In occasione della sua prima mostra in Italia, l'artista ci offre uno sguardo, al contempo ludico e riflessivo, sulle narrative nascoste di transizione, interpretazione e trasfigurazione dell'Iran postrivoluzionario.
In occasione della sua prima mostra in Italia, l’artista Farhad Moshiri (Shiraz, Iran, 1963) ci offre uno sguardo, al contempo ludico e riflessivo, sulle narrative nascoste di transizione, interpretazione e trasfigurazione dell’Iran postrivoluzionario.
L’opera di Moshiri gioca con “il pensare euforico e l’ottimismo naïf, l’avidità , ricreando uno stato mentale da eccesso di Prozac, una sorta di Las Vegas meets Teheranâ€.
A Roma, mettendo in scena una miscela di fonti e riferimenti eterogenei, l’artista iraniano ci conduce in un e x t r a s p a z i o dotato di uno Stereo Surround Sofa, stereo portatile dorato su un dorato divano barocco; un imponente lampadario di cristallo che sormonta una poltrona nell’Autoritratto dell’artista; più di 100 lingotti di legno dorato a disposizione dei visitatori per progettare costruzioni Legold.
Una miriade di paillettes, spangles e cristalli brilla sul velluto nero di 10 opere a parete fatte ricamare da donne iraniane con soggetti tratti dalle mitologie attuali.
Vicino a un God rosso sangue su fondo oro scorgiamo nel magazzino della galleria un deposito di 550 armi. Di plastica. Dorate.
Kitsch?
Olu Oguibe ci informa che “nella cultura non esiste il kitsch, ma solo la cultura stessa. L’inserimento di elementi disparati, estranei e apparentemente incongrui in una cultura non è, infatti, un fenomeno peculiare ma un elemento fondante e vitale dell’idea stessa di cultura.â€
Nell'immagine: 'La tombee de la nuit', 2003.
v e n e r d ì 3 d i c e m b r e , o r e 1 8
martedì - sabato 15.30 - 19.30
fino al 29 gennaio 2005
e x t r a s p a z i o
via San Francesco di Sales, 16/a
I - 00165 Roma