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Ascolta le luci
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approfondimenti

Walter Fusi



 
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12/3/2004

Ascolta le luci

Open Art, Prato

Walter Fusi. A volerne riassumere di primo acchito la lettura (o prospettiva) in cui la orienta il pittore stesso, ormai da vent'anni, basterà indicare le composizioni reticolari in cui lui giustappone molteplici tele o carte nell'intento, più apparente che sostanziale, di articolarli in polittici ispirati alla poesia polifonica dei 'car-mina burana' fortunosamente giunti fino a noi dall'alto medioevo.


comunicato stampa

La luce attraversò i millenni della storia dell'arte in una manciata di minuti. C'era un pittore astratto che dipingeva luci, fuochi estesi dal postmoderno al medioevo. Come i colori emanano dalla luce, così le sue luci emanavano dal colore. Luci lente, luci istoriate, pitture dagli innumerevoli istanti. In cinquant'anni, il pittore poté vedere pochi secondi di luce. Poi ne ascoltò l'eco, poi l'eco si spense. Si narra che la storia dell'arte frequenti sovente il buio.

Un artista ha compiuto le nozze d'oro con la pittura. Per festeggiarlo, noi l'avvitiamo in un bilancio storico che assume di solito una prospettiva rovesciata nel tempo, simile a una piramide vista dall'alto. Qui, sul vertice della piramide visiva, premettiamo le storie e i valo-ri del passato insieme con le origini della nuova opera. Là, in fondo alla prospettiva, ponia-mo l'artista e gli esiti da valutare. In tal modo, implichiamo perlomeno un invito al giudizio:
riuscirà, questo artista, a raggiungere la cima della piramide dei valori? E come e quando?
Un'ottica storica che tenda a distanziare il lavoro dell'artista lungo le focali interpre-tative di un casellario, sarà difficilmente una bella festa per un'opera moderna, già distante e scissa nei suoi propri frammenti. Farle riattraversare i decenni di lotta e le referenze vaghe e le antiche compagnie prova spesso che 'l'inferno sono gli altri', come ha detto un filosofo.
No, l'artista contemporaneo preferisce ravvicinare lui stesso tutti i suoi vari percorsi, inserendoli nella comune prospettiva che proietta una piramide vista dal basso, in un'ottica più strutturale di cui avrà cercato di occupare insieme il primissimo piano e il fondo. Vuole sostare in un'opera restituita tutta al presente, nomade nel linguaggio e stanziale negli esiti.
Nelle pause tra gli atti creativi, forte di un'opera che ha giudicato gli altrui linguaggi, l'artista ancora vivido si fa demiurgo del proprio lavoro per meglio orientare i futuri giudizi storici. Allora ordina i suoi esiti variegati sul proscenio di un'attualità estesa quanto la storia che ha attraversato. Qui, sul primissimo piano della prospettiva corretta, lui alza l'organismo dell'opera nella configurazione delle sue funzioni più intime: i respiri, l'anelito, le venature. E là, nel punto di fuga della piramide proiettiva, fissa le mete traguardate tuttora dall'opera assieme alle origini. Così sospende la cascata dei risultati lungo i fili verdi del loro progetto.

Sto parlando dell'opera di Walter Fusi, naturalmente. A volerne riassumere di primo acchito la lettura (o prospettiva) in cui la orienta il pittore stesso, ormai da vent'anni, basterà indicare le composizioni reticolari in cui lui giustappone molteplici tele o carte nell'intento, più apparente che sostanziale, di articolarli in polittici ispirati alla poesia polifonica dei 'car-mina burana' fortunosamente giunti fino a noi dall'alto medioevo. In questi 'ensemble' non c'è alcun impianto prospettico, essendo piani come una partita di domino; né c'è il costrutto proprio del polittico, poiché mancano di articolazioni spaziali e di sequenze temporali; né si intrufolano parole scritte o note musicali. Ma la pittura di Fusi è quadro, organo, e canto, ciò nonostante. In gran parte dei suoi quadri passati e presenti prolifera un'identità plurima, altri (Deleuze) la direbbe rizomatica, scarsamente percepita fino all'avvento dei loro 'ensemble' polivisivi, intitolati Carmina Burana. Questi orientano la lettura dell'opera verso una dop- pia esperienza, la loro simultaneità dei punti di vista e la nostra sinestesia delle percezioni.

