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Nero Anno 7 Numero 24 autunno 2010



(She)

Michele Manfellotto



free magazine


SOMMARIO NERO N.24

CONTENTS


LIVE FOREVER
HISTORY PASSES THROUGH ME
RYAN GANDER – TEST YOURSELF
WHAT WOULD THE POPE DO?
(SHE)
FLASH! THE EYE OF A BADASS
IN MEMORY OF JIM “FLASH” M...
THE PHENOMENOLOGY OF WAITING ROOMS
GINO
HEAVEN IS KNOWING WHO YOU ARE
TELEPATHIC HOLIDAYS
WORKS THAT COULD BE MINE & WORKS THAT I WOULD LIKE TO BE M...
TROVATELLI
TRADITION
COMPOSITES

ARTISTI PROJECTS
Anne Collier
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n. 29 primavera-estate 2012


Jimmy De Sana, Plastic Wrap, 1980

Jimmy De Sana, Plastic Wrap, 1980

Jimmy De Sana, Fur Coat, 1979

Jimmy De Sana (New York, 1949-1990) è un artista americano scomparso nel 1990 a soli quarantuno anni. è stato una figura chiave nella scena artistica newyorchese anni ‘70 e ‘80. nelle sue foto il soggetto è il corpo umano, ma la sua presenza si esprime attraverso forme e colori così particolari che lo rendono un elemento quasi simbolico. Michele Manfellotto si è ritrovato a scrivere un testo al riguardo, senza alcuna informazione sulle foto, senza sapere chi le avesse scattate, prendendo ispirazione semplicemente da ciò che vedeva.


