Federico Bianchi Contemporary Art
Non tutto e' perduto! Una pittura che cerca l'essenza del reale e che ritrae chi ne ha smarrito il senso, per arrivare ad una riflessione imprevista sul mondo, sul nostro stare in esso e su come la pittura puo' mostrarcelo.
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Nel tempo e per ragioni diverse, di cui qui darò per ovvia necessità solo breve conto, si è andata formando in me l’idea che la pittura sia diventata la dimostrazione della mancanza di certezze che proviamo di fronte alla realtà, e che proprio questa sia la causa della sua persistenza come del suo nuovo ruolo. A nessuno, sono sicuro, sfugge che la partenza e buona parte della storia del dipingere si è svolta sotto l’influenza di una ragione - o meglio di una necessità - del tutto contraria. Ma il paradosso vero non è tanto in questo ribaltamento, quanto nel fatto che man mano che procedevamo nella capacità di riprodurre la realtà in modo sempre più verosimile, i dubbi sulla veridicità di quella stessa realtà aumentavano, e continuano ad aumentare. Chi crede oggi alla fotografia, alla presunta verità che dovrebbe testimoniare? E chi può pensare lo stesso di un video, o del virtuale ieri e del 3D oggi? Ma ancora: se l’immagine è manipolabile, chi può garantirci che non lo sia la stessa realtà?
Senza avventurarci troppo per paranoici ragionamenti, l’unica certezza a proposito del reale sta nella singolarità della sua percezione, che naturalmente non dà nessuna garanzia di verità genericamente condivisibili. Eppure e in tutta evidenza la realtà esiste, tutti continuiamo in modi diversi a confrontarci con essa, da cui procede anche la necessità di rappresentarla. È però altrettanto chiaro che siamo ormai giunti alla pacifica consapevolezza che rappresentazione e realtà pur somigliandosi molto, possono condividere poco. Ed è proprio qui che si è andato formando uno spazio e un ruolo in principio appunto non prevedibili per la pittura. La sua stessa condizione di pratica manuale realizzata da un individuo, che non ha alcuna pretesa di oggettività e che realizza una rappresentazione che con la realtà non ha alcuna decisiva verosimiglianza, ha infatti spostato la pittura sul ben diverso piano dello svelamento dell’essenza di quella stessa realtà. Quando riesce, la pittura scopre dunque quel nocciolo del reale, che a volte e improvvisamente balugina tra gli strati più superficiali dell’apparenza, come una rivelazione che ne modifica definitivamente la comprensione. La pittura si è trovata di fatto costretta a cercare questa dimensione, se non altro perché rappresentare la superficie della realtà oggi è per lei decisamente inattuabile e inattuale. Non sempre la pittura è consapevole di questa sua neo-condizione e non sempre riesce a perseguire e ottenere risultati in questo senso. Ma questo è parte inevitabile dello svolgimento complesso e contraddittorio di tutte le storie.
Eccomi quindi di fronte a questa geografia della follia dipinta da Domenico Piccolo. Una mappa del dolore e della solitudine, fragile e misteriosa. Una trama sottile di eventi e situazioni in cui il dubbio sulla natura della realtà è già intrinseca alla natura del soggetto rappresentato. Siamo di fronte all’incertezza elevata all’ennesima potenza. E attraverso questo doppio binario di una pittura che cerca l’essenza del reale e che ritrae chi ne ha smarrito il senso, perlomeno delle sembianze convenzionalmente condivise, si arriva ad una riflessione imprevista sul mondo e sul nostro stare in esso, ma nondimeno su come può mostrarcelo la pittura. L’impressione è che tutto all’interno di questi quadri sia muto. Mute sono le persone, muti i bambini e i malati, muti gli oggetti e gli ambienti. È come se i suoni fossero trattenuti dal monocromo della pittura che crea un’intercapedine isolante tra il nostro spazio e quello della rappresentazione. Improvvisamente è chiaro che l’elemento dotato di senso, quello che porta all’essenza di questa realtà di reclusione e di pena inflitta alla diversità, è proprio il silenzio. Decisamente poco figurabile e pittorico, il silenzio diventa invece il protagonista della rappresentazione di Piccolo, assommando su di sé tutti i silenzi che a vario titolo e in vario modo rendono possibile questo stato delle cose. Il nocciolo della realtà che ci appare improvviso e inderogabile sotto gli occhi è costituito proprio dalle cause che determinano quell’ottusa violenza, quella sottomissione e conseguente perdita di dignità, e che non sono affatto così lontane come ci piace immaginare dalla normalità della nostra sana vita quotidiana. Quelle cause sono infatti ascrivibili in senso più esteso, ma non meno concreto, all’esplicita pretesa dei poteri (e il plurale non è un errore) di dare di volta in volta un significato determinato ed univoco alla realtà, al quale bisogna corrispondere, pena appunto l’isolamento. Nel silenzio verso queste imposizioni coatte sta la causa dell’asservimento mentale, l’atteggiamento di cui tutti noi siamo colpevolmente responsabili. Ed è proprio di questo che ci parla la pittura di Piccolo. Guardando queste piccole e delicate superfici dipinte, viene fuori tutta la forza della ribellione profonda, dell’indignazione accompagnata da quella pietas che appartiene alla nostra più profonda e necessaria umanità. Ma non tutto è perduto. È sicuro. Se l’arte e la pittura, proprio e ancora la pittura, riescono a darci un segnale rilevatore del vero senso del reale in cui siamo, allora è sicuro che non tutto è perduto, malgrado appunto le apparenze.
