Quizas manana haya desaparecido. In mostra piccole strutture instabili che l'artista costruisce e manipola attraverso particolari processi pittorici e di assemblaggio. No Fixed Form, minime, silenziose, precarie, fragili, post-esistenzialiste.
a cura di Teresa Macri'
La galleria Extraspazio presenta dal 4 Ottobre la mostra Quizás mañana haya desaparecido (Forse domani sarà scomparso), prima personale italiana di Guillermo Mora.
No Fixed Form. Minime. Silenziose. Ansiose. Precarie. Fluide. Reiette. Fragili. Turbate. Attraenti. Plasmatiche. Tentanti. Post-pop. Le sculture di Guillermo Mora sembrano cogliere la condizione liquida del soggetto nello snodo critico e globale dell’attualità. Nella loro molteplicità materica e nella loro informe e instabile consistenza esse transitano come presenze discrete in un universo oggettuale in cui ancora inopportunamente, tediosamente e inadeguatamente striscia un’estetica spettacolare e perfettamente manipolata, vacuo retaggio di un’opulenza oggettuale post-Ottanta ed emblema simbolico del feticismo post-capitalistico tecnocratico.
Ma queste piccole sculture no fixed form, manipolate attraverso un processo pittorico post-esistenzialista che attraversa lo stato di solidificazione, o che si reifichino come tali dopo essere state rubate alla loro anonima casualità di oggetti da strada (dunque homeless materials), o che si assemblino fra loro per empatia, o che sembrino essere state masticate come caramellose chewing gum, ci catapultano nello stadio dell’incertezza. Al tempo stesso esse ci rituffano in quell’estetica della precarietà che artisti di controtendenza come Jason Rhoades, David Hammons, Gabriel Orozco, Rirkrit Tiravanija, Bojan Šarčević, Dieter Roth (e molti altri e per molti versi) hanno adoperato come critica al sistema tardo-capitalistico, galvanizzato e strutturato come universo del vuoto oggettuale, iper-sensazionalistico e che ora appare in tutta la sua molestia e pateticità.
Le sculture di Mora, in realtà, hanno la più intima e quasi ludica volontà di reclinare sul proprio Sé e indagare sul proprio senso di inadeguatezza, di disagio e di sospetto che, suo malgrado, si coagula con lo stato di indeterminatezza globale. In esse appare un barlume di critica al reale e l’imbarazzo del perfezionismo (illusorio e affabulistico) oggettuale e sistemico di un universo clonato, menzognero, improvvido e molto poco realistico nel quale si è navigati in superficie e ora si è annegati. Quizás mañana haya desaparecido è quasi un aforisma dell’artista, la sua beffarda consapevolezza della liquidità del reale, dell’Io, della materia, dell’oggetto, del pensiero. Quizás mañana haya desaparecido non pone la questione apocalittica dell’esistenza del mondo bensì innesca il dubbio dell’habitus in cui un Sé dialogico (e tutto il suo universo fantasmatico) si potrebbe ricollocare. (Teresa Macrì)
Inaugurazione: Martedì 4 Ottobre 2011 alle ore 19.00
e x t r a s p a z i o
via San Francesco di Sales 16/a, Roma
Orari: dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30
e su appuntamento
Ingresso libero