Un dettaglio può esserci d'aiuto. Fra le immagini di Fusi ricorre la parabola plastica di due triangoli appaiati e invertiti. L'uno punta in alto e l'altro in basso, l'uno a est e l'altro a ovest, o altrimenti. Similmente sono invertite la piramide prospettica dell'artista e quella del suo storico? E' ciò che ho tentato di premettere. Sono, l'una e l'altra, compresenti entro i consuntivi di un'opera d'arte? Ovviamente sì. L'incontro scontroso dei due triangoli di Fusi produce dialettiche strepitose: se l'uno è una vela, l'altro è una pinna; se questo è una trinità, quello è un pube. Vedere in loro un pollice verso e un segno di grazia non è poi esagerato.
Sono numerose, del resto, le opere d'arte moderne che hanno avanzato il principio di autoanalisi e preparato il terreno delle loro interpretazioni a uso degli storici, impalcando sul pubblico le acrobazie delle gesta e gli strapiombi delle dichiarazioni. Alcune (le avanguardie dette storiche) si sono date un'indipendente costituzione statuale mediante i manifesti; le più hanno preso in prestito strategie esotiche (come il paradigma dello stallo nel finale di partita per lo scacchista Duchamp) oppure il complesso della Sindone (evidente in Yves Klein, sep-pure taciuto). Insomma, si riconosca agli artisti il diritto di farsi ermeneuti della loro verità.
Ci sono poi quelli che si storicizzano da soli, intrufolandosi fra i maestri. Però non so perché la contemporaneità sia tanto sollecita nel fornire codici di lettura assieme alle opere. Che sia una ricaduta capitalistica della liberalizzazione concettuale dell'arte? Pretendere che le proiezioni storiche e culturali rispettino la tua arte per ciò che mostra, prima che il mondo ne faccia ciò che vuole, è cosa giusta. Abituare gli spettatori ai breviari d'autore, lo è meno.

Semplice come un alveare di sguardi, la teoria parietale di quadri assemblati da Fusi è di tutt'altra pasta. La pittura, non basta guardarla. La si può pensare, la si può cantare e, nel caso, anche ascoltare. Per essere partecipi degli atti creativi dobbiamo potere dispiegare tutta la parabola dei nostri sensi, unendone le pieghe. Questa è un'esperienza sinestetica di base, già invitante presso gli artefatti unitari degli antichi, e poi necessaria al collante dei frammenti sospesi dai moderni. Come sanno bene le spie, ciò che non possiamo vedere, dobbiamo tentare di ascoltarlo.
Sto parlando sempre dell'opera di Fusi, ovviamente. Ma intendo evitare di collocarla a cuor leggero in questa o quella vicenda artistica dell'ultimo mezzo secolo di storia, poiché è un'avventura discreta dello spirito critico e della visione ottica. Perciò, tenterò qui di farne trapelare alcune evidenze visibili, parte della verità, nella distanza di un riassunto narrativo.
E' ben 'discreta', l'opera di Fusi, due volte discreta, in quanto utilizza la pittura, che taluni considerano (a torto) un mezzo espressivo ormai moderato, e in quanto ha scelto ritmi di discontinuità nei suoi sviluppi. Discreto, nel gergo scientifico, sta per 'distinto', l'opposto di continuo. Così l'opera si è liberata (per sua fortuna) dal persistere nell'abitudine all'arte.

Dare conto sia della discrezione con cui essa ha sempre evitato grida intellettuali, sia della discrezionalità dei suoi passi decisivi, è un motivo che ricorre in tutti gli interventi dei suoi estimatori. Altri dirà, con l'autorevolezza di una lunga frequentazione, come introdurci alla storia circostanziata dei suoi esiti e del suo tempo, alla luce degli affanni esistenziali del pittore e delle circostanze culturali dell'epoca in cui l'opera è cresciuta per cinquant'anni.
Qui, io vorrei ravvicinarne le fibre, la sua struttura, provando a tirare qualche filo dal suo linguaggio complesso, il cui tessuto è ancora lungi dall'essere gravato dai bilanci storici.
Fusi è un artista tuttora al lavoro. Da qualche anno va assemblando i suoi quadri in una sorta di regesto d'autore. E' il motivo ricorrente dei suoi Carmina Burana: mi occuperò di questi in particolare. Chissà, potrebbero comporre rettangoli astuti, quadrati magici. Rivediamoli.

