementi della natura quelli più adatti a essere riposizionati in dimensioni atemporali tutte personali. Quarzo, cristalli, minerali incastonati in una relazione inconsueta eppure convincente, stupefacente. Il percorso evolutivo e di crescita è in costante divenire. A un certo punto della sua carriera viene indicato come un artista neogotico, capace di trasporre abilmente le suggestioni e le atmosfere cupe, proprie dei racconti di Edgar Allan Poe. Ma a Casini la definizione stava, e sta, stretta. «Non ricerco il “noir” come genere, ma il nero come forma astratta. Il mio lavoro è un puzzle e, soprattutto in questo momento, vivo una fase di transizione che non so quali strade prenderà». Sicuramente ci auguriamo che non perda di vista quelle della suggestione fantastica. Se non l’accostamento a Poe, almeno quello alla filmografia del grande Stanley Kubrick va incassato con orgoglio.
La possibilità di vedere oltre, di scorgere e realizzare visioni futuribili non va persa di vista. Casini vince con un’opera emblematica, Genera, una scultura protetta da una teca che racchiude al suo interno le mille suggestioni di un mondo altro, dove appunto le dimensioni di tempo e di spazio sono variabili fluttuanti e prive di coordinate certe e gli elementi sono collegati in maniera inconsueta. «Ho scelto Genera – rivela l’artista – perché volevo presentare un’opera che avesse un contenuto piccolo, ma racchiudesse un macro-mondo. Fa parte di una serie di sculture, frammenti vaganti nello spazio. Quest’opera rappresenta il mio lavoro che è quello di utilizzare elementi di vario genere, diversi tra loro, scomporli per poi ricreare una natura astratta». Non una creazione “urlante”, che sfacciatamente si impone alla visione, ma un piccolo gioiello che, per usare l’espressione di Luca Massimo Barbero, «è un invito alla pratica del guardare», esteso a tutti. Questo si augura fortemente Casini: «Vorrei che le mie opere suscitassero stupore nel pubblico e fossero fruibili e non di nicchia, per questo mi sforzo di adoperare un linguaggio sempre più accessibile». Un buon creativo è capace di reinterpretare la realtà, fornirne nuove visioni, tracciare inusuali approdi. Sia nelle sculture che nelle installazioni o nelle opere site specific, Casini da demiurgo contemporaneo si fa artigiano, divino plasmatore di mondi futuribili, impossibili o fantastici. È la vera missione dell’artista quella di incantare, aprire porte nascoste tra gli interstizi della realtà, proiettare lo spettatore in un universo parallelo, come quello che si scopre racchiuso nella sua teca.