“Lei ha avuto da subito tutta la mia attenzione, come un personaggio della massima importanza.
Non era nessuno per me.
Doveva solo truccarci, ma appena è entrata io mi sono detta, Eccola.
Lei ha registrato la mia presenza e ha sorriso.
Un sorriso automatico: ma mi è sembrato carico di sottintesi e mi ha spiazzato.
Il set era un appartamento tirato a lucido e vuoto: si gelava e lei in canottiera, senza reggiseno.
Noi posavamo nude.
Niente facce, perciò niente trucco: lei non aveva granché da fare.
La studiavo mentre era all’opera con le altre: a ognuna sorrisi e ammiccamenti, ma senza confidenza.
Le donne che lavorano con le modelle, il chiodo fisso del mio ragazzo.
Mi chiedeva sempre cosa pensavano di noi, le loro simili a cui basta essere fiche per guadagnare i soldi.
È venuto il mio turno e la voce di lei mi ha fatto fare un salto sulla sedia: sapeva il mio nome senza che glielo avessi detto e questo mi ha messo soggezione più del fatto di essere nuda.
Per la prima volta in vita mia mi sono chiesta, Cosa pensa di me?
Lei ha esaminato la mia schiena per un tempo infinito e la sua lentezza era una lusinga.
Quando ha finito, girandomi intorno si è fermata un momento, in un modo che mi è parso calcolato.
Cioè fatto apposta per lasciarmi vedere dentro la scollatura.
Infatti le ho visto le tette.
Poi ha voluto controllare la faccia.
Non ce n’era bisogno, ma ho lasciato fare.
Eravamo vicinissime e io ho approfittato per guardarla bene: occhi grandi su una faccia lunga: le orecchie e il naso, la forma della bocca, la grandezza della testa: e ho pensato che aveva lineamenti da uomo, un’idea che mi ha fatto venire un sentimento tremendo di nostalgia.
Dopo, davanti alla stazione della metropolitana, è successo un macello: uno si è tagliato tutto mentre cercava di incularmi la bici.
La bici ha resistito, ma lui era pieno di sangue.
Si è fermato un passante. Non aveva capito, voleva soccorrerlo e mi ha urlato dietro quando sono scappata.
Questa città non assomiglia per niente a un corpo con i tentacoli.
Alla TV ho sentito una statistica: nei fine settimana la gente in strada è il venticinque per cento in meno degli altri giorni.
Come fai a calcolare le probabilità che hai di incontrare due volte la stessa persona se non sai quanti sono gli abitanti della tua città?
Invece lei l’ho incontrata di nuovo.
Quella sera stessa, per di più: a una festa, con un vestito bianco che portava senza la biancheria, come una camicia da notte.
L’immagine della camicia da notte mi ha fatto pensare al matrimonio soporifero inossidabile al quale sotto sotto mi sento destinata.
Lei ballava con una nera con un vestito identico al suo: è una modella anche lei, mi odiava perché mi sono scopata il suo ex, un idiota con un pisello gigante.
Due donne in spiaggia, due donne in uno spogliatoio, due donne che vanno a letto insieme: che differenza fa?
Lei ballava con la sua amica nera con il suo vestito bianco con i suoi lineamenti da maschio.
Di tanto in tanto guardava me, ma come se fossi capitata per sbaglio nel suo campo visivo.
Il mio ragazzo era ubriaco e ha voluto a tutti i costi che venissi via con lui.
A casa è crollato di schianto e io sono rimasta lì. Dal suo appartamento si vedono solo uffici, di notte non è una vista interessante.
Quando sono andata a dormire ho avuto un incubo.
Ero lì con lui che russava tutto vestito e ai piedi del letto c’era lei.
Si muoveva senza fare rumore, rideva e nel buio si vedeva benissimo la bocca.
Era un vampiro.
Che ansia.
Mi sono svegliata che gridavo, VATTENE VIA!
Il mio ragazzo lavorava per una marca grossa di telefoni.
Una volta me ne ha regalato uno molto fico, ma l’ho rotto. Ho avuto una specie di crisi isterica e l’ho tirato contro il muro: è andato in mille pezzi.
Mi sentivo talmente in colpa che non riuscivo a buttarlo. Guardavo la crepa a ragnatela sullo schermo e mi ripetevo che ero una merda umana.
Per giorni ogni cosa nella mia vita è stata come guastata da un senso diffuso di imperfezione.
Poi l’ho superata e ho comprato un altro telefono. Stessa marca, ma il modello più stronzo che esiste: non fa le foto, non fa i video, non fa un cazzo.
Ha i giochi, comunque.
Il mio preferito è uno in cui sei una palla che cade: devi rimbalzare su questi piani che salgono dal basso, facendo attenzione a non cadere nel vuoto o su certi punzoni che se no ti bucano.
Quando salvi un numero, su quel telefono puoi associare una figurina al nome.
L’orso. Il gatto. Il cuore. Il sole, la macchina, il fiore.
C’è una specie di stella di David, e un cappello da signora che sembra un disco volante.
Ci sono delle facce: in particolare la faccia di un omino con la barba e quella di una donna con il cerchietto, che sono identiche ai miei genitori.
In fondo, un anno intero basta e avanza.
Allora ciao, America: finisce la cosa della modella.
Il telefono però me lo sono portato.
Ho dovuto svuotarlo di tutti i contatti, ci ho messo un secolo.
E ho dovuto lasciare il mio ragazzo.
Ho cancellato il suo numero insieme agli altri con freddezza imperdonabile e ho fatto i bagagli.
Il telefono si sta riempiendo dei nomi della mia vita nuova e di nomi ripescati nel passato.
È strano, qui ho l’impressione che non succeda mai niente: ma non è male, ci sto piuttosto comoda.
Qualche giorno fa ho ritrovato per caso quel numero.
Si vede che avevo dimenticato di cancellarlo.
La cosa pazzesca è che non ricordo di averle mai parlato al telefono.
Dio sa come l’ho avuto, quel numero.
Lei aveva la figurina della farfalla.
La farfalla me la tenevo per le persone speciali.
Precisamente per le femmine speciali.
Però quando l’ho vista di nuovo, accanto al suo nome, la farfalla mi ha fatto pensare agli assorbenti delle mie compagne di scuola.
Lei riesce ancora a innervosirmi.
L’idea di lei è in qualche modo oscena, come la sensazione che mi danno certi insetti con il pungiglione.
Ho fatto in modo che il mio numero apparisse anonimo e ho chiamato.
Ho lasciato squillare a lungo ma niente, lei non ha risposto.
Alla fine ho cancellato il numero e poi tutti gli altri, tutti i numeri con la farfalla.”