Sia detto senza pontificare, ma un'opera d'arte sotto i nostri occhi, qui e ora, si decli-na sempre al tempo presente (lo insegnava Argan). Non è la battaglia di Waterloo che data il dipinto su cui fu raffigurata, ma è il suo linguaggio in atto (lui diceva così), quale vediamo e interpretiamo oggi. Il linguaggio si mostra dunque al presente. Lo vediamo anche nei quadri informali di Mathieu, sciabolati di attimi fuggenti e colori evocanti antiche battaglie, benché la sua pittura da 'samurai' sia invecchiata rispetto alle performance di Pollock e del Gutai.

Lo confermano infine 'les voix du silence', le voci del silenzio care a un romanziere che poneva orecchi, oltre che gli occhi, alla compresenza di tanti capolavori di paesi diversi e di epoche diverse in un presente continuo, così continuo da non emettere né fiato né iato: e tali da essere conclamati (da Malraux) 'contemporanei dell'eternità'. Tutti i loro linguaggi parlano al presente. E' l'eternità che frana, da quando gli infiniti (di Cantor) sono molteplici.

Annotiamo, qui giunti, un antefatto significativo. Nella stretta concatenazione con la quale Fusi fa evolvere da ciclo a ciclo i suoi nuclei cromatici graffiati da segni, il dispositivo sintetico a rete dei Carmina Burana, iniziati verso il 1986, ha un'antecedente nella griglia analitica a riquadri in cui venivano disposte, già un decennio prima, le Penetrazioni nello spazio. Se tale reticolo fosse musivo, sarebbe un mosaico bizantino sorto in area minimale.

Noi pensiamo all'evolversi di un'opera come all'eterna mutazione da un bruco a una farfalla (o viceversa), ma l'arte nasconde nelle maniche altre astuzie. Una di queste consiste nello sfruttare lo slancio propulsivo delle mode di passaggio per spingersi in altre direzioni. Imita gli astronomi e i fisici spaziali quando agganciano navette e sonde alla gravitazione di Marte che le rilancerà a Giove e così via per farle viaggiare a spese dell'energia del creato. Similmente ha rilievo, nell'attività pittorica di Fusi la pratica costante, di trarre un'esplicita forza propulsiva da un'esperienza precedente a favore dell'innovazione successiva, non disdegnando di agganciarla all'energia residua dei maestri storici.
E d'altronde, l'artista di Colle di Val d'Elsa non ha mai tralasciato di informarsi sulla ridda delle novità e le mode che sfrecciavano al largo della scena artistica internazionale nel corso dei decenni, né di prenderne nota con la coda dell'occhio, pur essendosi confinato nel nativo suolo senese, ciò che ha favorito l'affascinante prolificità dei suoi quadri quotidiani. Per aver guardato agli artisti emergenti nell'arco delle varie forme d'arte, Fusi li ha guardati, ma con distacco. Si direbbe che una delle passioni più rarefatte di Fusi consista nel porsi alla maggiore distanza possibile dalle luci degli altri mondi.
'La teoria della gravità quantistica a loop prevede che lo spazio sia proprio come gli atomi', annunciano gli scienziati. Misurando una quantità, il volume, hanno sperimentato che questa fornisce solo un insieme discreto di valori. Risultato, 'il volume esiste in 'pezzi' distinti'. Gli inesperti di fisica e matematica, quali noi siamo, hanno gusto a curiosare in certe ipotesi e idee avanzate or ora dagli scienziati (nella fattispecie, da Lee Smolin su un recente fascicolo di Le Scienze), non solo per rabbrividire oltre nell'oscurità, cui l'arte li ha abituati. Può capitargli anche di spaziare per magnitudini che sono vertiginose nei loro termini stessi, come nei seguenti calcoli: 'Così, la teoria prevede che ci siano circa 1099 atomi di volume in ogni centimetro cubo di spazio. Il quanto di volume è così piccolo che ci sono più quanti entro un centimetro cubo di quanti centimetri cubi ci sono nell'universo visibile (1085).'
Bene, ma a che pro saperlo? D'ora in poi, le nostre semplicistiche nozioni di spazio e tempo, invadenti nella vita, invasive dell'arte, le sogguarderemo nei loro granuli insospettati con qualche grano di sale in più? Benissimo, però non basta. Ben presto ci domanderemo se anche taluni linguaggi dell'arte moderna non abbiano già previsto, per caso, per genio, come stanno davvero le cose nei loro stessi esiti plastici e visivi: atomi di materia, atomi di spazio, atomi di tempo. Che ciò fosse implicito in certi oggetti d'arte di ieri, ma ci fosse sfuggito?
Nella stenografia pittorica del linguaggio fusiano corre un treno di legamenti che non sempre percepiamo a causa dei suoi fulminei passaggi sintetici e atomistici. La similitudine del treno è stata evocata dal pittore stesso, cui non piace dilungarsi in dichiarazione teoriche. Lui pratica la teoria mentre dipinge e possiede il dono della parabola. Sostiene Fusi, dunque, che la sua pittura è riconoscibile «perché c'è qualcosa, un tratto che lega quadro a quadro, come una serie di vagoni ferroviari… uno diverso dall'altro, ma tutti viaggiano insieme.» La metafora mira alla discontinuità dell'opera in nuclei, granuli, atomi, più che alla sua unità.

