AI MAGAZINE Anno 8 Numero 66 estate 2014
intervista a Fabiano Parisi
Abbiamo incontrato Fabiano Parisi qualche mese fa ad Arte Fiera a Bologna, dove ha esposto le sue opere. Incuriositi ed affascinati abbiamo chiacchierato con lui del suo lavoro, dei luoghi che ha visitato e immortalato nelle sue fotografie.
Abbiamo parlato di quella sottile linea temporale che sembra dividersi tra passato e presente negli scatti dei luoghi che rappresenta.
Nelle immagini dei teatri delle industrie o degli edifici in disuso l’eco di ‘ciò che fu’, si insinua immediatamente nella mente di chi guarda attraverso le sue rappresentazioni che sembrano sospese tra fotografia, pittura e narrativa. Ogni immagine ha una storia da evocare: suggerita, sussurrata, desiderata.
In questa breve intervista qualche informazione in più per capire chi è Fabiano Parisi, il resto nei suoi scatti.
Roberto Palumbo: «Come nasce il tuo lavoro e l’interesse per i luoghi che rappresenti?»
Fabiano Parisi: «Ho iniziato fotografando alcuni manicomi abbandonati mentre preparavo la tesi in psicologia e sono rimasto rapito dalle atmosfere rarefatte ed uniche di questi luoghi, dove si respirava ancora tutta la storia di ciò che era stato. Ho allargato poi la ricerca ad altri luoghi dimenticati e nel frattempo la fotografia è diventata un lavoro».
«Nascere e vivere a Roma ha in qualche modo influenzato la tua visione delle cose?»
«Sicuramente nella percezione e nel senso dello scorrere del tempo, Roma con la sua storia è una città straordinaria e difficile allo stesso tempo, da vivere e da fotografare. Un progetto a cui sto lavorando è proprio quello di confrontare le antiche rovine romane con quelle moderne che ho ritratto finora, che presenterò in autunno in collaborazione con la galleria Glauco Cavaciuti Arte a Lugano (Svizzera)».
«Come più volte citato, se gli scatti non rappresentano una forma di denuncia, cosa rappresentano allora?»
«L’obiettivo è restituire la maestosità e la magnificenza di questi luoghi ormai dimenticati e in via di estinzione, che sembrano far parte di un mondo parallelo.
Nella composizione delle fotografie sono stato colpito dalla forma, da linee e volumi, ma guidato soprattutto dalla luce.
L’intenzione è di dare alle mie fotografie una netta impronta di rigore e di forte contrasto tra luce e ombra, ed è proprio in questi luoghi che ho ritrovato il senso magico e simbolico di questo contrasto: la luce, che illumina la grandiosità delle architetture di un impero decadente, con ampie zone d’ombra e neri profondi, quasi a evocare la storia vissuta e facendone intravedere una nuova».
«La dimensione temporale degli scatti in cui si è trasportati è duplice: una dello stato attuale e una del fasto originale dei luoghi rappresentati. Questo lascia forse allo spettatore la possibilità di immaginare la seconda?»
«In questi luoghi il tempo è sospeso, immagino un inizio ma non vedo la fine così come vado oltre la visione nostalgica della rovina e del tempo che passa, concentrandomi sulla bellezza di ciò che rimane. Le fotografie sono state scattate in tutto il mondo senza per questo comporre una sorta di mappatura dell’abbandono, non c’è una geografia del luogo così come non c’è un flusso di tempo definibile, lo spettatore non conosce il dove e quando. C’e’ un doppio salto e le fotografie si possono leggere a vari livelli, tutto è lasciato all’immaginazione».
«Alcuni scatti appaiono impregnati di un surrealismo evocativo che sembra ricordare le atmosfere dei film di Kubrick ed in particolare di Shining. Un accostamento appropriato?»
«Nel mio lavoro c’è un doppio piano, quello assolutamente reale del luogo rappresentato e quello surreale che si sperimenta vedendo la magnificenza andare in rovina, si crea una strana sensazione di aspettativa ai confini tra fantasia e realtà. Il passato si concretizza nel vedere dei mondi dai quali pensi di essere distante ma in realtà questi sono la tua storia e ti appartengono. Anche tecnicamente le mie fotografie sono tutte a fuoco, c’è una visione ampia e non solo un particolare isolato, allo stesso modo nei vari luoghi ricerco sempre la stessa luce e questo non fa che amplificare l’aspetto surreale delle immagini».
Fabiano Parisi è nato nel 1977 a Roma, dove vive e lavora. Dopo la laurea in Psicologia decide di dedicarsi alla fotografia. Parisi partecipa alla 54°Biennale di Venezia, Padiglione Italia nel 2011, ed a Fotografia, Festival Internazionale di Roma, nel 2012 al museo MACRO. È finalista nel 2012 al Young Master Art Prize a Londra e nello stesso anno vincitore di un premio speciale al Premio Arte Laguna 11.12.
Nel 2010 è il vincitore assoluto a New York del Celeste Prize International nella categoria fotografia. Ha esposto le sue opere in diverse mostre personali, tra le ultime alla Diana Lowenstein Fine Art Gallery di Miami (USA) nel 2013, alla galleria Glauco Cavaciuti Arte nel 2011 e nel 2013, al Museo di Roma in Trastevere, con la mostra Il mondo che non vedo, nel 2010, e alla Fabbrica Borroni (Bollate, Milano) nel 2009.