Opere impostate su una rete di corde che dialogano con lo spazio: si alleggeriscono, si aprono, intessono labirinti e ragnatele che si ramificano nell'ambiente circostante.
Matasse di colore:
fibre della natura, fili delle storie, bava degli spiriti…
Il lavoro di Cinzia Li Volsi affonda le radici nella sapienza artigiana della tessitura, sia per quanto concerne i materiali, che sono prevalentemente fili e fibre – ma anche pluriball, carte di caramelle, addirittura forchette e apriscatole, i materiali più diversi che si prestino a far parte dei grovigli che l’artista intreccia – sia per la gestualità che lo sottende, che ha la durata lunga, il tempo ritmato del tessere. Nel percorso dell’artista si può leggere tuttavia una progressiva emancipazione dagli aspetti più propriamente artigianali, dal tessuto in senso stretto, che si realizza attraverso la conquista della tridimensionalità. Semplificando un’evoluzione che in realtà, come indicano le date, non è cronologicamente lineare, si possono individuare un primo gruppo di opere basato sulla estroflessione dei tessuti, realizzati al telaio dall’artista, che si piegano ad includere lo spazio e vomitano il contenuto colorato dei loro fili – vedi Instabilità, un arazzo del 2006. Poi è la volta di grumi di filo, prominenti da un fondo di tela neutro: presenze totemiche, idoli dal fascino primordiale o figure archetipiche, come Ordine e caos, del 2005, oppure la Ruota della fortuna, del 2006. Questi grumi si sganciano quindi dalla tela di supporto e si fanno vere e proprie sculture tessili, ad esempio Feticcio, un lavoro del 2008, un ammasso antropomorfo di fili dalle cui barbe pendono etichette di marche d’abbigliamento – che offrono lo spunto, tra l’altro, per una ulteriore lettura: sembrano infatti indicare la versione moderna del feticcio, il mito consumistico del capo “di marca”. Rapportabili a questa fase sono anche le crisalidi di feltro e plastiche luccicanti, da cui fuoriescono protuberanze tentacolari che le fanno sembrare giganteschi paguri emersi da chissà quali profondità marine, con un che di mostruoso e fantastico insieme.
Gli ultimi lavori parrebbero tornare alla bidimensionalità. In realtà, trattandosi di opere impostate su una rete di corde, dialogano anche più intensamente con lo spazio: si alleggeriscono, si aprono, intessono labirinti e ragnatele che si ramificano nell’ambiente circostante. L’esempio migliore è Pontescalalabirinto (2009), in cui i fili costruiscono quella che potrebbe essere una scala o un ponte di corde, comunque un tramite da un luogo a un altro, e che è nel contempo un labirinto senza uscita. L’ultimo nato di questa fase abbraccia addirittura, idealmente, il mondo: è un planisfero, ed è realizzato in spago e ritagli di etichette – quasi a dire che tutto il mondo ormai si è ridotto a un mercato uniforme e globale.
Non insisterei però troppo sul contenuto concettuale di queste opere, che è indubbiamente presente ma non tanto da metterne in secondo piano la principale valenza, che resta il senso della materia, il piacere di percepire e far percepire le diverse texture dei materiali, il gioco di ritmi creati da nodi, punti, intrecci, il gusto del colore, caratterizzato da una forza esultante e primitiva. E tutto ciò deriva dall’artigianalità di cui si diceva, intesa nel miglior senso del termine: come dominio dei mezzi espressivi, sapienza del fare, “mestiere”, ma anche sperimentazione non finalizzata ad altro che al pieno possesso di tecniche e materiali. Da qui la capacità di sublimare il materiale stesso in qualcosa di diverso, che allude, evoca, racconta, talvolta denuncia, in una continua metamorfosi da cui scaturisce una sorta di artigianalità spirituale, la magia del gesto primo, atavico, che assume la materia informe e le dà un’anima.
Chiara Tavella
Inaugurazione 9 aprile ore 11.30
Associazione Culturale La Roggia
Viale Trieste, 19 - Pordenone
orari: mar-sab 16-19,30
Ingresso libero