Beyond the Red Door. Il "Padre della Pop Art Russa" intende l'arte come un complesso di cose create artificialmente. Un percorso espositivo diviso in 8 sezioni in cui 120 opere pittoriche sono presentate insieme ad un corredo di fotografie e video.
a cura di Elena Rudenko
Quella che si potrà ammirare dal 7 giugno al 28 settembre all'Università Ca'
Foscari sarà la prima mostra italiana di Mikhail Roginsky, il cosiddetto "padre
della pop art russa".La mostra «Mikhail Roginsky. Oltre la Porta rossa» è
organizzata dalla Fondazione Mikhail Roginsky in collaborazione con il Centro Studi
sulle Arti della Russia CSAR dell'Ateneo veneziano e con il sostegno della
Fondazione IN ARTIBUS, nell'ambito della 14. Mostra Internazionale di Architettura -
la Biennale di Venezia.
La scelta di Elena Rudenko, curatrice dell'esposizione (Commissario del progetto:
Ekaterina Kondranina; Direttori scientifici: Prof.ssa Silvia Burini e Prof. Giuseppe
Barbieri) è precisa: focalizzare la mostra sulle opere della maturità dell'artista
(1978-2003). L'arco di anni in cui Mikhail Roginsky visse a Parigi. Questo
fondamentale periodo di Roginsky sarà così indagato in modo ampio, con un focus
sulla pittura e sui concetti strutturali ad essa immanenti: colore, forma,
costruzione.L'esposizione, e non è un caso, prende avvio da un'opera precedente
alla stagione parigina. Con quella «Porta rossa» (1965) che appartiene al periodo
sovietico dell'artista e che di lui è certamente una delle creazioni più famose ma
anche una delle più ermetiche. La «porta» è idealmente quella che l'artista
scavalca, abbandonando il cliché di artista politicizzato, dedito a concezioni
complesse, per approdare appunto ai nuovi ambiti della pittura.
Spesso considerata dai critici come un oggetto del ready made, la "Porta"
preconizza invece proprio il suo passaggio alla pittura: l'artista stesso
sottolineava lo stretto legame di quest'opera con la pittura da cavalletto. Con "La
porta rossa" Roginsky dichiara la volontà di superare ogni convenzionalità del
linguaggio artistico dominante. L'opera rappresentò, nell'Unione Sovietica
postbellica, uno dei primi tentativi di de-costruzione della bidimensionalità della
superficie pittorica. Qui si trovano le premesse del suo manifesto antiestetismo,
l'avversione dell'artista per la stessa parola «arte», da lui intesa come un
complesso di cose create artificialmente, avvizzite dal secolare uso o oberate dal
peso di una ipocrita ideologia.
I curatori della mostra propongono di lasciare fuori dalla porta il cumulo delle
erronee definizioni, di destituire gli stereotipi che hanno snaturato la percezione
dell'opera, tornando alle sue origini. La mostra si snoda come un racconto del
complesso iter evolutivo dell'artista, per questo il motivo conduttore costitutivo è
il viaggio come metafora del cammino creativo.
Si tratta di un viaggio privo di uno schema consequenziale, deputato a semplificare
la comprensione dell'opera di Roginsky. L'artista è presentato in tutta la sua
ampiezza creativa e l'unità del quadro generale non si basa sull'elemento
cronologico ma sul materiale visivo della mostra.
Dallo spazio con le nature morte semiastratte sugli scaffali, che superano la
figuratività, lo spettatore passa verso una natura morta minimalista rappresentata
da semplici «ritratti» di oggetti semplici, incrollabili nella loro plastica
certezza. Dalla sala con i grandi lavori acrilici su carta, che simulano
l'imperturbabilità della pittura «alta» e interpretano in modo ironico i suoi generi
principali, lo spettatore entra nell'alterato, suggestivo mondo dell'espressionista,
che tenta di dare voce urlata, per mezzo dell'arte, al tormentato processo di
perdita dell'armonia. Il tutto lungo 8 sezioni in cui le 120 opere sono presentate
insieme ad un ampio corredo di immagini fotografiche e video (molti inediti). A
documentare un percorso che prende avvio dal momento in cui l'artista fa nuovamente
ricorso all'abc della pittura, ricercando i colori puri e mischiati, le correlazioni
tra i volumi, il ritmo compositivo. Per approdare alla fase conclusiva della su
ricerca e della sua stessa esistenza. Quando i frequenti rientri in patria stimolano
un nuovo cambiamento nella sua pittura.
La Mosca sovietica e post sovietica acquisisce lo stesso valore di fatto artistico
che ebbe Parigi per gli Impressionisti o la profonda America per Edward Hopper. La
Mosca di Mikhail Roginsky, un mondo ispirato dalla sua memoria e immaginazione,
spinge lo spettatore alla «riconoscibilità» di luoghi, situazioni e personaggi
concreti. Stimolando chi guarda a percepire le tele bidimensionali come un
corrispettivo della realtà.
Progetto presentato da: Fondazione Mikhail RoginskyPresidente della Fondazione
Mikhail Roginsky - Inna Bazhenovain collaborazione con CSAR Centro Studi sulle Arti
della Russia, Università Ca' Foscari, Venezia
Commissario del progetto: Ekaterina Kondranina
Direttori scientifici: Prof. Silvia Burini e Prof. Giuseppe Barbieri
Allestimento
architettonico: Eugene Asse / asse architects
Immagine: Porta, 1965. Legno, olio, metallo (maniglia della porta) Collection of Leonid Talochkin Private collection
Ufficio stampa
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo tel. +39(0)49.663499, gestione3@studioesseci.net
Ufficio Comunicazione e Relazioni con il Pubblico, Università Ca' Foscari, Venezia; Tel. 041.2348368, comunica@unive.it
Press Brunch Giovedì 5 giugno, 10-12 e Venerdì 6 giugno, 10-14
Inaugurazione ufficiale venerdì 6 giugno ore 18, reception ore 19
Ca'Foscari Universita' degli Studi, Dorsoduro 3246 Venezia
Orari: 10-18. Chiuso il martedì
Ingresso libero