Raffaele Gavarro
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NOT EVERYTHING IS LOST!
Over the time, and for various reasons of which I’ll here give little account for obvious reasons, developed in me the idea that painting has become the demonstration of the lack of certainties we feel before reality, and that this is the very reason of its persistence and new role. Nobody, I’m sure, missed that the start and most part of painting history took place under the influence of a totally opposite reason - or, better, a necessity. But the true paradox doesn't lie in this overturning, but in the fact that as we increased our ability to reproduce reality in a more and more likely way, the doubts over the truthfulness of that very reality increased, and keep increasing. Who can nowadays believe in photography, in the assumed truth it should witness? Who could think the same of a video, or of virtual yesterday and 3D today? But also: if the image can be manipulated, who can guarantee reality itself isn't as well? Without venturing too much into paranoid reasoning, the only certainty about the real lies in the singularity of its perception, which naturally doesn't give any guarantee of generally sharable truths. Therefore, and in all of its evidence, reality exists, we all keep facing it in different ways, from here proceeds also the need of portraying it. It's however as much that we now got to the pacific consciousness that representation and reality, while being so similar, can share little. And here developed a not foreseeable space and a role for painting. Its condition of man-made manual practice itself, with no pretension of objectivity and which realizes a representation which has no decisive similarity with reality, indeed moved the painting on the very different level of unveiling the essence of that very reality. When succeeding, painting discovers therefore that core of the real, that sometimes and suddenly glimmers between the most superficial layer of appearance, like a revelation modifying definitively its perception. Painting was in fact forced to find this dimension, if only because portraying the surface of reality is today clearly impracticable and irrelevant for it. Not always painting is aware of this neo-condition of its, and not always it can pursue and obtain results in this sense. But this is an unavoidable part of the complex and contradictory development of all stories.
Here I am therefore in front of this geography of madness painted by Domenico Piccolo. A map of pain and solitude, fragile and mysterious. A thin pattern of events and situations where the doubt over reality's nature is already intrinsic in the portrayed subject. We are before uncertainty to the nth degree.
An through this double track of a painting researching the essence of the real and portrays who lost its sense, at least of the conventionally shared features, we get to an unexpected reflection over the world and our being in it, but not less over how painting can show it to us. The impression is everything inside these paintings to be mute. Mute people, mute children and ill people, mute items and settings. It's like the sounds were held by the monochrome of the painting which creates an insulating gap between our space and that of the representation. Suddenly it is clear that the meaningful element, the one bringing to the essence this reality of reclusion and inflicted pain to diversity, is the silence itself. Definitely little portrayable and pictorial, silence becomes the main character in Piccolo's representation instead, adding on itself all of the silences which for various purposes and in various ways make this state of things possible. The core of reality which appears sudden and mandatory under our eyes is made by the causes which determinate that narrow-minded violence, that submission and consequent loss of dignity, and which are not as far as we like to imagine from the normality of our healthy everyday life. Those causes are indeed ascribable, in a wider but not less concrete sense, to the explicit claim of the powers (and the plural is not a mistake) to give from time to time a clear and univocal meaning to reality, which one must match, being isolated otherwise. In the silence toward these compulsory impositions lies the cause of the mental subjugation, the behaviour of which we are all guiltily responsible. This is what Piccolo's painting talks about. Looking at these small and delicate painted surfaces, all the power of deep rebellion, of indignation accompanied by that pietas which belongs to our deepest and most necessary humanity, comes out. But not everything is lost. That's for sure. If art and painting, just and again painting, manage to give us a revelatory signal of the true meaning of the real we're living in, not everything is lost for sure, despite precisely appearances.
Raffaele Gavarro
Inaugurazione 29 settembre ore 18.30
Federico Bianchi Contemporary
via Imbonati, 12 - Milano
Orario: mar-sab 14-19
Ingresso libero