Poniamo che un collezionista di Fusi decida di riunire le numerose tele del maestro, fin là isolate sui vari punti di pareti diverse, e si provi a giustapporle nel più tipico 'formato burana'. Cosa cambia? Molto, dilemmi compresi. Il collezionista nota che i differenti nuclei figurali delle singole tele, ben fermi quando erano isolati, adesso assumono un virtuale moto striato, l'inizio di un respiro che li dilata all'intorno. Il suo sguardo li ha uniti in una cova?
Alla mobilità latente delle pitture di Fusi, già evidente nel loro costituirsi geometrico e poi rinforzata nei periodici incontri polifonici, ho già rivolto l'attenzione in un precedente testo (1996). E nel frattempo, i loro nuclei o grafi hanno accresciuto l'andamento labirintico, striato, a spirale, che li distingue dalle più inerti geometrie neoconcretiste e 'neogeo'. «Nella triade di segno, gesto, colore, che Fusi giustamente rivendica al suo lavoro', scrivevo allora, 'ciò che lui ha innovato meglio è l'intensità del gesto: l'ha reso più intimo e più coeso. For-te di una vitalità che ha espresso con decisione anche nei suoi strappi [dalla falsa coerenza], Walter Fusi fa fluire la gestualità del dipingere direttamente nell'energia dei suoi colori.»
Si può dire meglio: Fusi dipinge come in immersione, non travasa energie ma le flui-difica tutte, sommuove non grafie colorate bensì colori paradossalmente lineari, col risultato di amplificare il latente moto interno ai grafi pittorici in una latenza performativa dell'intera sua pittura. Questa performa, come scrivevo allora, «un'osmosi, un respirare all'unisono tra l'immaginazione in atto del pittore e le proprietà altrettanto immaginifiche dei segni-colori.»
Poiché si tratta dei delicati rapporti tra il linguaggio e il corpo, torniamo alla storia di mezzo secolo fa. Là dove è scritto che l'unità del corpo fisico col corpo linguistico fu attuata dapprima in pittura (da Pollock e Fontana), che avanzare nella supremazia dell'atto creativo sui meri oggetti ha lastricato la via di reperti oggettuali più che di azioni. Nell'unità di corpo e linguaggio (di mano e mente) non conta la vista dei pittori informali che gesticolavano con le membra per lottare nell'arena dell'arte. Conta solo la meraviglia di vedere se anche quella scultura, quel quadro, abbiano la forza di gesticolare (evocandoci) nello spazio e nel tempo.

