I dipinti dell'artista raccontano di finestre e porte, di ambienti metafisici, di donne e di attese. Egli parte da immagini tratte da internet, dal cinema e dalla pubblicita' mescolandole ai capolavori dei maestri dell'arte.
a cura di Licia Spagnesi
Una donna si guarda allo specchio prima di affacciarsi alla finestra. Un’azione che ha compiuto forse migliaia di volte,
distrattamente. Un gesto quotidiano e banale, che nella pittura di
Claus Vittur assume però una valenza simbolica. La figura di spalle
si trova a tu per tu con la propria immagine riflessa dallo
specchio, un'immagine per la verità minuscola, ma incastonata nel
cuore del dipinto. Il tema della finestra e della porta torna
sovente nei dipinti di Vittur, caricandosi ogni volta di molteplici
sfumature. E’ la soglia che unisce e separa due mondi diversi, il
simbolo del distacco tra interiorità dell'individuo e ambiente
esterno, ma anche tra conosciuto e ignoto. La finestra aperta è un
invito a partecipare al fluire incessante della vita. La
consapevolezza della separazione tra le due sfere implica però anche
un moto di nostalgia, rafforzato dalla penombra che invade l’interno
cui si contrappone la luminosità dell’esterno. La solitudine della
donna rispecchia la condizione esistenziale dell’individuo che si
trova di fronte a una scelta significativa.
La presenza della figura umana è piuttosto rara nella produzione
dell'artista altoatesino. In questo caso, i richiami iconografici
abbondano nella storia della ritrattistica, da 'Donna alla
finestra' (1822) di Caspar David Friedrich a 'Lettrice' (1994) e
'Betty' (1988) di Gerhard Richter, per citare solo qualche esempio.
Se una figura di spalle ha normalmente la funzione di stimolare il
processo d'immedesimazione da parte dell’osservatore, invitandolo a
entrare simbolicamente nella rappresentazione, nel dipinto di Vittur
assume in più una connotazione fortemente autobiografica. La donna
sola di fronte a una scelta dolorosa, problematica, può essere
interpretata come l'alter ego dell’artista, che nel 2000 ha
abbandonato la carriera di scultore per rimettersi in gioco e
seguire la sua vocazione al realismo pittorico. Nato a Brunico nel
1967, Claus Vittur è infatti approdato tardi alla pittura. Così
racconta la svolta: “Se guardo indietro ai miei lavori, i primi sono
del 1989, vedo un percorso. Ho iniziato con la scultura, che però
sentivo stretta, troppo concreta, materica. Già allora cercavo
qualcosa di simbolico, tendevo a esprimermi con un linguaggio
analogico o metaforico. Così si è dissolta, è rimasto il disegno che
a sua volta tendeva a trasformarsi, è diventato un lavoro gestuale,
informale. Fin qui è stato un discorso riduttivo, distruttivo
(1989-1995). È seguita una pausa di cinque anni. Nel 2000 ho ripreso
a lavorare e questa volta con la pittura. L’unica cosa certa che
sapevo/volevo era che doveva essere gegenständlich, figurativa nel
senso di legata agli oggetti (Gegenstand in tedesco, ovvero obiectum
in latino, è ciò che è messo dinanzi alla vista o al pensiero).
Definire ciò che mi stava di fronte era indispensabile per definire
me stesso. Per me era fondamentale che l’osservatore potesse avere
accesso al lavoro, e questo tramite il 'motivo'. È iniziato un
percorso alla ricerca di 'motivi', di 'contenuto'. Un percorso, un
viaggio irrequieto attraverso luoghi, paesaggi sconosciuti, deserti,
desolati, solitari, freddi, attraverso delle situazioni che evocano
sensazioni, emozioni. Alla ricerca di immagini che corrispondessero,
che traducessero stati d’animo. D'altronde anche alla ricerca di
stabilità, di un punto fermo, conosciuto, protetto, familiare:
'Heimat, heimisch'. Dunque da un lato paesaggi, esterni, aperti,
irrequieti, in continuo movimento, dall’altro il desiderio di
protezione, di ambienti interni, di una casa, di stabilità. Da un
lato la scoperta, dall’altro un ritorno”.
