I profeti. Quando l'artista dipinge i suoi notturni, tutto lascia credere che egli abbia nella mente il famoso pensiero di Pascal: 'Le silence eternel de ces espaces infinis m'effraye'.
Nel suo lungo cammino creativo l’opera di Gaetano Carboni, così silenziosa, così spesso dimenticata, contraddice quasi ogni archetypos, ogni modello cui siamo abituati a ubbidire. La sua presenza nelle storie d’arte contemporanea è tanto più scarsa, quanto più intensa è la qualità della sua ispirazione. La sua “voce” non ascoltata, o non udita (da chi è sordo, dice Rilke, per accogliere la vera poesia), viene confusa con un sussurro indistinto, quando invece si alza chiara e pura, con il suo fulmineo splendore nella notte oscura dell’anima, insita nella visione come illumination. È in quelle storie, per non sapere, non gli viene assegnato nessun ruolo, lasciando che si consumi in se stesso, nel posto d’origine, il mito fragile di una regione, le Marche, poco frequentata dalla cultura maggiore. Ma non è così.
Quando Carboni dipinge i suoi “notturni”, tutto lascia credere che egli abbia nella mente il più famoso pensiero di Pascal: “Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraye”. Giunto a quel vertice, come Leopardi, si “spaurò” il cuore. Quella contemplazione cosmica desta altri echi al nostro pittore, prima inconsci poi consci, nella noesi dell’immaginazione che Leopardi nello Zibaldone dei pensieri chiama la “saviezza”, e che gli antichi chiamavano phronesis, cioè un sapere per la vita, “dove alcuni luoghi riposti nascondono la vista dell’astro luminoso”. La tavolozza carboniana si concentra nella durata. L’immagine così unita, così stretta, nel momento che tocca il suo culmine, riapre spazi nuovi, ma che sono tutti interiori, nella direzione del profondo, del rimando, dell’implicito: come se un raro macchiar di bianchi e una sottile riga argentata a metà di una tavoletta creassero una notte incantata di luna sulla terra.
In nessun modo le pitture di Carboni mi sembrano appunti, notazioni, dettate dall’intento di fissare fugacemente, per non perderli, un ricordo, un’idea, la visione di un battito di luce, d’ala o di vento. Esse, invece, contraddicendo spesso l’apparenza del loro stilema formale, posseggono tutte una resistenza intrinseca che le fissa, le completa e le chiude. Niente è provvisorio nel loro mondo; in ogni nebbia di colore agisce una forza di gravitazione che dà spessore. A volte l’immagine si fa nitida, come semplificata anziché sciolta dall’emozione: nasce una sottile plasticità, l’uso del contorno vibratile ed espressivo, il senso che le cose hanno un corpo, che i volti di Agamennone e dei Profeti nascondono tristezze, turbamenti, vaghi pensieri leopardiani, dove tra ondate di rêveries “un silenzio nudo, e quiete altissima, empieranno lo spazio immenso”.
Floriano De Santi
Dalla monografia Gaetano Carboni. Le epifanie cosmiche,
Ascoli Piceno, 2009
L'Idioma
via delle Torri, 23 - Ascoli Piceno
Feriali: 18 - 20. Festivi: 10,30 - 20
Ingresso libero