SMALL ZINE Anno 2 Numero 6 aprile-giugno 2013
Intervista a Francesco Petrone
Loredana Barillaro/ Francesco, come definisci i tuoi lavori, delle sculture?
Francesco Petrone/ Direi installazioni scultoree. Hanno un processo tecnico tipico della scultura e una natura estetica ed espositiva dell’installazione.
LB/ Un universo abitato da insetti, molluschi, roditori - accompagnato da titoli dall’aspetto ludico - sembra in realtà un mondo al limite del collasso …
FP/ L’immaginario che condivido è assolutamente grottesco e cinico, calca modi e costumi estremamente italiani, sebbene ci sia una componente fortemente occidentale in genere, e raffigura al limite del reale un mondo invaso letteralmente dal cemento, in senso stretto, e l’ossessione economica e consumistica in generale. Il “bug italiano” è inteso come “errore” che gioca con la parola insetto. Nella mia visione l’uomo è identificato in un insetto, perché ne calca i modi, raggruppandosi in comunità stereotipate, prive di autonomia reale. Autore in un’apocalisse economica e industriale. I titoli ironici e talvolta cinici, tratti da uno slang tipicamente italiano, fanno parte integrante dei lavori, senza i quali le opere dall’aspetto crudo e arido dei materiali usati, perderebbero di leggerezza e forza comunicativa.
LB/ Qual è lo stato d’animo quando realizzi i tuoi lavori, e quale pensi debba essere l’impatto su chi osserva?
FP/ Sono mosso da un’urgenza morale e sociale. Cose di cui mi occupo anche nella vita quotidiana, cose che abitano la vita quotidiana di chiunque, sebbene assuefatti da “pieni” e colori che drogano letteralmente l’oggettività. Estremizzo l’estetica sebbene la viva, paradossalmente, con lo sguardo infantile: gioco con le forme, modello con estrema serenità, tanto quanto sperimento, da sempre, materiali nuovi o raramente usati nella scultura. Approfitto di una necessità, quella sociale e comunicativa, per assecondarne un’altra, il gioco. Mi diverto. Mi piace pensare in modo romantico, ad una maniera ottocentesca di contemporaneità, in cui una forma, un’immagine possano essere un taglio sottile e profondo nelle abitudini di chi osserva, una scossa seppur breve, nel’immaginario e nell’intimo dello spettatore, anche quello meno esperto.
L’arte, secondo me, è sempre lo specchio di una società, perché ne è parte integrante.
Per questo non condivido il puro estetismo e l’arte ermetica, credo piuttosto che l’arte abbia un compito comunicativo che non può prescindere dall’estetica. Il compromesso a cui ambisco è racchiuso in tre direzioni parallele: la curiosità dell’immagine “scultura”, il sorriso che deriva dalla lettura del titolo, fino ad arrivare alla domanda, più personale ed individuale, che ognuno matura con tempi differenti, davanti ad una mia installazione o scultura. Se a distanza di ore o di giorni, incuriosito, torna ad immaginarla, ha funzionato.