Nei dipinti di Zucchini e' indefinita la scelta tra astrazione e figurazione, nel nome di un'idea di pittura libera da schemi e formalismi. Benuzzi interpreta la carta attraverso una pittura vellutata e l'uso dei pastelli.
Giorgio Zucchini interpreta una tradizione pittorica che non ha mai avuto esitazioni a lasciare indefinita la scelta tra astrazione e figurazione, nel nome di un’ idea di pittura libera da schemi e formalismi. Allievo di Vasco Bendini, ha certamente sviluppato una spiccata originalità a coniugare la tendenza verso l’osservazione della natura ad un’acuta predisposizione verso le regolarità e le strutture, quell’astrazione che non si è mai condensata nella geometria. Anzi, la sua è una vera e propria analisi delle forme, una scoperta di quel “senso dell’ordine” di cui ha scritto Ernest Gombrich e che combina la decorazione con il naturalismo, l’astrazione con la morfogenesi.
Zucchini ha anche scelto la strada di Graham Sutherland per avvicinarsi a quel concetto ipernatura che non perde mai riconoscibilità, stando distante dalle tentazioni della mimesi. Questa è sempre evitata anche perché l’artista predilige la bidimensionalità, anche adoperando tecniche come la guache o la tempera che sono proprie della grafica. Ma non si tratta di una scelta occasionale o “minore”, si tratta di una scelta poetica precisa in cui si legge in controluce la passione per l’arte giapponese che non ha mai conosciuto l’iperbole e le angustie della prospettiva. Giorgio Zucchini coglie emozioni visive dall’universo dalla musica, dalle foglie, dalle nuvole in cielo o dalle piume degli uccelli, restituendo delle forme che si assemblano in modo apparentemente casuale e mai caotico. Vi è principio di composizione e bellezza che le rende non solo piacevoli ma anche vere. Il riscatto dell’arte sta proprio nello scoprire queste regolarità, le ripetizioni e i pattern che anche se non diventano mai rigide geometrie, sono sempre scaldate dal colore che crea spessori e riverberi, aloni e diffusioni. La sua idea artistica costruisce una natura rifratta di brina, come se un velo addolcisse la realtà della visione in una visione di un ordine che non si ripete, di una bellezza che cerca sempre di replicarsi nella diversità, per restare se stessa.
Bruno Benuzzi, allievo qualche tempo fa dello stesso Zucchini, per la prima volta ha interpretato il medium della carta. La sua tecnica che rende la pittura vellutata, tattile sulla carta, recupera con naturalezza il disegno e in certi casi i pastelli rendono tutto più morbido e docile. Le direzioni dell’artista spaziano dall’arte fiamminga (Brueghel, in particolare) alla musica e al cinema visionario di un Herzog. Il suo universo è composito, specchiato nell’ironia dei titoli che giocano un ruolo mai di sottolineatura e spesso di completamento dell’opera. Ma Benuzzi ha anche un grande senso del rapporto tra vuoto e pieno che sfiora l’orientalismo, la sua accuratezza nella scelta dei colori, sempre sorretta da motivazioni ragionate, si unisce ad una libertà compositiva che negli anni è diventata chiaramente riconoscile.
In quest’ occasione ha scelto anche di esporre dei lavori non pittorici, lavori degli esordi, delle reliquie in cui la natura compone materialmente una maschera, un teatrino. Ma certamente disegno e pittura sono i segni del suo lavoro. L’artista ha un particolare senso per la grafica, la sua vasta cultura musicale lo ha portato spesso a confrontarsi con le copertine degli lp pop-rock, che sono state per la generazione dei nati negli anni Cinquanta, una grande scuola di soluzioni immaginarie. Benuzzi, protagonista negli anni Ottanta con i Nuovi Nuovi del ritorno alla pittura e al colore, ha creato una surrealtà di gusti e citazioni, talvolta mescolando i media eppure sempre tenendo fede ad una poetica legata al meraviglioso. Il gusto per l’esotismo, anche salgariano, riverberato dalle soluzioni compostive, rivela anche una profonda conoscenza dell’arte e delle classificazioni naturalistiche. Benuzzi ha creato un mondo in cui cultura alta e bassa s’incontrano, gli album le citazioni colte sono messe sullo stesso piano di una silhouette che ricorda una chitarra Fender, il trio Lescano e Gustav Mahler. In fondo Benuzzi è un artista pop e tale rimane. Questi ultimi lavori passando dal supporto ligneo alla carta esaltano in contrasto bianco e nero colore, sfondo e figura. I formati tendono a restare irregolari perché l’artista ha sempre rifiutato ogni standard preferendo progettare personalmente la forma del supporto.
Due generazioni di artisti, quindi, che rappresentano una linea bolognese verso la permanenza della pittura nel contemporaneo in quanto senso irrinunciabile alla scoperta del rapporto tra l’artista e la realtà, una storia che aspetta ancora di essere pienamente compresa.
Inaugurazione 21 gennaio ore 18.30
Galleria Artforum
via dei Bersaglieri, 5/E Bologna
orario: da martedì a sabato ore 10-12 e 15-19
Ingresso libero