Diorama Mag Anno 3 Numero 4 inverno 2013
“La nostra visione del mondo è mediata e predeterminata dal linguaggio con cui pensiamo e parliamo” (E.Fiorani)
Non esiste una definizione univoca di ‘frattale’; lo stesso inventore del termine, Benoît Mandelbrot, ci mostra la via empirica della questione come unica e possibile. L’utilizzo di modelli risponde all’esigenza di ottenere una rappresentazione concettuale di un determinato fenomeno, ma un modello non può contenere tutta l’informazione rispetto al fenomeno osservato. Per questo Mandelbrot dovette concludere che le varie definizioni matematiche tendono tutte ad escludere fenomeni i quali, in qualche senso, possono intuitivamente considerarsi frattali. “Il mondo è rugoso, irregolare”, ci dice, perciò per poterle comprendere, “abbiamo bisogno di ridurre le cose a uno schema”. È quindi l’esigenza di afferrare il disordine della natura che lo spinge ad indagare problemi matematici e astratti non più così lontani dalla struttura che ci circonda, come era stato invece per la geometria euclidea, non la più vera ma la più vantaggiosa, citando Poincarè.
Influenzato dalla teoria della probabilità e dei processi infinitamente divisibili, formulata dal matematico Paul Lévy suo professore all’Ècole Polytechnique, e fortuitamente affascinato da quell’aspetto della legge di Zipf che sottolinea la proprietà ricorsiva del linguaggio (giacchè esso stesso permette una produzione virtualmente infinita di enunciati), Benoît Mandelbrot manifesta una forma di coinvolgimento intuitivo verso ciò che presto conierà come geometria dei frattali. Interesse che si concretizzò in una prima scoperta quando, studiando il modello di variazione dei prezzi nelle speculazioni finanziarie, provò ad applicare la nozione di discontinuità al modello di prezzo, per concludere che “non è possibile distinguere tra una variazione azionaria mensile, una settimanale e una giornaliera”. È il principio dell’autosimilarità su diverse scale ad esordire qui nella finanza, ma che, affinato, verrà subito applicato ai più svariati campi. Molte strutture sono infatti determinate da una regolarità geometrica, chiamata invarianza rispetto al cambiamento di scala, o più semplicemente, autosimiglianza: i frattali offrono quindi un metodo conciso per descrivere oggetti e formazioni. Dal punto di vista tecnico una figura non è un frattale se il suo dettaglio non è infinito: in un frattale ogni sua parte somiglia all'intero, qualunque sia la scala con cui viene visualizzato. Se infatti si esaminano questi oggetti a scale diverse, si incontreranno sempre gli stessi elementi fondamentali. Seguendo un percorso a tratti apparentemente casuale, Mandelbrot, durante un fervido periodo lavorativo che lo vede impegnato nei laboratori della IBM, imbattendosi in fenomeni accomunati da un comportamento auto-similare, ha modo di approfondire e applicare la ‘teoria empirica’ che si stava man mano manifestando, fino a realizzarne un primo disegno. Nel 1973 sviluppò un algoritmo utilizzando un computer improvvisato, molto semplice, per mezzo del quale una tastiera collegata a una memoria doveva generare immagini che simulassero la morfologia del suolo.
Lo studio fu infatti applicato per soddisfare i risultati sperimentali della tesi del grande teorico della turbolenza, Lewis Fry Richardson, in merito alla lunghezza delle linee costiere a differenti scale di valutazione; si trattava di un elementare problema di geografia in grado di rivelare, sotto un analisi più attenta, alcuni tratti essenziali della geometria dei frattali. I primi studi di Mandelbrot, interessando la modellizzazione matematica di fenomeni reali, avevano natura probabilistica; è grazie alle possibilità di elaborazione grafica dei primi computer che si raggiunse la raffigurazione deterministica di equazioni ricorsive, e con essa il pieno sviluppo della teoria dei frattali. Prima di Mandelbrot queste figure erano state studiate come astrazioni geometriche, come rappresentazioni grafiche di particolari algoritmi: in geometria possiamo di fatto incontrare oggetti perfettamente autosimilari, in quanto rappresentazioni di funzioni iterate o perché ottenuti mediante algoritmi ricorsivi; la Curva di Peano, la Polvere di Cantor, il Merletto di Koch, e il Triangolo di Sierpinski, ne sono un esempio. L’approccio di Mandelbrot, che di queste figure, definite “patologie”, si servì deliberatamente, fu esattamente l’inverso: partì da fenomeni reali e trovò nelle funzioni iterate una maniera di modellizzarli. In genere la bontà di un modello viene valutata sulla base della sua predittività, ovvero la capacità di predire con successo gli stati futuri del sistema modellizzato, e se oggi con i “frattali” (dal latino frangere, suddividere in frammenti irregolari) si apre uno spiraglio verso la comprensione e la previsione di tutti quei fenomeni contraddistinti da comportamento caotico, dagli uragani al mercato finanziario alla distribuzione delle galassie nell’universo, significa probabilmente che quello di Mandelbrot era un ottimo modello. Come ebbe egli stesso modo di dire "prima la gente sfuggiva ai miei scritti, poi nessuno poté sfuggire ai miei grafici". Non per niente la piena consapevolezza della sua dote naturale arrivò quando, al principio del 1944, si rese conto di saper tradurre tutto all’istante e senza nessuna difficoltà in figure geometriche e, dapprima in modo intuitivo e poi matematico, di saperle spiegare.
L’immagine è una rappresentazione della realtà, riproduce solo alcuni aspetti adeguati a ciò che deve dire: questo volto selettivo della rappresentazione sottolinea la propensione alla semplificazione e all’astrazione, indispensabili alla funzione comunicativa. Se l’immagine è un linguaggio, perché definisce e struttura la nostra vita, allora anche quello dei frattali è propriamente un linguaggio, in quanto ci permette di prendere rapporto con la realtà e di parlarne. Benoît Mandelbrot era l’unico fino a quel momento ad aver considerato la possibilità che questo tipo di irregolarità in natura costituisse un argomento a sé; per organizzare in modo coerente il frutto delle sue ricerche e renderlo cosi accessibile a tutti, ci voleva un nome. Arrivò con la pubblicazione di “Les objets fractals: forme, hasard et dimension” (Parigi, Flammarion, 1975) ,seguito dal più famoso “The fractal geometry of nature” ( New York, Time Books, 1982), che invece di chiudere un ciclo di studi, suscitarono un interesse diffuso, tale da far crollare un muro di pregiudizi e scetticismi, consacrando l’argomento nella storia del pensiero matematico e tributandone la caduta a lungo termine su svariate discipline. I campi di interesse sono quindi i più svariati, ma l'elemento unificatore è costituito dalla possibilità di analizzare, spiegare e classificare fenomeni altrimenti inesplicabili, attraverso un’esperienza data e versatile. Ogni albero si basa su regole di ramificazioni elementari e ricorsive, analoghe a quelle che determinano la struttura di bronchi e polmoni; la linfa nelle piante e la circolazione del sangue nei mammiferi seguono percorsi frattali, cosi come le spugne marine e i coralli, le nubi e le coste, hanno processi frattali di accrescimento. Seguendo la visione del pensiero olistico, potremmo allora dire che ogni frattale genera l'altro in un’elaborazione ciclica e ‘auto-rigenerativa’, configurata da ripetizioni a intervalli non periodici della sua struttura di base, nonché dall’emergere di complessi nuovi e a loro volta omogenei, individuando così in esso l’ennesimo ‘pattern elastico’ che costituisce il nostro ambiente.