Claus Vittur ambienta le sue storie in interni metafisici, deserti e
silenziosi, o in paesaggi altrettanto silenziosi e incontaminati.
Nelle stanze l'atmosfera è ovattata e tutto ruota attorno a un unico
protagonista: una sedia, una finestra, una porta, un vaso di fiori,
una fruttiera con qualche mela. Eppure gli ambienti non risultano
freddi, ma misteriosamente vivi, quasi accoglienti. Il vuoto e il
silenzio che vi regnano aiutano a percepire echi di un vissuto
quotidiano che suscitano ricordi ed emozioni. Il resto lo fa una
luce avvolgente, i cui bagliori l'artista sa catturare con
sentimento e maestria. Nei paesaggi Vittur ricerca visioni centrali
dalla prospettiva molto dilatata. Vero protagonista della scena è lo
spazio sconfinato, talmente vasto da apparire soverchiante, come
nella pittura dei grandi romantici. L’ambientazione indeterminata
suggestiona l’osservatore, trasportandone lontano i pensieri e le
sensazioni. Il dipinto non rappresenta la natura, ma la evoca.
Allude, lasciando alla fantasia un ampio campo d’azione. Una
brughiera lambita dalla bruma mattutina, foriera di presagi. Una
fila di abeti sovrastati da monti lontani come nuvole. Un orizzonte
alto, la cui linea non viene spezzata da alcuna cima, mentre le
montagne, che emergono da un mare di nebbia, paiono susseguirsi
all’infinito.
Come gli interni, anche i paesaggi sono ricostruiti fedelmente, ma
sottoposti a un procedimento di sintesi che li spoglia del
superfluo. Alla ricerca dell’ossatura del soggetto, Vittur sopprime
ogni possibile accessorio e, con una pittura minuziosa e delicata,
fatta di innumerevoli passaggi e velature, dipinge sensazioni. Parte
da fotografie, rielaborando immagini tratte da internet, dal cinema,
perfino dalla pubblicità, mescolandole a suggestioni dai capolavori
dei grandi maestri, dai paesaggisti dell’Ottocento fino agli interni
di Vermeer, di Morandi, di Hopper, di Gerhard Richter. Dalla foto di
partenza all’opera finale procede per sottrazione, intervenendo
sulla messa a fuoco, sulla prospettiva e sul colore, fino a lasciar
affiorare in superficie immagini che, nella loro disarmante
semplicità, finiscono per fissarsi in modo indelebile nella memoria.
L’atmosfera sospesa, sacrale fa esplodere d’intensità queste
immagini mentali che seducono lo spettatore, lo rapiscono, lo fanno
viaggiare in uno spazio onirico, al tempo stesso reale e
immaginario. Reale perché quelli che dipinge sono ambienti che
esistono davvero. Immaginario perché l'artista li ha spogliati di
ogni dettaglio, di ogni decorazione, perfino del colore, per
restituire la forma pura, l’idea dell’oggetto. Sta poi allo
spettatore completare il quadro attingendo alla propria memoria,
storia, sensibilità.
“Paesaggi – esterni – ambienti – interni – case – ultimamente anche
qualche figura femminile, da un po' sono apparsi degli oggetti,
delle nature morte, dei fiori, come se stessi arredando una casa,
come se stessi concludendo un viaggio metaforico alla ricerca di un
mio luogo”, racconta ancora l'artista. “Gli ultimi lavori, quelli
del 2010, stanno cambiando nel senso che il contenuto si sta
definendo. Avendo finalmente trovato il 'cosa dipingere', posso
dedicarmi al 'dipingere' stesso. Così ho la possibilità di
sperimentare nella pittura, nell’uso del colore, nella struttura
della superficie, delle pennellate. Variazioni su un tema,
variazioni del punto di vista sullo stesso tema. Fiori, mele, nature
morte, paesaggi, soggetti-oggetti, “Gegenstände”.
Licia Spagnesi
Inaugurazione: sabato 12 febbraio 2011 ore 18. Sarà presente l'artista
Duetart Gallery
vicolo Santa Chiara, 4 - Varese
Orari: dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30
e su appuntamento.