Ecco, i Carmina Burana di Fusi ci inducono – anzi, ci invitano – a scrutinarne l'alta affluenza di segni che il linguaggio concreto di un'opera d'arte, se valida, riassume in sé nel divenire dei suoi tratti, anche stilistici, come pure delle nostre interpretazioni. Essi occupano lo stadio performativo dell'opera aperta, che affida parte di sé alla risposta dei nostri stimoli ottici, e tiene aperta la sua liberalità finché lo spettatore partecipe non la chiude in un ruolo.
Tornando ancora alla storia, ipotizziamo che lo spettro divisionista dei colori primari sia stato il primo (timido) preludio all'estensione di un oggetto d'arte alla performance (alla scena, all'osceno), togliendo ai pittori per dare ai riguardanti. La performance latente sotto i dipinti di Fusi sta tra il dividere e il riunire. Dopotutto, il 'pointillisme' spostò l'apprensione graduale dei colori dalla miscela fisica sulla palette alla mescola ottica di chi guarda.
Tocchiamo qui, allora, le polle sorgive dell'intera opera. Questa schermata di disegni ci proietta fra nuclei figurali nascenti che portano lontano, oltre la pittura. La loro strepitosa forza attrattiva curva i nostri sguardi lineari in archi di fluttuazione mentale, ravvicinando il punto d'osservazione. Dietro la pittura, vediamo la sua sinopia: è una caduta libera. I disegni ci sottraggono all'oscuro significare dei quadri e ci immergono nella luce del loro formarsi.
Adesso che taluni scienziati divulgano (con John Barrow) un'immagine 'artful' dell' universo fisico, assimilandolo a un'opera d'arte, non sarà più eccessivo, né solo metaforico, domandarsi se gli artisti non creino equazioni plastiche a misura umana di quell'universo. Si sa quanto la scienza cerchi nel concreto dell'arte la visualizzazione delle sue astratte teorie. Non sarà arduo pensare che nell'arte si danno epifanie di mondi possibili, umanamente finiti ma vivi; e addirittura, paralleli ai mondi infiniti che emergono dal vuoto che cresce là fuori.
(Vi si danno altresì conati vuoti invece di opere vive. E le vuotaggini dipinte sono le peggiori poiché si rivestono dell'autorevolezza millenaria della pittura. Da qui sale l'odierna tendenza a rimuovere la pratica pittorica allo stato di rumore di fondo degli inizi dell'arte.)

Varrà di più istruire un universo nei limiti della pittura. Costatare con la simultaneità dei sensi che nella pittura di Fusi c'è vita alla grande, non è un godimento da poco. Nei suoi quadri, le immagini sono spartite in cellule e il loro spartito ha magnitudine astronomica.
Ciò consente alla nostra immaginazione di passare dal piccolo al grande, dal minimo al massimo. Diremo ancora che soltanto le forme d'arte extrapittoriche riescono a procurarci tale fluttuazione? Ma no, perché è del tutto evidente che Fusi vi è riuscito con uno strumento antico qual è la pittura, che ha saputo affidare a una visione profonda e in parte inconscia.
Sconfinando nella sonorità polifonica dei canti e della poesia corale, la sua opera si è mobilitata negli ultimi vent'anni intorno a una configurazione estesa che ha questa proprietà avanzata: dirama la frammentarietà moderna dei segni e delle relative nozioni entro una rete di nodi focali e di incroci privi di confini. E' il 'formato carmina burana' di Walter Fusi.
Si tratta con tutta evidenza di una struttura fratta ma coesa, fluida benché geometrica, caotica in bell'ordine, puntiforme e globale. Fusi la magnifica nei suoi polittici, dopo averla messa alla prova a lungo nei singoli dipinti, che diremmo dettagli intensificati di un'idea, un destino. Aggiungiamo che similmente si strutturano altre realtà, altri percorsi, dal sapere alle comunicazioni di massa, secondo un 'formato' attuale del divenire che gli somiglia molto.
E ne concluderemo che Fusi ha restituito altre voci alla pittura e la pittura alla storia, mai rinunciando a dipingere in perfetta letizia e sempre rallegrandoci con atomi di bellezza.
Tommaso Trini

Inaugurazione 13 marzo ore 17

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