MU6 Anno 9 Numero 30 gennaio-marzo 2014
Intervista
Massimiliano Scuderi: Collezionare e classificare è un modo per rappresentare il mondo o cos’altro? Qual è il tuo modus operandi?
Mark Dion: Collezionare e classificare è un modo per iniziare una conversazione sul mondo. È parte della costruzione di un vocabolario, una costellazione condivisa di termini attraverso i quali indagare un discorso. Le cose sono strumenti sorprendenti per raccontare storie, narrare costruzioni, contrasti e comparazioni. Inutile dire, ci sono molti differenti tipi di cose da collezionare e ragioni per riunirle. Ci sono numerosi modi per acquisire materiale, dalle più importanti forme etiche di scambio a quelle più avide e preziose.
Quello a cui sono particolarmente interessato è la storia delle collezioni: nel tentativo di comprendere quale siano gli impeti filosofici, politici e pratici che sottengono alla costruzione e all’organizzazione di una collezione. Quali siano le storie ufficiali, e anche quali siano le agende segrete e i motivi reconditi per raccogliere oggetti, queste sono le mie domande. Molto del mio lavoro tenta di esaminare i metodi e le strategie delle collezioni del passato in qualche modo per delucidare la loro logica e il loro ordine e per connettere questo con l’ideologia e la storia sociale. In qualche modo, faccio enciclopedie di metodi per collezionare e di spiegazioni razionali. Oltre vent’anni fa o giù di lì, ho lavorato con una varietà di organizzazioni che mantengono delle collezioni. Questo insieme di istituzioni ufficiali come musei, zoo, archivi, giardini botanici i quali hanno collezioni molto formali per organizzazioni che non riconoscono neanche se stesse come istituzioni sul collezionismo come università e anche città.
Il cuore di queste indagini non rappresentano tanto ciò che queste collezioni dicono del mondo, quanto ciò che dicono di noi.
Massimiliano Scuderi: Nel libro Collezione di Sabbia Italo Calvino scriveva che: questo campionario della Waste Land universale stia per rivelarci qualcosa di importante: una descrizione del mondo? Un diario segreto del collezionista? O un responso su di me che sto scrutando in queste clessidre immobili l’ora a cui sono giunto? Qual è la relazione tra ‘soggetto’ e ‘oggetto’ nel tuo lavoro?
Mark Dion: Il mio lavoro è fortemente contestuale. Gli obiettivi, le metodologie, le condizioni di ciascun progetto sono completamente dipendenti dal sito, il che include il contesto temporale o zeitgeist e il mio carattere. Così ogni progetto è terribilmente diverso anche se vincolato ad un’indagine impegnata sulla storia della cultura naturalistica e sulle questioni legate a come e cosa apprendiamo. Il mio rapporto con il soggetto e con l’oggetto del mio lavoro è un setacciare quindi. Sento che a rivelare di più sarebbe un po‘ come se Houdini avesse dato via il segreto del funzionamento di un trucco.
Massimiliano Scuderi: Neukom Vivarium è un lavoro ibrido che rappresenta un complesso sistema di cicli e processi. Quanto è importante il processo nel tuo lavoro ?
Mark Dion: Il processo è uno dei cardini del mio lavoro. Il lavoro è attivo e spesso raggruppa lo spazio espositivo, lo studio e il laboratorio. In numerosi progetti sono presente come una sorta di performer per almeno parte del progetto. Si tratta di un rapporto complesso con l’attività performativa, dato che non ho mai finto o non mi sono mai comportato come qualcun altro (un biologo marino o un archeologo per esempio), ma chiaramente non sono neanche me stesso. Anche nei progetti in cui il processo in atto non sia visibile, vi è spesso una rappresentazione teatrale che incarna il processo.
Mi sento abbastanza avido circa l’inclusione del processo, dal momento che sono spesso privilegiato nel condividerne la ricchezza avendo accesso a studi di artisti e a laboratori di scienziati. C’è una profondità e complessità circa quegli spazi che possono essere produttivi nel condividere. Non ho mai incontrato un dipinto che fosse più interessante nella galleria di quanto non lo fosse nello studio.
Il processo di esporre aiuta anche a contrastare l’autorità di un lavoro in modo produttivo. Ciò permette allo spettatore di capire la contingenza della produzione; per vedere che c’erano strade non percorse, decisioni che non erano inevitabili o naturali e spazio per errori. Ciò taglia dal basso l’autorità di un lavoro in senso partecipativo per gli spettatori.