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Ipso Facto (1999 - 2000) Anno 2 Numero 5 Settembre - Dicembre 1999



Plight di Joseph Beuys

Marion Hohlfeldt



Rivista d'arte contemporanea
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Joseph Beuys, Plight, 1985. Installazione: l'entrata, Musée National d'Art Moderne, Parigi.

Joseph Beuys, Plight, 1985. Installazione: prima sala, Musée National d'Art Moderne, Parigi.

Joseph Beuys, plight, 1985. Installazione: seconda sala. Musée National d'Art Moderne, Parigi.

"L'unica vera forza contro il principio di Auschwitz sarebbe l'autonomia, se posso permettermi di utilizzare l'espressione kantiana, la forza di riflettere, di autodeterminarsi, di non giocare il gioco. [...] La freddezza della monade sociale, del concorrente nel suo isolamento, era solo l'indifferenza nei confronti del destino degli altri - il che spiega il fatto che furono poco numerosi quelli che reagirono."
(Theodor W. Adorno, Educare dopo Auschwitz)

I. Nell'autunno 1985 Joseph Beuys realizzò Plight, il suo penultimo ambiente. Attento al senso etimologico, Beuys, scegliendo questo titolo, apriva una pista importante, da prendere in considerazione ancor prima di penetrare nello spazio dell'opera.
Vicina al tedesco Pflicht, la parola inglese plight trae origine dal verbo pflëgen (antico altotedesco). Significa da un lato la protezione e le cure, dall'altro il dovere in rapporto alla legge, il diritto e la religione1. Nel Medioevo il feudatario e il servo erano legati da una promessa di mutua fedeltà che implicava da una parte il dovere di protezione e dall'altra quello di obbedienza e di sottomissione. Ma in realtà era il rapporto di forza a dominare. E domina ancora tutt'oggi. Da qui deriva il senso negativo preso dalla parola plight quando non vi si vede altro che la nozione di dovere senza libertà di scelta; da qui anche l'importanza dell'apparizione nell'opera di Beuys della nozione di autonomia, nel senso kantiano del termine. L'essere umano possiede, grazie alla ragione, la facoltà di pensare, di volere e di agire liberamente. Su questa libertà si fonda tutto il resto. Sta all'uomo svilupparla per prendere coscienza della sua creatività e pervenire all'autonomia. Tuttavia, questa libertà viene dalla ragione, legata in questo caso a una volontà e a un'azione etica. La ragione costringe l'uomo e insieme lo rende libero; solo essa è la legge, che, provenendo dalla libertà, è allora dovere interiore.
Il termine plight designa dunque da un lato una situazione di costrizione in cui ci troviamo come esseri più o meno liberi, dall'altro un'esigenza morale che si deduce da questa libertà individuale, la responsabilità che incombe su di noi per noi stessi (l'autonomia) e per gli altri (l'imperativo categorico). Come esprime l'opera di Beuys questa esigenza e come rende visibile l'ambivalenza del termine plight?

II. Fin dall'entrata, lo spazio di Plight è sbarrato a livello del busto da sette rotoli di feltro semicilindrici formanti un elemento di base; sono riempiti di lana grezza, materia prima utilizzata nella fabbricazione del feltro2. Ognuna di queste sette colonne occupa un volume simile a quello del torso umano, la cui altezza è inferiore a quella di un uomo in piedi. Un secondo elemento di base appoggiato contro la parete, all'esterno, segna l'apertura, invitando lo spettatore ad entrare.
Entrare richiede tuttavia uno sforzo fisico allo spettatore, poiché è obbligato a piegarsi, movimento imposto dalla barriera. Occorre dunque innanzitutto passare una soglia, che distingue chiaramente lo spazio di Plight dagli altri spazi del museo. Questa costrizione rende evidente il passaggio da fuori a dentro e la separazione tra l'interno e l'esterno. In nessun'altra opera di Beuys il visitatore è forzato ad effettuare un determinato atto, ad effettuare un passaggio. Dovrà, solo come l'iniziato nel suo percorso di purificazione, compiere un "rito di passaggio" composto da una successione di obblighi che lo conduce a una presa di coscienza di ordine spirituale. "Lo scopo di questo rito è di rafforzare l'iniziato per le prove reali della vita. La strategia di un rito di iniziazione (in arte) significa dunque la speranza in un'esistenza migliore"3. Il passaggio è allora, per l'artista, uno strumento di speranza incaricato di provocare un cambiamento simile nello spettatore.
L'azione fisica del piegarsi rende visibile il significato negativo di plight evocando una sottomissione a condizioni imposte dalla forza. Il riconoscimento della sofferenza è tuttavia un'esperienza indispensabile sul cammino della liberazione interiore. Questo fatto, riconosciuto dalla psicoterapia, è stato anche vissuto dall'artista stesso4. Questa sottomissione necessaria che lo spettatore vive penetrando nello spazio creato da Beuys non è, beninteso, uno stato definitivo ma soltanto transitorio, che lo farà entrare dentro l'opera, nella sua interiorità. Attraversare una soglia è il momento essenziale del passaggio che lo condurrà a un altro livello di esperienza. Come ha mostrato Antje von Graevenitz, altre opere che ricorrono al modello del portale - La Porta dell'Inferno di Rodin, La Porta del Bacio di Brancusi, o diversi lavori di Christo, Nauman, Paik, tra gli altri - rimandano allo stesso "rito di passaggio"5.
Una volta attraversata la soglia, lo spettatore si trova al di là del mondo esterno. Lo spazio allora si apre e gli permette di raddrizzarsi. Vi distinguerà due sezioni, le cui pareti sono ricoperte da quarantatré elementi di base, ognuno formato da sette rotoli di feltro, installati in doppia fila.

III. Benché esista un disegno di Beuys (del ciclo Ulysse, 1958) che anticipa l'idea di tappezzare uno spazio con del feltro6, l'installazione di feltro di Plight è nata da una situazione concreta molto precisa: la galleria Anthony d'Offay di Londra, dove Beuys progettava di fare un'esposizione, si trovava minacciata dalla demolizione di un palazzo vicino, a tal punto che il gallerista pensava perfino di chiudere7. Beuys, già provato dalla malattia e non riuscendo più a farsi sentire, essendo la voce coperta dal rumore del martello pneumatico, decise allora di proteggere lo spazio da questa aggressione esterna.
Una volta staccata l'opera da questo contesto preciso, l'isolamento agisce ancora nei due sensi della protezione e della minaccia. Quest'ultimo aspetto dell'isolamento era stato oggetto nel 1983 di un altro ambiente, Hinter dem Knochen wird gezählt - Schmerzeaum: il piccolo spazio della galleria Konrad Fischer a Dusseldorf era stato per l'occasione rivestito di piombo, creando così un'atmosfera penosa di claustrofobia. La sensazione di isolamento vi era accresciuta dalla presenza di un telefono posto a terra, che, benché collegato, non permetteva di raggiungere nessuno. Tuttavia Beuys aveva simbolizzato la speranza attraverso la presenza di due anelli d'argento, metallo conduttore - contrariamente al piombo - del calore e del suono.
Ora, i due poli opposti - simbolizzati qui dal piombo e dall'argento - sono riuniti in Plight in un unico materiale, il feltro, isolante e calorifico allo stesso tempo. Con il suo aspetto isolante, il feltro accentua la divisione dello spazio tra dentro e fuori: dall'interno non è possibile più nessuna comunicazione con l'esterno. Lo spettatore - come l'iniziato - è solo, circondato da colonne di feltro. Come in ogni architettura che ricorre alla colonna, motivo preso a prestito dalla nozione di luogo sacro (la foresta, il tempio), l'aspetto di successione e di infinito sottolinea l'idea del passaggio. Se il feltro assorbe i rumori venuti dall'esterno, soffoca anche i suoni che potrebbero essere prodotti all'interno; ora, in questo spazio si trova anche un pianoforte a coda, ridotto al silenzio, come lo è lo spettatore.
Ma il feltro non è soltanto un isolante: con la sua capacità calorifica ha anche una funzione protettiva. Avvolgendo lo spettatore come una pelle8, lo protegge da qualsiasi intervento proveniente dall'esterno, portandogli insieme un sollievo interiore. Il feltro crea dunque un luogo chiuso inquietante e rassicurante insieme - principio preso a prestito dalla psicoterapia. Beuys afferma infatti: "L'arte è il processo terapeutico in sé. Non vedo nessun altro aspetto. Questo è il più essenziale in arte"9.
È con questo silenzio imposto, dalla tensione tra il potenziale sonoro (pianoforte) e l'isolatore (feltro), che lo spettatore è messo in situazione di ascolto, e si accorge allora del rumore del suo respiro o dei suoi passi. Come nel primo concerto silenzioso - 4'33" di John Cage (1952) -, i rumori dell'uditorio diventano il suono di questo passaggio silenzioso. In Plight, niente concerto ma un silenzio di attesa. Lo spettatore è solo di fronte a se stesso, di fronte alle proprie possibilità creative che potrà esprimere o meno. Sul pianoforte, un quadro nero incrinato, ricoperto di pentagrammi musicali privi di qualsiasi nota, lo rimanda al suo potenziale creativo, ma anche alla sua ferita, che dovrà guarire per ritrovare questo potenziale. Di traverso alla incrinatura del quadro nero, un termometro medico: simbolo della malattia, ma anche di un calore benefico. Con l'aiuto del calore possiamo attraversare il silenzio.
Isolante, emettitore di calore fisico, anche il feltro simbolizza il calore. Come in un processo alchemico, i materiali utilizzati da Beuys sono allo stesso tempo ciò che simbolizzano. La natura del feltro - materiale insieme organico e fabbricato - rende chiara la transizione tra il corporeo e lo spirituale. "[Il] procedimento della [sua] fabbricazione, eseguito ancora oggi a mano, [...] riproduce la tendenza naturale che ha il materiale d'origine [...] a intrecciarsi in modo duraturo sotto l'influenza dell'umidità, del calore e di una certa pressione"10. Beuys mette l'accento su questo processo, simile a un processo alchemico: la transustanziazione del materiale in spirituale.
L'utilizzo del feltro come pelle chiarisce questo processo che rimanda al rapporto contenitore-contenuto evocato in Plight. La pelle è il primo e più immediato mezzo di comunicazione che abbiamo a disposizione: attraverso l'epidermide riceviamo messaggi dall'esterno ed emettiamo i nostri. Il senso del tatto - nel suo duplice significato di toccare e di essere toccati - contribuisce all'esperienza dell'io11. Così la pelle di Plight - il feltro - rimanda a un dentro che sentiamo come esterno a sé, e simbolizza allora il processo del pensiero. Noi dobbiamo esprimere quello che abbiamo sperimentato all'interno: nel silenzio prendiamo coscienza del nostro potenziale creativo.

IV. La transizione tra corpo-inconscio e spirituale-cosciente è rappresentato dal passaggio tra la prima e la seconda sala. Di nuovo ci è richiesto di passare una soglia, poiché i due spazi sono nettamente separati da una "sbarra" di elementi di base.
Mentre il contenuto della prima sala era il silenzio - silenzio che ci rendeva coscienti delle nostre forze interiori -, la seconda sala è piena di vuoto; è lo spazio aperto che apre lo spirito alla sua facoltà di libertà. Il riconoscimento dell'io implica, come segnala questo passaggio, la sofferenza e la guarigione, entrambe significate dal feltro. Il feltro, materiale organico, ci mostra anche il cammino: l'armonia necessaria tra l'uomo e la natura, tra "gli uomini e gli animali, le piante, la terra"12.
Plight mette dunque l'accento sulle condizioni interiori che Beuys considera necessarie alla creatività che porta alla libertà: "sofferenza, calore, suono, plasticità, pienezza del tempo"13. È allora nella libertà, rifacendo il percorso in senso inverso, che la comprensione del titolo Plight diventa chiaro e che la nostra autonomia e la nostra responsabilità ci appaiono pienamente. Plight ci richiama al nostro dovere di non restare nella sofferenza, ma di reagire nella libertà ritrovata.

In "Cahiers du Musée National d'Art Moderne", n. 43, primavera 1993.
Traduzione di Lorena Peccolo.